Alberto Cavalli

Alto artigianato e crescita economica

Il direttore della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte riflette sul mondo potente e fragile delle eccellenze italiane. Senza nascondere la sua voglia di trasformazione.

Nel suo celeberrimo volume del 1748, Charles-Louis de Secondat – meglio conosciuto come il barone di Montesquieu – identificava lo “Spirito delle leggi” in quella catena di rapporti, o per meglio dire, in quell’organizzazione di rapporti che era in grado di dare vita a un sistema.

Un sistema: ovvero, una serie di relazioni interconnesse che danno identità e originalità ad azioni, scambi o procedure che altrimenti resterebbero isolate. Mentre la creazione del sistema, appunto, rafforza ogni elemento e lo include in una costruzione di senso destinata a diventare riconoscibile, grazie a una serie di rapporti virtuosi (tra capitale, commercio, arte e mestiere) che hanno dato vita a un’eredità spettacolare, tuttora potenzialmente fertile per la cultura e l’economia italiane. Fertile perché eloquente, perché autentica, basata sulla costruzione di un valore che, parafrasando Orazio, potremmo definire “aere perennius”, più duraturo del bronzo: quello dell’eccellenza.
Che fa scuola e fa epoca tanto quanto il genio.

Dalla rivalutazione del mestiere d’arte emerge una scintilla che potenzialmente innerva di un’energia nuova la nostra visione di questo mondo: perché considerare l’alto artigianato come vantaggio competitivo consente di legare di nuovo le diverse parti di questo mondo, così potente ma anche così fragile, in un unico sistema. Come è giusto che sia, come è anzi auspicabile che sia: un sistema che ha nel suo fulcro non un’astratta evocazione del passato, ma una decisamente concreta delineazione di una crescita economica destinata a influire sugli assetti del Paese.
Percepire, vivere e intendere il mondo dei mestieri d’arte d’eccellenza come un “sistema” significa riconoscere che la creazione di valore, che sempre accompagna la nozione di eccellenza, prende vita non in un contesto arido o ideale, ma appunto in un sistema di senso, in un territorio fisico e culturale, in un’atmosfera che si nutre di creatività ma anche di ricerca, di consapevolezza ma anche di conoscenza. 

Gli italiani sono trasformatori da sempre: riusciamo a prendere elementi che tutti hanno a disposizione, e a creare qualcosa di speciale. Riusciamo a dare un colpo d'ala anche alle produzioni più quotidiane o triviali, per renderle speciali e belle. Riusciamo a fare “bella figura” anche se a disposizione abbiamo poco.

Un’atmosfera che non può non prevedere anche una dimensione profondamente politica, dove l’Italia dovrebbe essere un esempio di capacità trasformativa: perché quale miglior laboratorio potrebbe esserci, al mondo, per sperimentare la capacità di volgere al meglio una serie di elementi non sempre favorevoli?
La storia dell’Italia, delle sue produzioni di qualità e delle sue caratteristiche migliori, va in questa direzione.
Gli italiani sono trasformatori da sempre: riusciamo a prendere elementi che tutti hanno a disposizione, e a creare qualcosa di speciale. Riusciamo a dare un colpo d’ala anche alle produzioni più quotidiane o triviali, per renderle speciali e belle. Riusciamo a fare “bella figura” anche se a disposizione abbiamo poco. E questa nostra straordinaria qualità trova un banco di prova mondialmente riconosciuto nel Salone del Mobile: creatività e savoir-faire, cultura del progetto e padronanza del mestiere impongono l’Italia come capitale indiscussa di una “trasformazione” della materia che non è mai fine a sé stessa, ma che è sempre un processo nutrito da creatività, inventiva, qualità, tradizione.
Saggiamente, pur se amaramente, Gesualdo Bufalino scriveva che “fra imbecilli che vogliono cambiare tutto e mascalzoni che non vogliono cambiare niente, com’è difficile scegliere!”; e sempre per restare in tema di alta letteratura siciliana, il tomasiano principe di Salina ricordava che bisogna che tutto cambi, perché tutto resti com'è. 

Non so se Sant’Agostino sarebbe d'accordo, ma so che chiunque desideri guardare alla città celeste, pur vivendo nella città dell'uomo, non ha mai paura della trasformazione: al contrario, la progetta e la fa partire. E di solito, la conduce in porto.

Triste constatare che dei grandi trasformatori come noi non siano in grado di usare la politica per modificare la politica stessa, e dunque la società. Perché la trasformazione dovrebbe essere un processo di rinascita che non tocca solamente la nostra capacità produttiva. Al contrario: sarebbe necessario che questo nostro anelito al cambiamento in meglio trovasse una sua simmetria anche nella nostra vita. Una voglia di trasformazione che vinca la pigrizia e lo sconforto, e che dovrebbe partire da un processo e da un progetto animato dalla voglia di fare bene le cose belle.
Occorre oggi porre l’accento sugli elementi di una trasformazione che tutti noi sentiamo come inderogabile: valorizzare i mestieri d’arte all’interno di un sistema vitale diventa il simbolo di un cambiamento che ci rinnova, che ci rigenera e che ci rende migliori, pur senza nulla rinnegare di quanto di bello, buono e vero abbiamo costruito nel passato. Non so se Sant’Agostino sarebbe d’accordo, ma so che chiunque desideri guardare alla città celeste, pur vivendo nella città dell’uomo, non ha mai paura della trasformazione: al contrario, la progetta e la fa partire. E di solito, la conduce in porto.

Alberto Cavalli è Direttore della Fondazione Cologni dei Mestieri d'arte, Condirettore della Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship, docente di Bellezza Italiana presso il Politecnico di Milano    

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