Nell’area del vecchio aeroporto militare di Riyadh, all’interno del masterplan progettato da Omrania e Henning Larsen Architects per King Salman Park che, con i suoi 16 kmq e una ampia varietà di programmi funzionali (dallo sport, all’arte, all’intrattenimento), diventerà il parco urbano più grande del mondo, è in costruzione il Royal Arts Complex, epicentro culturale del comparto che proietterà la capitale dell’Arabia Saudita in un futuro di città sempre più dinamica e globalmente attrattiva.
A firmare l’imponente opera è lo studio Ricardo Bofill Taller de Arquitectura, che compone i frammenti di un ecosistema composito in cui arte, cultura e socialità si fondono in modo coeso.

Il parco è organizzato per fasce concentriche che sfumano di densità dall’interno, dove si colloca il complesso culturale, all’esterno a contatto con il deserto.
Al centro, un sistema eterogeneo di tredici elementi architettonici, ciascuno concepito per ospitare diverse espressioni della vita culturale, si distribuisce lungo un viale di 1,5 km, scandito da piazze che invitano alla pausa e all’interazione, con funzione di asse connettivo tra la città e il parco e di “spina dorsale” performativa per eventi, installazioni e per la socialità quotidiana: il Museo delle Culture del Mondo, il Teatro Nazionale con una capienza di 2.300 posti e l’Istituto Reale delle Arti Tradizionali (con tre accademie: l'Accademia delle Arti Visive Tradizionali, l'Accademia del Patrimonio Culturale e del Restauro e l'Accademia delle Arti Teatrali), oltre a laboratori e studi d’artista, una biblioteca specializzata, un cinema e un padiglione espositivo.

Nell’intenzionale eterogeneità, sia formale sia di scala, dei gesti architettonici (dai volumi austeri ad impianto ortogonale a quelli più scultorei ed organici), l’approccio compositivo dello studio barcelloneta riflette una sensibilità particolare nella lettura contesto che, al netto di nostalgiche rievocazioni vernacolari, trae spunto dalle caratteristiche ambientale e culturali della regione declinandole attraverso un lessico dichiaratamente contemporaneo e complessivamente coerente: dallo studio calibrato dei rapporti volumetrici tra vuoti e pieni, in modo da favorire l’ombreggiamento e l’ingresso di luce e ventilazione naturali nelle corti interne; all’impiego di una tavolozza di materiali che privilegia i toni caldi del deserto; all’interazione tra i corpi costruiti e le aree pubbliche, solcate da sentieri ombreggiati e punteggiate da macchie di verde autoctono, che attenuano l’impatto del costruito e radicano l’intervento antropico nel paesaggio.