Alberto Mingardi

TAV e politica delle infrastrutture

L'opposizione alla Torino-Lione ha un alto valore simbolico, e non solo, per il Movimento 5 Stelle. Ma trovare un accordo di governo con la Lega non è facile.

La nuova linea ferroviaria Torino-Lione è una infrastruttura rivolta al trasporto merci e passeggeri che consentirebbe il passaggio di un treno ad alta velocità (di qui l’acronimo TAV) accanto alla linea ferroviaria tradizionale, già esistente fra le due città. Questo tratto di strada ferrata di 235 km è da anni al centro delle polemiche. Gli abitanti della Val di Susa sin da principio hanno protestato contro il tunnel che dovrebbe attraversare per 57 km le loro montagne, in particolare contro i rischi ambientali connessi all’opera di escavazione. L’opera è stata pianificata negli anni Novanta e sin dai primi anni Duemila è oggetto di contestazioni severe.

Il movimento “no TAV” utilizzava parole d’ordine non troppo diverse da quelle della sinistra “antagonista”: ambientalismo, ostilità per la globalizzazione e la convinzione, più o meno dichiarata, che grandi opere nascondano grandi interessi ne costituivano il collante ideologico. Al contrario, la sinistra “di governo”, sia a livello nazionale sia a livello locale, era fortemente a favore della nuova infrastruttura, vista come un importante collegamento destinato a incrementare gli scambi con la Francia, nel quadro della comune appartenenza europea.    

Un dibattito annoso, nel quale le parti in causa hanno idee tanto radicate, non poteva essere risolto da valutazioni “tecniche”, di qualsiasi tipo.

Come alcune altre frange estreme della sinistra italiana, col tempo i “no TAV” hanno reciso i legami che tradizionalmente li legavano al Partito democratico e hanno contribuito a costruire un contenitore alternativo: quel Movimento Cinque Stelle che, sommando scontenti e ribelli di tutti i partiti, è arrivato ad essere, nel 2017, la prima forza politica italiana, con oltre il 30% dei consensi.    

Proprio per questo il TAV ha oggi un valore simbolico così rilevante, per il partito fondato da Beppe Grillo: è una vecchia battaglia che, al governo, è possibile vincere.    

Tunnel Chiomonte. Photo Courtesy of TELT

Il Movimento Cinque Stelle è però al governo con la Lega: per quanto, con la leadership di Matteo Salvini, questo movimento abbia cambiato pelle il suo zoccolo duro resta concentrato nelle regioni del Nord e composto, in una certa misura, da piccoli imprenditori e lavoratori del privato, i quali guardano al TAV con favore. La convivenza fra le due parti della coalizione è regolata da un “contratto” anomalo per forma e sostanza, che rappresenta il tentativo di conciliare istanze diverse ed elettorati distanti.

Per le infrastrutture, è stato scelto un metodo eccentrico, perlomeno per questo governo: cioè il ricorso ad una analisi costi-benefici, che dovrebbe mettere in campo una serie di strumenti per stimare vantaggi e svantaggi puntuali dell’opera in questione. Le analisi costi-benefici non sono Vangelo, come tutte le cose umane non sono indipendenti dal punto di vista di chi le fa, i risultati possono essere assai diversi a seconda delle assunzioni di partenza. Che ci sia discussione sugli esiti, pertanto, non è sorprendente: un dibattito annoso, nel quale le parti in causa hanno idee tanto radicate, non poteva essere risolto da valutazioni “tecniche”, di qualsiasi tipo.

Che il TAV si faccia oppure no, dipenderà, è probabile, dagli equilibri politici nel governo. Ma non è escluso che questo dibattito lasci tracce profonde.

E tuttavia la querelle ha preso una piega sorprendente. I “populisti” sono quelli che tipicamente rivendicano il primato della politica, riconoscendo al contrario uno spazio pressoché nullo alla competenza tecnica. E’ stato così per la legge di bilancio 2019, nella quale il governo ha inserito due provvedimenti, quota 100 e il reddito di cittadinanza, dagli effetti più che controversi sul bilancio pubblico. La controriforma della previdenza, in particolare, è stata avversata pressoché da tutti gli esperti del ramo.    

Il populismo, del resto, non è un sistema di idee, men che meno un insieme di proposte coordinate e coerenti. E’ uno “stile”, un modo di pensare la politica che ha il suo punto di forza nella rivendicazione di una “immediatezza”: l’immediatezza del passaggio dal sentimento popolare alla decisione politica. Il “sovranismo” rispolvera il vecchio idolo della sovranità popolare proprio contro tutti coloro che si mettono in mezzo, fra il popolo e ciò che vuole: che si tratti delle istituzioni europee, delle autorità indipendenti, delle lungaggini parlamentari, persino delle forze impersonali dell’economia. E’ questo stile che unisce populisti di destra e di sinistra, e che in Italia fa sì che governino assieme, con un consenso nel Paese largamente maggioritario.    

Questa volta sono stati invece gli “anti-populisti” a mescolare attacchi ad personam ai componenti della commissione, cominciando dal presidente Marco Ponti, alla richiesta di non improntare scelte così importanti al mero verdetto degli “esperti”. L’analisi costi-benefici è stata ridicolizzata sulla stampa, per metodi e contenuti. L’approccio dell’establishment è ben riassunto in una sorta di slogan a vantaggio dei social media: se Garibaldi avesse aspettato l’analisi costi-benefici, non avrebbe mai lasciato lo scoglio di Quarto.    

Pochissimo si è detto nel merito dell’infrastruttura: come e perché il TAV abbatterebbe i costi di trasporto fra Italia e Francia, quali sono i benefici che è lecito attendersi, quali gli effetti ipotizzabili sulla crescita. Argomenti seri e meritevoli d’attenzione, che sono rimasti confinati al discorso di pochi specialisti e non sono entrati nel discorso pubblico. Al contrario, la retorica a favore delle infrastrutture è quella di sempre: “servono”, a prescindere, anche e forse soprattutto per elargire commesse e creare posti di lavoro. All’immediatezza dei populisti, è stato contrapposto un messaggio altrettanto semplice. Al miracolismo economico di chi pensa che col reddito di cittadinanza “ripartano i consumi” e, attraverso magici “moltiplicatori”, la produzione e l’economia italiana, si è risposto con un’altra promessa di miracolo.

Che il TAV si faccia oppure no, dipenderà, è probabile, dagli equilibri politici nel governo. Ma non è escluso che questo dibattito lasci tracce profonde. E’ inutile che le classi dirigenti si illudano: al loro gioco, i populisti sono veri professionisti. In compenso si è consolidato il sospetto che chi usa parole come competenza e serietà lo faccia in realtà a vantaggio della sua tribù, e non per amore di una politica meno  tribale.     

Alberto Mingardi (Milano, 1981) è direttore dell'Istituto Bruno Leoni.