Fracture: Daido Moriyama

Katya Tylevich intervista il fotografo giapponese, che al LACMA mostra le luci crude e il contrasto assoluto del distretto Shinjuku di Tokyo, le cui fratture suggeriscono un'impensata robustezza piuttosto che debolezza.

Nel Padiglione dell'arte giapponese del Los Angeles County Museum of Art (LACMA), progettato da Bruce Goff, le fotografie di Daido Moriyama creano un momento di acuta tensione. Le curve e le spirali di Goff, la sua adozione delle forme e dei colori 'naturali' che a quanto pare le città hanno dimenticato, appaiono in deciso contrasto con le linee rette, gli angoli acuti, i recessi oscuri, le luci crude, il contrasto assoluto delle fotografie di Moriyama qui esposte. Aperta fino al 31 luglio, Fracture: Daido Moriyama spazia dalle prime foto in bianco e nero di Moriyama fino alle più recenti immagini a colori di Tokyo, queste ultime presentate per la prima volta in occasione di questa mostra.

E comunque le fotografie di Moriyama si possono leggere anche come organiche, come naturali: il resoconto e la riflessione su un differente genere di realtà. L'umano, quasi sovversivo pulsare e ansimare di una città, e non solo quello di chi ci vive. Nelle fotografie di Moriyama l'uomo e il calcestruzzo, la donna e il grattacielo, la mano umana e il pilastro di cemento, la testa umana e la galleria infinita, il cane randagio e l'uomo randagio hanno ciascuno pari valore. E fotografo e fotografato non si contendono l'attenzione. Questa è la forma a spirale di Moriyama: il passato si inserisce nel futuro, il futuro nel passato, un'azione imprevista si inserisce nella seguente, l'istante riflette su se stesso e un sentiero si getta in un'ampia autostrada.
In apertura: Daido Moriyama, <em>Untitled</em>,  stampato nel 2011, Courtesy of the artist © Daido Moriyama. Qui sopra: Daido Moriyama, <em>Untitled</em>,  stampato nel 2011, Courtesy of the artist © Daido Moriyama
In apertura: Daido Moriyama, Untitled, stampato nel 2011, Courtesy of the artist © Daido Moriyama. Qui sopra: Daido Moriyama, Untitled, stampato nel 2011, Courtesy of the artist © Daido Moriyama
In certo qual modo definire 'urbana' la fotografia di Moriyama, senza ulteriori attributi, vuol dire non avere parole sufficienti. In fondo che dire delle qualità 'bucoliche' della città che l'autore coglie? La brezza, le prospettive, gli ampi spazi aperti, i momenti in cui, a dispetto del movimento che c'è intorno, il tempo si ferma? La ragione per cui questa mostra del LACMA è stata intitolata Fracture ("Frattura") è curiosa. Che cosa si è spezzato? Il legame tra le vecchie e le nuove foto di Moriyama appare decisamente solido, unitario nel segno dell'atmosfera e del punto di vista del fotografo.

E quanto al soggetto – Tokyo e in particolare il quartiere di Shinjuku – le soluzioni di continuità ne suggeriscono l'impensata robustezza e non la debolezza. Queste fotografie sono piene (di energia, di implicazioni) e quindi danno la sensazione di essere complete, un tutto. Anche l'ovvia frattura tra le vecchie foto in bianco e nero e le nuove immagini a colori appare una distinzione poco degna di nota se si osserva che la presenza del colore, rispetto alla sua assenza, non proietta su un soggetto né più né meno luce.
Daido Moriyama, <em>Love Motel, Myagi Prefecture</em>, 1970, © Daido Moriyama
Daido Moriyama, Love Motel, Myagi Prefecture, 1970, © Daido Moriyama
Il giorno dell'inaugurazione di Fracture Moriyama è al LACMA per tenere una conferenza alla libreria del museo, l'Art Catalogue Bookstore. La conversazione prevede come tema "il crudo erotismo della vita urbana giapponese" e il genere di persone riunite per parteciparvi garantisce il passaparola ai paparazzi (e rende evidente che l'erotismo' attira le folle). Prima di avere la possibilità di conoscerlo ufficialmente incrocio Moriyama che gira per il museo. Da lontano vedo il settantaquattrenne fotografo, circondato da una calca di persone, che si ferma a posare per i fotografi o per dar retta ai visitatori del museo.

Più tardi, al ritorno nel padiglione di Goff, Moriyama e io ci sediamo in attesa della conferenza. L'architetto Kulapat Yantrasast (wHY Architecture) ci fa da traduttore. Moriyama mi dice che una frattura c'è, nella mostra, che anche lui ha appena avuto occasione di vedere. "La società è una frattura, e queste fotografie danno una rappresentazione della società", afferma. E comunque è lieto che io non avverta separazione tra le opere in quanto tali o tra i loro soggetti. Nemmeno lui l'avverte. "Non ha senso cercare di istituire una gerarchia con una fotografia", mi dice.
Osservo una foto che ho scattato trent’anni fa, che ovviamente parla del momento in cui è stata scattata, ma quel momento del passato si collega anche a questo momento del presente. Ora il passato acquisisce un nuovo significato
Daido Moriyama, <em>Untitled</em>,  stampato nel 2011, Courtesy of the artist © Daido Moriyama
Daido Moriyama, Untitled, stampato nel 2011, Courtesy of the artist © Daido Moriyama
Ma può un fotografo evitare una gerarchia tra ciò che sta di fronte all'obiettivo e ciò che sta dietro di esso? So che Moriyama, in alcuni casi, avuto a che dire con le persone colte dal suo obiettivo. E allora gli chiedo se si sente parte delle scene che documenta.

"No. È impossibile per la natura stessa della fotografia", mi risponde. "Ma nelle mie foto cerco di presentare ciò che vedo e il mio modo di guardare le cose dal punto di vista ottico. Per lo meno cerco di presentare un modo non gerarchico di osservare una certa scena, anche se non posso entrarci veramente."

Daido Moriyama, <em>Untitled</em>,  stampato nel 2011, Courtesy of the artist © Daido Moriyama
Daido Moriyama, Untitled, stampato nel 2011, Courtesy of the artist © Daido Moriyama
E allora che dire dell'inevitabile separatezza tra le fotografie in termini di tempo, di decenni? Chiedo a Moriyama se esista davvero una fotografia senza tempo, o se ogni foto non sia inevitabilmente un relitto del giorno in cui è stata scattata.

"Be', si comincia a pensare al futuro in modo quasi nostalgico", risponde. "Si diventa coscienti di come si apparirà poi nel momento dello scatto. Qui [nella mostra] osservo una foto che ho scattato trent'anni fa, che ovviamente parla del momento in cui è stata scattata, ma quel momento del passato si collega anche a questo momento del presente. Ora il passato acquisisce un nuovo significato".

Daido Moriyama, <em>Shinjuku #11</em>, 2000, Courtesy of the artist, © Daido Moriyama
Daido Moriyama, Shinjuku #11, 2000, Courtesy of the artist, © Daido Moriyama
In questo modo, a quanto pare, una fotografia è un oggetto vivo e in trasformazione, non dissimile dalle città e dai soggetti che Moriyama fotografa. Anche gli edifici e le autostrade, l'ambiente urbano (costruiti per resistere al tempo in un modo che non è dato agli umani) in questi scatti appaiono malleabili, sembrano in movimento, in attesa, suscettibili alle stesse condizioni inevitabili che cambiano o cancellano gli umani: giorni, anni, usura, abbandono, interpretazione.
Daido Moriyama, <em>Untitled</em>, 1971, stampata consecutivamente, Courtesy of the artist, © Daido Moriyama
Daido Moriyama, Untitled, 1971, stampata consecutivamente, Courtesy of the artist, © Daido Moriyama
Mi dice Moriyama che, per documentare ciò che vede, usa, più che la macchina fotografica, gli occhi. Ma gli 'utensili', ovviamente, sono soggetti a disfunzioni e a un certo grado di errore. E così tra gli aspetti più avvincenti delle fotografie di Moriyama c'è proprio il margine tra ciò che viene osservato e l'osservatore: insomma quella certa frattura, l'unica costante tra tante variabili. Katya Tylevich
Daido Moriyama, <em>Kagerou (Mayfly)</em>, 1972, © Daido Moriyama
Daido Moriyama, Kagerou (Mayfly), 1972, © Daido Moriyama
Daido Moriyama, <em>Beauty Parlor</em>, Tokyo, 1975, © Daido Moriyama
Daido Moriyama, Beauty Parlor, Tokyo, 1975, © Daido Moriyama

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