Selvaprakash ha dato inizio nel 2008 a un progetto di documentazione di questo mondo in via di estinzione. È andato da Chennai a Gokarna per registrare le molteplici storie raccontate dalle coste dell'India. Dalle proteste contro l'insediamento di un impianto nucleare a Koodankulam alle devastanti conseguenze del ciclone Thane del 30 dicembre 2011, la fotografia di Selvaprakash porta sensibilità e attenzione ai particolari di un racconto umano e politico complesso.
"È iniziato come un normale servizio giornalistico", mi confida il fotografo indiano. "Andai là per documentare il conflitto tra i pescatori indiani e la marina dello Sri Lanka nel golfo di Munnar, dove la guardia costiera sparava sui pescatori perché oltrepassavano il confine delle acque territoriali. Il mio interesse iniziale per le questioni relative ai diritti umani implicite nella vicenda ben presto si trasformò in un impegno più profondo in un progetto ambientale a lungo termine. Il mio punto di vista cambiò dopo aver seguito un corso di giornalismo sulla gestione delle coste nel 2009."
Francesca Recchia: Come è avvenuto il passaggio dai diritti umani agli interessi ambientalisti?
Selvaprakash: Mi sono reso conto che il problema era molto poco conosciuto. Al centro del discorso c'erano sempre la dura vita dei pescatori e le loro lotte, mentre sarebbe stato più importante guardare a una prospettiva più ampia e chiedersi per quali motivi la loro vita si è fatta sempre più difficile. Quando ho iniziato a indagare ho scoperto che la causa principale era in realtà di origine umana: si costruiva moltissimo, centrali elettriche e porti, e sempre più vicino alla costa. Neppure i pescatori stessi mettevano in collegamento il fatto che se qualcosa accade all'ambiente avrà gravi conseguenze sulla loro vita e sul loro sostentamento.
Il problema principale è l'erosione costiera. La sabbia si sposta da sud a nord. Quando si costruiscono case, centrali e porti sulla costa si crea un ostacolo a questo movimento e quindi si influisce sulla forza e sulle dimensioni delle onde. Dicono i pescatori che quando si costruisce sulla spiaggia la sabbia si accumula sul lato meridionale della costruzione mentre il mare erode il lato settentrionale. La risposta a questo fenomeno è stata la moltiplicazione delle dighe e dei frangiflutti, che in realtà producono l'effetto opposto, creando maggiori ostacoli e quindi maggior erosione.
Se si va su Google Earth si vede una linea nera tutto intorno alle coste indiane. Sono le massicce dighe di pietre che dovrebbero proteggerle: vengono costruite direttamente sulla costa, il che le rende molto instabili: durano tre o quattro anni e poi vengono dilavate dalle periodiche piogge monsoniche oppure occasionalmente da cicloni e tsunami. Il che crea parecchi problemi: quando una diga si sfalda, per esempio, le pietre non vengono riusate, ma sono semplicemente abbandonate in mare. Ciò peggiora il problema che invece esse dovrebbero risolvere: più ostacoli significano in realtà più erosione. Si veda il caso di Ennore nel Tamil Nadu oppure quello di Ulal nel Karnataka: hanno costruito enormi dighe ma sono inutili, e quando il mare si imbizzarrisce case, scuole e costruzioni vengono comunque distrutte.
Guardando le mie foto si vede la bellezza della natura. È questo che colpisce, ma si capisce subito che da qualche parte, nell'inquadratura, piccoli piccoli, ci sono rischi e minacce.
Guardando le mie foto si vede la bellezza della natura. È questo che colpisce, ma si capisce subito che da qualche parte, nell'inquadratura, piccoli piccoli, ci sono rischi e minacce. L'immagine apparentemente è semplice, come la rappresentazione pittoresca della natura. Ma se si fa più attenzione si vedono segni rivelatori della complessità del racconto: le cicatrici delle cave di sabbia, i fumi di un impianto termico, le conseguenze indesiderate dell'industrializzazione e dell'eccesso di edificazione.
Quando si lavora a un progetto di lunga durata la cosa più difficile è mantenere l'attenzione e non perdersi nei particolari. Esplorando le coste si subisce il fascino di parecchie cose, le varie tecniche di pesca, il ritmo della vita, l'incredibile biodiversità. Si comincia a scattare e si vorrebbe che la macchina fotografica catturasse tutto. E così si va alla deriva e si accumulano sempre più foto di tante cose diverse, e viene da chiedersi dove si sta andando. Ma, in fondo, è questa la bellezza di un progetto di lunga durata: quando si ha l'agenda vuota, si riguarda il materiale e ci si sorprende dei collegamenti inattesi.
Ho scoperto la complessità del mare. In India si butta tutto in mare e si pensa che il mare se lo terrà, qualunque cosa sia: dalla spazzatura alle ceneri dei defunti. Mi ha sorpreso la misura in cui il mare restituisce il bene e il male, in termini di sopravvivenza come di risposta alle attività inquinanti e invasive.
Quali sviluppi pensi che avrà il tuo progetto?
Ho fotografato l'erosione delle coste indiane nel Tamil Nadu, nel Kerala e nel Karnataka. Ho intenzione di andare a nord e di documentare la situazione degli altri Stati costieri. Mi piacerebbe creare un archivio delle coste nazionali e magari farne un libro.
