Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 966, febbraio 2013

Il tardivo completamento del Four Freedoms Park, il monumento commemorativo di Louis I. Kahn per Franklin D. Roosevelt a New York, ha forse ispirato più lodi nei confronti dell'architetto che del Presidente. Le conquiste di Roosevelt appaiono oggi meno sicure che ai tempi di Kahn: lo stato sociale è sotto attacco e le Nazioni Unite sono incapaci di dirimere i conflitti. L'importanza di Kahn nella storia dell'architettura appare, invece, indiscussa. Dopo il film My Architect (2003) di Nathaniel Kahn e il restauro della Yale University Art Gallery (2006), abbiamo oggi una retrospettiva su Kahn al NAI e al Vitra Design Museum (2012-2013), il nuovo libro di William Whitaker e George H. Marcus (2013) sulle case di Kahn e, naturalmente, l'apertura nel 2012 del monumento sulla punta meridionale di Roosevelt Island.

Curiosamente, la realizzazione posticipata del progetto dedicato a Roosevelt, che Kahn e il suo studio disegnarono tra il 1973 e il 1974, è divenuto un esercizio di conservazione architettonica. Realizzarlo è stato come ristrutturare o ricostruire un'opera perduta del passato, e ha richiesto grande abilità tecnica e sensibilità interpretativa per seguire i documenti progettuali di Kahn e, allo stesso tempo, per affrontare nuovi problemi — come l'innalzamento del livello del mare, la normativa antisismica, l'accessibilità per le persone disabili e la chiusura di molte cave di pietra dopo la morte dell'architetto nel 1974. Non possiamo immaginare quali ritocchi dell'ultima ora avrebbe potuto apportare Kahn direttamente sul sito, durante la costruzione. Dopo quasi quattro decenni sulle scene, il progetto ha dovuto affrontare lo stesso dilemma di gran parte degli edifici che invecchiano: adattarsi o morire. Gli adattamenti sono stati relativamente invisibili, grazie ai solleciti sforzi di tutte le parti coinvolte.

Per raggiungere Roosevelt Island da Manhattan si può prendere la funivia che si libra con leggiadro distacco sopra il fiume e la città. Una volta raggiunto il monumento di Kahn, tuttavia, si ha una percezione del paesaggio profondamente terrestre. A partire dal gigantesco terrapieno — che quasi costringe i visitatori a una breve sosta all'ingresso —, si è come avvolti da una sequenza di rilievi e cavità, modellati artificialmente, che portano sino al bordo dell'acqua. L'enorme scalinata di granito sembra una di quelle che conducono ai monumenti in stile Beaux-Arts, che Kahn disegnava quando era studente di Paul Cret. In cima a essa si apre, però, un enorme spazio urbano, delimitato dalle strutture situate lungo l'East River. Il parco dà qui ai visitatori la sensazione di essere arrivati alla fine del viaggio e di essere perfettamente inseriti nella più ampia topografia urbana. A un livello più immediato, le persone si ritrovano in un giardino a forma di cuneo, fiancheggiato da alberi, che conduce inesorabilmente verso il culmine, sulla punta dell'isola. Costruito intorno a un banale prato questo essenziale spazio verde è privo delle ricche textures e dei dettagli che si ritrovano nell'essenziale architettura di Kahn, il quale, evidentemente, non aveva ancora acquisito una piena padronanza dei problemi espressivi, caratteristici dei materiali costruttivi vegetali: almeno, non nei disegni. Il giardino, comunque, ci spinge a guardare al di fuori delle mura che lo cingono, guidando occhi e piedi verso un vertice orizzontale, che prima si comprime all'interno di una stanza e poi si spalanca sul paesaggio.

La stanza finale è chiaramente l'inizio di qualcosa, un punto di decollo, ma anche un grembo primordiale e uno spazio per radunarsi. Essa è parzialmente chiusa su tre lati da 27 imponenti blocchi di granito ed è aperta verso sud-est, come se volesse rovesciarsi nelle maree vorticose del fiume. Lo spazio quadrato a cielo aperto assomiglia a una versione ingrandita della fontana d'acqua nella corte del Salk Institute di Kahn (1959-1965) o, forse, a una versione in scala ridotta della corte stessa. Esso riconcilia le dimensioni del corpo umano con quelle della città e del paesaggio. Nel mezzo dei monumentali blocchi da 36 tonnellate, si percepisce la tremolante delicatezza della luce, che penetra discretamente attraverso fessure di due centimetri e mezzo. Questo spazio — che per poco non venne coperto di edifici — ci sussurra qualcosa sulla precarietà di piani e progetti, sulla vulnerabilità delle città e sulla transitorietà delle civiltà. Da questa stanza porosa percepiamo, sorprendentemente, la piccolezza della più grande città del XX secolo. New York è inseparabile dall'avanzamento delle acque che l'arricchiscono e la minacciano; esse devono essere rispettate come un elemento costitutivo del suo territorio.

Anthony Vidler ha osservato che, per Kahn, "l'architettura era soprattutto, e sempre, un'arte del monumento commemorativo". Il memoriale a Roosevelt è, allo stesso tempo, un memoriale a Kahn, a New York e all'architettura stessa. Nella memoria risiede il seme dell'immaginazione e nello spazio del monumento si possono rintracciare le forme embrionali di innumerevoli futuri. La stanza non è una tomba, ma un utero, un incubatore di progetti. Per Kahn doveva essere "l'inizio dell'architettura": la cellula staminale di piazze urbane, edifici e parchi pubblici. Il monumento ci esorta a dare nuova vita alle quattro libertà di Roosevelt (libertà di parola e di culto, libertà dal bisogno e dalla paura), ma anche a svariati valori o 'libertà' architettonici, che proverò a enunciare, forse assurdamente, in uno schema parallelo.
1 Libertà di dare forma. Spazio e struttura danno forma a ideali e bisogni condivisi.
2 Libertà di muoversi. L'architettura risponde ai movimenti del tempo, dell'ambiente, del corpo e della mente.
3 Libertà dalla cronologia lineare. Passato, presente e futuro sono tutti ugualmente presenti nel perpetuo inizio dell'architettura.
4 Libertà dall'autonomia. L'architettura è implicata nel mondo e partecipa alla produzione culturale e ambientale.

La fede di Kahn in una società coesa e in un bene comune, una fede espressa in innumerevoli progetti, può talvolta sembrare troppo astratta e non sufficientemente pluralista per la nostra epoca. Come si è visto alla Biennale di Architettura di Venezia del 2012, il concetto di "terreno comune" è oggi uno dei più controversi. Ma il Four Freedoms Park ci ricorda che cosa rende così interessante l'architettura nella sfera pubblica. Come disse Kahn, "quello che fai può appartenere a tutti. Il merito più grande lo raggiungi dove non puoi rivendicare alcuna proprietà". È esattamente in questo senso che il Four Freedoms Park appartiene al paesaggio e alla gente di New York.

Il monumento commemorativo arriva sulla scena come un proverbiale tafano socratico, che pone domande difficili. Mentre un nuovo campus universitario sta per essere costruito in una zona vicina al memoriale, e mentre New York sta discutendo di come affrontare l'innalzamento del livello del mare, noi dobbiamo pensare in termini di spazi collettivi. Il piccolo, grande progetto di Kahn sfida la città a ricordare e incominciare a dare forma e a muoversi. Gideon Fink Shapiro

Gideon Fink Shapiro scrive di architettura e design. Lavora nello studio Gabellini Sheppard Associates di New York e ha creato delle installazioni d'arte pubbliche con i compositori Peter Adams e Simon Fink, e con il collettivo Amorphic Robot Works a Brooklyn. Attualmente sta preparando, presso la School of Design, University of Pennsylvania, la dissertazione di dottorato sull'ingegnere e architetto paesaggista Jean-Charles Alphand. È autore della Guida di architettura di New York, nella collana di Domus, app per smartphone