Se il patrimonio storico spesso impone al progettista un immobilismo dovuto a vincoli normativi e pastoie burocratiche, il fatto che ad instillare nuova linfa in un edificio cinquecentesco nel cuore di Roma sia uno degli studi più insofferenti ai limiti (a partire da quelli della geometria euclidea) fa pensare al paradosso. È il caso del restauro recentemente concluso di Palazzo Capponi firmato da Zaha Hadid Architects.

Ed è appunto una “teatralità funzionale” che ispira il progetto di Romeo Roma Hotel, primo intervento realizzato da Zha di riuso adattivo con programma ricettivo. Risalente al XVI secolo, il palazzo nobiliare situato in via di Ripetta, dopo diversi rimaneggiamenti settecenteschi, venne profondamente snaturato negli anni ’60 del secolo scorso per ospitare uffici pubblici.
Nel 2013 un’imprenditoria mecenatesca, attiva nel settore alberghiero di lusso, ha acquisito l’immobile e incaricato Zha di trasformarlo in un “resort urbano” dove benessere, arte, architettura e haute cuisine fossero intrecciati. “La nostra missione è dare valore agli immobili attraverso una profonda integrazione tra design, arte e un know-how gestionale capace di rispondere ai bisogni di una clientela sempre più consapevole ed esigente”, commenta il patron Alfredo Romeo.
Non potendo alterare l’edificio, lo studio ha scelto di sovrapporre all’involucro storico una scenografia contemporanea che lo avvolge e lo nasconde, con duplice funzione: quella “drammaturgica” di configurare uno spazio scenico di ambienti distinti (per via del rigido impianto) ma riconoscibili in un’identità unitaria; quella “pratica” di formare con l’esistente un’intercapedine dove alloggiare tutti gli impianti, i sistemi tecnologici e domotici all’avanguardia per garantire confort riducendo al massimo l’impatto ambientale.
Il risultato è una sequenza di forme fluide, intersezioni geometriche e materiche in cui fil rouge è la rilettura dell’elemento della volta che Zha manipola, decostruisce, ricompone diversamente in ogni ambiente. Un’opera che, come afferma Paola Cattarin (Zaha Hadid Architects), è frutto di un’”intelligenza ideativa, tecnologica e costruttiva che crea spazi “senza sforzo”, nascondendone le complessità”.

Dall’ingresso di Via di Ripetta la reception accoglie i visitatori e introduce nella lobby, dove la testa in marmo bianco di Livia Drusilla (moglie dell’Imperatore Augusto, reperita negli scavi archeologici nel corso del cantiere) accoglie in un radioso spazio a tutta altezza punteggiato da arredi di design e installazioni artistiche, e sormontato da una copertura traslucida retrattile e da una struttura voltata in profili di acciaio inox satinato. Da qui si snodano i percorsi ai servizi comuni al piano terra: il bar, il fumoir, due ristoranti (di cui uno di uno chef pluristellato); ai piani superiori, si collocano le 74 camere e suites, di cui alcune con terrazze private e affreschi.
Una combinazione non convenzionale di materiali artificiali e naturali ecocompatibili, spinti alle loro massime potenzialità grazie all’impiego di maestranze artigianali qualificate e a un’attenzione “maniacale” per i dettagli, connota l’opera. Gli spazi comuni sono plasmati dall’intreccio tra superfici in ebano makassar rivestito in poliestere bicomponente nautico, marmo Statuarietto di Carrara, marmo nero Marquina e crion, marcando flussi di percorsi e zone di sosta.

La lobby è un avviluppante ambiente rivestito in lamiere d’ottone in contrasto con pavimenti in pietra lavica ed ebano e pareti in marmo. Nella spa, pareti in salgemma siciliano contrastano con la scocca degli involucri in vetroresina mentre i pavimenti in pietra lavica riscaldata dialogano con i rivestimenti in legno di cedro e frassino termotrattato e in tadelakt (rivestimento murale a base di calce, di origine marocchina, NdA); nella piscina che si espande nella corte esterna è possibile nuotare e scorgere, attraverso il fondale vetrato, i resti delle vasche ittiche dell’antico porto di Ripetta.

L’irrefrenabile impulso al dinamismo, tipico dello studio, si traduce nei “moti endogeni” che animano gli spazi: dai rivestimenti di pareti e soffitti in ebano che si stirano come sottoposti a trazione, generando vuoti irregolari per ospitare specchi, mensole e cornici delle numerose opere d’arte esposte; alle lastre di marmo di Carrara dei camini a vapore che, come veli lapidei “berniniani”, si rigonfiano e si squarciano come sotto l’impulso di un’esplosione di calore; ai soffitti che si sfibrano in lamelle roto-traslate simili alle branchie di un pesce, formando asole per la ventilazione e l’illuminazione.
Un uso “caravaggesco” della luce, indiretta e direzionata, accentua la teatralità degli ambienti crepuscolari, squarciandone l’oscurità e scolpendo drammaticamente i profili di arredi e finiture.
