Verso un’economia responsabile

Anche uno yacht di lusso è un progetto sociale di alto impatto. Perché presuppone, coinvolge e impiega una serie di professionalità che riguardano tutta la società e, prima ancora, la comunità.

“Anche uno yacht di lusso è un progetto sociale di alto impatto. Perché presuppone, coinvolge e impiega una serie di professionalità che riguardano tutta la società e, prima ancora, la comunità”. 
Non rinuncia a ribaltare i luoghi comuni, Marco Morganti, filologo classico con passione politica chiamato da Corrado Passera nell’avventura di Poste Italiane e da lì a Intesa, a fondare Banca Prossima, la più importante realtà finanziaria italiana dedicata al Terzo settore e i fondi d’impatto sociale. La primavera scorsa Carlo Messina, il consigliere delegato di Intesa che ha incorporato Banca Prossima, ha dichiarato di voler ‘prossimizzare’ il più importante istituto bancario italiano. 
Più che un segnale, una direzione precisa.
È così. Anche perché, oltre al nome, Prossima, sono rimasti altri quattro punti significativi in questa transizione: la specializzazione, i criteri di selezione del personale, il modello di valutazione e il Fondo di Solidarietà.  
Se le banche si ‘prossimizzano’ vuol dire che il profit diventa non profit
Le differenze fra profit e non profit ci sono e rimarranno. Noi siamo una banca che vuole avere un ruolo da protagonista nella trasformazione verso un’economia maggiormente responsabile. Ci muoviamo dentro questo flusso. 
Qualche esempio concreto?
Finanziare progetti specifici di soggetti profit sviluppati in una logica di massimizzazione dell’impatto sociale, piuttosto che economico. Molto importante in tempi di Coronavirus, per esempio.
Come vede l’Italia in questa surreale fine dell’inverno?
Inutile dire che la complessità è aumentata. Però non rinuncio a vedere il nostro Paese come un luogo dove occorre ripensare le relazioni, ed esistono enormi opportunità per farlo. 
Dopo il virus si dovranno cogliere tutte le opportunità, ma come? Puntando sulla bellezza? Sul territorio? Sulla storia?
Non sono d’accordo. Nemmeno l’immensa bellezza italiana è risarcitoria per gli esclusi. Specie se non hanno ricevuto gli strumenti culturali per averne un beneficio. Qualche volta su questi temi si è un po’ semplicistici.
Proviamo a non esserlo. 
Stiamo al presente. La vita ai tempi del Coronavirus dimostra che la digitalizzazione offre una grande chance. I big data fanno la differenza a condizione che siano assoggettati ai criteri di rispetto della persona, perché la Rete è come un common good, non un terreno per realizzare monopoli e diseguaglianze planetari. Le ore passate in Rete possono rimanere una pura spesa o addirittura uno spreco, o all’opposto un investimento impact, se chi ne trae un profitto economico opera in una logica che mette al centro le condizioni di un’accessibilità vera alla Rete: simmetria informativa, crescita delle competenze, opportunità per tutti. E se ci illudiamo che questo succeda da sé, allora stiamo accettando il più gigantesco fallimento di mercato della storia.
Se fosse l’architetto sociale chiamato a ristrutturare il Paese, quali priorità individuerebbe?
Si parla sempre d’istruzione, infrastrutture, giustizia, digital gap. Tutto vero, ma non sono le uniche priorità. Secondo me, se ne dimentica una altrettanto importante: la relazione tra l’economia for profit, l’economia sociale e l’iniziativa pubblica. In un Paese dove per di più ci sono condizioni ottimali: tanta impresa, tanto protagonismo del Terzo settore, tanto risparmio privato e – almeno in alcuni settori – l’attesa e la pretesa di un welfareuniversalistico ed efficiente. Realizzare valore, creare  occupazione e includere sono tematiche politiche importanti. 
Che cosa succederà nel prossimo futuro?
Che il pubblico ridurrà la sua presenza e il privato dovrà gestire i vuoti che si creano, in un’ottica sostenibile e che tuteli i diritti: per esempio, lo squilibrio dei servizi tra settentrione e meridione, cui si accompagna purtroppo tanto non profit in più nel Nord rispetto al Sud. Bisogna ridistribuire le capacità per tutelare i diritti.
Saranno le banche a svolgere questo ruolo? 
Le banche sono soggetti civili. Quindi con un dovere civile, come tutti gli altri cittadini. Includere nel credito, cioè raggiungere il massimo numero di persone che hanno bisogno di denaro per realizzare i propri progetti. 

Al tempo stesso, occorre inserire concetti privati nel pubblico, come efficienza, produttività, merito, e concetti pubblici nel privato: così anche le imprese – tutte le imprese – diventano agenti d’inclusione e di mutualismo.

Un bel programma. 
Niente è facile, ma tutto è possibile. Anche perché non ogni cosa si riduce ai soldi. Ci pensi: aiutare un figlio a studiare è un’idea pubblica, non privata. Perché studiare costruisce la pienezza della persona, come l’affetto, il rispetto o, l’amore, e cambia la vita di tutti. Per questo alla fidanzata si regala un mazzo di fiori e non una somma di denaro di pari importo, perché non tutto si può tradurre in una transazione economica. È la vita che si rifiuta di farlo.

Marco Morganti Nato a Macerata, nel 1959, si laurea in Filologia rinascimentale a Firenze nel 1983. Nel 2003 avvia i primi progetti di accesso al credito per Banca Intesa. Nel 2007 inaugura Banca Prossima, di cui è AD e, dal 2011, anche direttore generale.