Com'è avvenuto il passaggio da fotoreporter documentarista a fotografo di architetture urbane?
Essere fotogiornalista ti permette di fare scatti in un modo e di tipo assolutamente tradizionale, mentre la fotografia artistica di architettura, come quella a cui sto lavorando in questo momento relativa alla panoramica della città, ti dà la possibilità di essere sperimentale e di catturare ciò che non si vede. Dal 2007, dopo l'esperienza di studio in Inghilterra, dopo alcuni progetti umanitari in Sri Lanka e in India, mi sono dedicato maggiormente ai miei lavori. A Hong Kong è difficile concentrarsi esclusivamente sulle proprie idee artistiche, soprattutto perché la competizione è molto alta. La mia prospettiva oggi è più seriale che documentaria e ha intenti meno commerciali. Il mio focus riguarda la vita ordinaria, di tutti i giorni.
A guardarla da fuori, sembra affascinante e internazionale, ma in realtà si tratta di un luogo dove è impossibile trovare la vita reale. Il fatto di non avere un rapporto intimo con la natura e di non riuscire a vedere il cielo ci ha trasformato in una specie umana diversa rispetto a quella per cui siamo stati creati. Oggi abitiamo in palazzi altissimi di cinquanta o settanta piani, non abbiamo più rapporti con la terra, siamo senza radici. In questi grossi grattacieli abitano oltre 400 famiglie, ma non conosciamo nessuno. Viviamo in modo indipendente gli uni dagli altri senza creare comunità. Conduciamo una vita senza sosta, i soldi che guadagniamo vengono spensi in beni materiali ma, alla fine, non sappiamo cosa sia la vita.
L'architettura oggi non riesce a restituire l'idea di comunità, molta gente crede che per questo motivo il nostro tessuto sociale stia peggiorando rispetto al passato. L'architettura dovrebbe migliorare la nostra vita, i rapporti con le persone e la nostra idea di città.
La fotografia cerca di catturare non solo le cose reali, ma anche tutto ciò che non si vede, recuperando l'aspetto intimo. Ci sono alcuni paesaggi qui, ignorati da tutti, che riflettono la nostra vita, quello che stiamo cercando e quello che davvero vorremmo essere. Motivo per cui ho sentito la necessità di fare questo lavoro sull'architettura.
Sto pensando di spostarmi a Taiwan, c'è bisogno della democrazia. Credo che Hong Kong sia diventata così proprio per la mancanza di democrazia, e lo si vede nelle continue proteste. Taiwan è un luogo più umano, dove puoi fermarti e pensare a cosa vuoi veramente essere. Basti un esempio: a Taiwan ci metti tre giorni per leggere un libro, a Hong Kong, città che non si ferma mai, non riesci a finirne neanche uno.
In effetti, è quello che sto facendo, prima ero molto concentrato a catturare le persone facendo ritratti anche nella città. Ora, invece, mi interessano gli spazi e i luoghi. Una volta, durante una mostra, mi hanno detto che nelle mie fotografie si nasconde il mistero, come ci fosse un segreto nelle prospettive e nelle dimensioni. Credo che convivano entrambi gli aspetti: ciò che vedo è che i palazzi hanno segreti che voglio catturare.
Sarebbe quella in cui si può guardare verso l'alto, verso una ampia porzione di cielo. Oggi l'unico interesse è costruire palazzi sempre più alti e cose sempre più grandi, come dimostra il mio lavoro Megafauna, pubblicato in un libro insieme agli scatti di altri 3 artisti locali. Megafauna è un termine comunemente usato dagli archeologi e biologi per descrivere i mammiferi che pesano più di 45 kg. L'Homo Sapiens è l'unico che, a differenza di altri, ha l'impulso di modificare il suo ambiente distruggendo la sua intimità con la natura. Perché, noi megafauna della città, dobbiamo fare cose così grandi e invadenti per dimostrare la nostra presenza?
Qual è l'ora perfetta per fotografare Hong Kong?
Le brutte giornate sono le migliori, rasentano quasi la perfezione. Quando c'è il sole, la città sembra falsamente perfetta. Nelle giornate piovose, invece, Hong Kong appare esattamente come è.
