Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 964, dicembre 2012

Nell'estate del 2011, due docenti di Stanford — Sebastian Thrun, a capo di Google X, e Peter Norvig, responsabile del reparto ricerca di Google — hanno deciso di mettere in rete, a disposizione di chiunque, il loro corso CS221: "Un'introduzione all'intelligenza artificiale". A dire il vero, l'iniziativa non era inedita. OpenCourseWare del MIT, per esempio, da anni ormai pubblicava online corsi di vario genere. CS221, però, voleva essere diverso: fino a quel momento, corsi online come quelli del MIT avevano preso di mira solo uno degli elementi costitutivi del processo formativo, la lezione, e anche questo, secondo Thrun e Norvig, senza particolare inventiva. Oltre alla lezione, i due hanno quindi iniziato a ripensare le procedure di ammissione, l'interazione tra studenti e insegnanti, i processi di problem-solving, tesine, esami, scadenze e certificazioni, riconfigurando il tutto per la rete. Dato che si aspettavano centinaia, forse migliaia di studenti, hanno assemblato una collezione eterogenea di strumenti online già disponibili e montato brevi frammenti video a formare lezioni coerenti, secondo un metodo di cui Salmon Khan della Khan Academy era stato un pioniere; hanno infine inviato una lunga serie di email. Questi messaggi si sono moltiplicati, e lo stesso è accaduto al loro serbatoio di studenti, che ha presto toccato le 1.000 unità, poi le 5.000, quindi le 10.000. Quando il New York Times ha captato la storia, a metà agosto, le adesioni ammontavano a 58.000, cifra esplosa a toccare i 160.000 all'inizio dei corsi in ottobre. Alla fine del semestre, Thrun ha immediatamente abbandonato la sua cattedra a Stanford, sciogliendo il sodalizio con Norvig e proclamando, dopo un mese, l'intenzione di lanciare una sua università online, Udacity. L'annuncio ha fatto subito notizia, con Thrun a parlare di mezzo milione di studenti per il suo primo corso e della decimazione delle consuete forme d'insegnamento, prevedendo che "tra dieci anni, nel mondo ci saranno solo dieci istituzioni che offriranno una formazione superiore".

Sui suoi passi si sono immediatamente mossi Andrew Ng e Daphne Koller. Ng ha tenuto in contemporanea un corso a Stanford, attirando oltre 100.000 studenti, pur senza il clamore di Thrun e Norvig. Ma mentre Thrun ha abbandonato l'università per iniziare da zero, Ng si è associato con Koller per un approccio opposto, proponendo una piattaforma chiamata Coursera che altre università, a cominciare da Stanford, potevano usare per mettere online i cicli di studio. Se in precedenza altri atenei avevano tentato senza successo di aprirsi al web, gli oltre 300.000 studenti iscrittisi ai programmi di Stanford nell'autunno del 2011 hanno dimostrato che i tempi sono ormai maturi. Nell'aprile 2012, Coursera ha annunciato che l'University of Michigan e due istituti della Ivy League, l'University of Pennsylvania e la Princeton University, si sarebbero aggiunti a Stanford mettendo a disposizione i primi corsi online. Due settimane dopo, Harvard e mit hanno rivelato di aver raggiunto un accordo per costruire una piattaforma rivale, EDX. Sono passati solamente altri 15 giorni prima che il mit comunicasse di aver promosso il cervello dell'operazione EDX, il rettore L. Rafael Reif, a nuovo presidente dell'ateneo. Per il MIT, adottare l'insegnamento online è stata una strategia per creare nuove nomine. Altrove, sottovalutarlo è stato l'occasione per una specie di golpe. Meno di un mese dopo che Reif aveva accettato la presidenza del MIT, Teresa Sullivan abbandonava quasi inspiegabilmente la stessa posizione all'University of Virginia. In seguito, il New York Times Magazine ha ricostruito la cronaca delle sue dimissioni in un pezzo da copertina, collegandole al fatto che sotto la sua direzione l'ateneo aveva accumulato un pesante "ritardo sulla concorrenza, come Harvard e Stanford, in particolare nello sviluppo di corsi online, un'innovazione dal potenziale trasformativo". Alla fine, Sullivan ha riavuto il suo incarico, ma, dopo un mese, l'University of Virginia ha annunciato la sua adesione al progetto Coursera.

Prima dell'inizio del semestre autunnale, altre 17 università, tra cui alcuni istituti fra i più prestigiosi d'America, avrebbero firmato con la piattaforma di Ng e Koller. Dal canto suo, EDX ha aggiunto l'University of California di Berkeley e l'intera University of Texas. nyu ha creato una collaborazione con la startup Codecademy; la San Jose State University ha esordito utilizzando materiale didattico del mit tramite edX; la Colorado State University ha cominciato a offrire crediti legati al completamento di un corso su Udacity; e il fondatore di Udacity, l'ex collega di Thrun, Peter Norvig, ha lanciato una nuova piattaforma d'insegnamento online open-source su Google, Coursebuilder®, lo stesso giorno in cui Stanford presentava la propria piattaforma open-source. Così, nel giro di un anno, il fenomeno si era trasformato in ciò che il presidente di Stanford, John Hennessy, ha definito "uno tsunami". Troppo dilagante per non avere un nome, il titolo di massive open online course (grande corso aperto online) risultava appropriato, accanto al goffo acronimo mooc. Mentre questa rivista va in stampa, le tessere del domino sono in caduta libera, con i mooc a fare notizia ogni giorno di più. Secondo il New York Times, "Stanford ha suonato la carica nell'autunno scorso", ma le grandi istituzioni universitarie non sono fatte per correre: casomai, sono strutture che tendono all'immobilismo. Le università d'élite non toccano il nucleo della prassi accademica, ma vi aggiungono piuttosto protesi come stadi, biblioteche, centri ricerche, filiali planetarie e via dicendo: il tutto per competere in un mercato sempre più difficile. Lo scorso anno, il debito degli studenti ha superato per la prima volta in America quello generato dall'uso di carte di credito; quest'anno, è andato oltre il trilione di dollari. Tuttavia, chiedersi 'perché' genera una risposta molto semplice. Una domanda più utile sarebbe, invece, chiedersi 'come'.

Le istituzioni universitarie sono scivolate senza ostacoli dai loro campus fisici alle piattaforme online, perché esse sono percepite come un ambiente privo di architettura, limitazioni, massa e privo della resistenza della forma costruita. Eppure, ciò che esse offrono è precisamente un'architettura. Più che qualsiasi costruzione, queste piattaforme dettano non tanto un modello economico quanto una struttura pedagogica completamente nuova. Tra le pareti della piattaforma gli studenti non sono più studenti: sono diventati "utenti finali". Da soggetti formati lungo il periodo di un corso di laurea, sono stati tramutati in consumatori intercambiabili di competenze tecniche misurate sui bit. Per inserire un corso nella piattaforma di Coursera, i docenti devono farlo a pezzetti, frammentando necessariamente un arco più complesso in "unità di apprendimento significative". Questi sono i termini imposti da una pedagogia graduabile, le regole richieste per attrarre centinaia di migliaia di "utenti finali". Con il cosiddetto modello di flipped classroom (insegnamento capovolto), anche agli "studenti registrati" — gli utenti finali che s'immatricolano e pagano le rette universitarie — è richiesto di assorbire la conoscenza in pillole, riservando le ore in classe al problem-solving. Mentre studenti e utenti finali si spostano nella nuova architettura scolastica offerta da Coursera ed EDX, la tradizionale architettura accademica, fatta di edifici, viene a poco a poco abbandonata.

È precisamente rinquadrando queste piattaforme come architettura che possiamo aprire uno spazio a una teorizzazione architettonica dell'istruzione e dell'università contemporanee. Nel 1991, Mark Wigley ha scritto che "l'architettura contemporanea della prostetica digitale è ciò che rimane di quello che, un tempo, era il corpo solido dell'università". Per Wigley, ciò ammontava a un crollo del fondamentale e tormentato rapporto tra architettura e università, le cui basi sono in sé architettoniche. Come lo spazio in cui la tesi è "o 'costruita' o 'demolita'", "la natura costituzionale della 'metafora' architettonica non è in nessun luogo più evidente che nell'università… è, innanzitutto, uno spazio di costruzione". Eppure, ironia della sorte, in quanto mera "arte meccanica", all'architettura è stato originariamente negato l'accesso all'università. Solo nel 1866, quando il MIT per primo le ha garantito un posto, essa ha fatto ingresso nel mondo accademico, occupando uno spazio al confine tra le scienze e le arti; la precarietà di questo spazio ha consentito che la teoria dell'architettura come disciplina all'università fosse prolungata ancora di un secolo. Non a tempo illimitato, tuttavia, come conclude Wigley: "Le reti di comunicazione sono diventate la nuova casa della teoria… lo scarto critico tra l'architettura e la sua metafora è stato cancellato" (Mark Wigley, "Prosthetic Theory: Disciplining Modern Architecture", in Assemblage, n. 15 , agosto 1991, p. 9).

La diagnosi di Wigley veniva tracciata con due anni di anticipo sulla comparsa del primo browser grafico per internet, Mosaic; tre anni prima dei motori di ricerca di testi e documenti; quattro anni prima della commercializzazione di internet; e due decenni prima che le università iniziassero la corsa verso l'insegnamento online. L'anno passato, le reti digitali che minacciano di smaterializzare l'università si sono finalmente materializzate. Hanno rivelato il loro edificio. Non sono più ristrette e private, ma enormi e aperte, capaci di cucire insieme milioni di "utenti finali" intorno al mondo. Reinterpretando queste piattaforme per l'educazione online come architettura, il divario ricompare, e con esso lo spazio per un dibattito intorno a ciò che tutto questo significa per l'architettura. Troy Conrad Therrien (@troytherrien)