Horses non è solo un album, ma un oggetto di design

Non solo la fotografia di Robert Mapplethorpe: a cinquant’anni dall’uscita, Horses di Patti Smith torna come un progetto di design totale, dove suono e immagine formano un’unica architettura sensoriale.

A mezzo secolo dalla sua uscita, Horses di Patti Smith torna in una nuova edizione deluxe che non è soltanto un atto di conservazione sonora, ma una riflessione sull’atto stesso dell’ascolto (e dello sguardo). La ristampa curata da Arista/Sony Music riporta il disco alla sua forma originaria, rimasterizzandolo dai nastri analogici, e ne ripensa il corpo visivo: la fotografia di copertina di Robert Mapplethorpe, le note d’archivio, il design tipografico e la costruzione spaziale del gatefold diventano un discorso integrato sull’immagine come esperienza sensoriale.

È un lavoro di archeologia editoriale che interroga l’iconografia del rock e la sua capacità di sopravvivere come arte visiva, oltre che musicale. Attenzione: l’edizione del cinquantenario non tenta la via della nostalgia. La sua forza sta nel proporre una restituzione curatoriale di ciò che Horses è sempre stato — un’esperienza estetica in cui il suono è inseparabile dall’immagine.

L’edizione 2‑LP include il vinile remasterizzato e materiale bonus: outtakes e rarità mai pubblicate prima. Courtesy Sony Music

Mapplethorpe e la grammatica dell’androgino

Nel 1975, Robert Mapplethorpe scattò la fotografia di copertina di Horses nell’attico di Sam Wagstaff, nel Greenwich Village. Lo spazio, immerso nella luce che filtrava dalle grandi finestre sulla One Fifth Avenue, offriva una neutralità quasi astratta: un ambiente ridotto all’essenziale, dove la luce stessa diventava architettura. Mapplethorpe la sfruttò come un piano fisico, una superficie da cui far emergere il volto e la figura di Patti Smith con una chiarezza scultorea. L’immagine, ormai parte della storia della cultura visiva del Novecento, è costruita su un equilibrio millimetrico di opposizioni: il candore della camicia bianca contro l’ombra del blazer lanciato sulla spalla, la durezza dello sguardo e la grazia della posa, la frontalità classica e l’irrequietezza di un corpo che sembra trattenere il movimento. 

Horses è, fin dall’inizio, un progetto di design nel senso più ampio: la costruzione di una forma visiva capace di sostenere un discorso poetico e sonoro.

La scelta del bianco e nero, lontana da ogni estetica pop, rimanda a un registro quasi liturgico, dove la figura emerge come icona più che come ritratto. Mapplethorpe costruisce un’androginia ieratica, una presenza che sospende le categorie di genere e le sostituisce con una forma di purezza compositiva.


La fotografia diventa così manifesto di un linguaggio visivo che anticipa di decenni le questioni legate all’identità performativa e alla fluidità del corpo. La ristampa del 2025 riprende questa immagine restaurandone la profondità tonale: la texture della pellicola, la grana argentea, i passaggi morbidi della luce naturale. È un restauro filologico ma anche un modo per restituire all’immagine la sua fisicità dopo anni di riproduzioni digitali impoverite.

Smith, nella sua neutralità assertiva radicale, continua a funzionare come icona di proiezione collettiva: sguardo diretto, abito ambiguo, posa trattenuta. Ogni elemento parla di identità come scelta.

Il retro copertina dell’edizione originale di Horses di Patti Smith, 1975

Architettura dell’immagine: tipografia, spazio, silenzio

Horses è, fin dall’inizio, un progetto di design nel senso più ampio: la costruzione di una forma visiva capace di sostenere un discorso poetico e sonoro.

La copertina originale impiega una tipografia minimale, quasi neutra, posta in alto a destra come fosse un inciso marginale, agendo per sottrazione. Il testo non compete con l’immagine, ma ne amplifica la tensione. Lo spazio bianco che circonda il volto di Smith funziona come una camera di risonanza visiva, una pausa che consente allo sguardo di respirare.

Il vinile dell’edizione originale di Horses di Patti Smith, 1975

Nella nuova edizione, la cura tipografica diventa parte del discorso curatoriale. Le note interne e i crediti adottano un carattere lineare, asciutto, quasi museale: un gesto che rinnova la grammatica del minimalismo grafico anni Settanta, traducendola nel linguaggio contemporaneo dell’editoria d’arte. È la conferma che Horses non è soltanto un album, ma un oggetto di design, un artefatto progettuale dove la disposizione delle lettere ha lo stesso peso semantico del suono.

Dentro la copertina: Franck Stefanko e la scena condivisa

Aprendo il gatefold, si incontra un’immagine di Franck Stefanko: una fotografia di gruppo che restituisce la dimensione collettiva dell’opera. Se Mapplethorpe costruisce il mito, Stefanko ne mostra l’umanità.

La sua band photo, in bianco e nero nitido ma non patinato, ritrae Smith e i suoi musicisti con un rigore quasi documentario. Non c’è teatralità, ma una prossimità discreta: i corpi intrecciati, le mani visibili, un’illuminazione diffusa che cancella il pathos per lasciare emergere la struttura del gruppo come organismo sonoro.

La copertina esterna dell’edizione originale di Horses di Patti Smith, 1975

Stefanko, già autore di ritratti di Springsteen e della scena del New Jersey, introduce in Horses un’estetica della verità quotidiana, che bilancia la ieraticità di Mapplethorpe. Nel dialogo tra le due immagini si misura l’essenza del progetto: l’icona e la comunità, l’immagine assoluta e la realtà condivisa.

Il corpo del suono: nastri, demo, frammenti

La ristampa 2LP non si limita al restauro visivo: propone anche materiale sonoro inedito, estratto dai nastri originali. In particolare, i conteggi di studio, rivelano la dimensione corporea del suono di Patti Smith, permettono di sentire l’album mentre si costruisce, di percepire la fragilità del gesto prima che diventi icona. La voce, registrata con minore compressione e maggiore ampiezza dinamica, emerge come materia viva, quasi scultorea. È un ascolto archeologico, dove il fruscio del nastro e la risonanza dell’ambiente diventano parte integrante della composizione.

Nell’era dello streaming, la materialità della ristampa assume un valore politico. Il vinile, la carta, l’inchiostro, la superficie satinata: ogni elemento è pensato per restituire un’esperienza sensoriale.

La nuova masterizzazione, firmata da Ryan Smith per Sterling Sound, restituisce profondità e grana, rendendo udibile ciò che l’orecchio digitale tende a cancellare: la temperatura acustica di una sala, la presenza fisica dell’aria tra microfono e voce. Horses suona di nuovo tridimensionale, abitato, poroso.

Etica della riproduzione: tra archivio e mito

Uno dei meriti più sottili di questa ristampa è il modo in cui affronta la questione dell’etica sonora e visiva. Le immagini di Mapplethorpe appartengono ormai al patrimonio museale; riutilizzarle in un contesto discografico implica una responsabilità estetica e curatoriale. Il disco fa parte della storia della musica.

L’edizione del cinquantenario risolve la tensione tra archivio e mito attraverso la precisione dei crediti, la trasparenza delle fonti e un equilibrio rigoroso tra restauro e reinterpretazione. Non si tratta di sfruttare il mito, ma di riaprirlo criticamente: restituire alla fotografia il suo statuto di opera senza rinunciare alla sua funzione di segno popolare.

Smith durante un’esibizione alla Cornell University, 1978. Foto By Vistawhite - Own work, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

In questo equilibrio tra aura e accessibilità risiede forse la chiave del successo di Horses come oggetto visivo: la sua capacità di attraversare i linguaggi, di passare dal museo al giradischi, dal culto all’uso quotidiano, senza mai perdere la propria densità semantica.

L’operazione editoriale di Arista/Sony Music assume così un valore quasi istituzionale: riportare suono e immagine alla loro materialità significa restituire senso a una cultura che, negli anni della riproduzione digitale, ha perso il contatto con la materia.

La dimensione tattile: materiali, carta, luce

Nell’era dello streaming, la materialità della ristampa assume un valore politico. Il vinile, la carta, l’inchiostro, la superficie satinata: ogni elemento è pensato per restituire un’esperienza sensoriale.

La nuova stampa su cartoncino spesso accentua la percezione fisica della copertina; il contrasto tra la carta opaca del gatefold e la lucentezza del vinile amplifica il dialogo tra luce e ombra che già caratterizzava la fotografia originaria.


È un discorso di design, ma anche di filosofia dell’immagine: l’idea che l’opera viva nella sua consistenza materica, che l’ascolto passi attraverso il tatto e la vista. In un’epoca di consumo immateriale, la ristampa di Horses afferma la centralità del corpo — del corpo dell’artista, ma anche di quello dell’oggetto che la rappresenta.

La stessa scelta di offrire – oltre alla versione 2LP gatefold – un vinile “dapple grey” in edizione limitata aggiunge una variazione cromatica che dialoga con il concetto di pelle e luce, suggerendo che la superficie del supporto può farsi parte dell’opera, non semplice contenitore.

Eredità visiva e contemporaneità

Guardare oggi Horses significa interrogare non solo un’icona, ma la genealogia di un’estetica. Molti dei codici visivi che la fotografia di Mapplethorpe e l’immaginario di Patti Smith introdussero negli anni Settanta — la frontalità antispettacolare, l’ambiguità di genere, la sacralità della posa — sono diventati paradigmi del linguaggio visivo contemporaneo.

Copertina della ristampa 50° anniversario di Horses, remasterizzata direttamente dai nastri originali e riproposta in edizione 2LP deluxe. Courtesy Sony Music

La ristampa, nel suo rigore curatoriale, non tenta di aggiornare quell’estetica: ne riconosce piuttosto la forza originaria, il suo essere ancora attuale perché radicata in un pensiero della forma. Horses resiste, a cinquant’anni, come opera aperta, come sistema di relazioni tra testo, immagine e suono.

In un tempo in cui l’industria culturale tende a ridurre l’esperienza all’ascolto digitale, Horses continua a chiederci di guardare.

Il gesto di aprire il gatefold diventa, oggi, un atto di contemplazione: il fruitore non ascolta soltanto, ma osserva. L’album si offre come dispositivo di visione, e il suo restauro come un atto di restituzione culturale.

L’occhio, l’orecchio, la memoria

Questa ristampa emerge chiaramente come operazione di ricomposizione percettiva. Restituendo all’oggetto la sua complessità visiva — la fotografia, la tipografia, la materia — si riattiva la memoria del suo gesto originario: la creazione di un linguaggio dove la parola poetica diventa immagine e l’immagine si fa suono.

Bread of Angels, il memoir di Patti Smith in uscita il 4 novembre per Random House

In un tempo in cui l’industria culturale tende a ridurre l’esperienza all’ascolto digitale, Horses continua a chiederci di guardare. E nel suo bianco e nero rinnovato, nel suo equilibrio di luce e silenzio, riconosciamo ancora la promessa di un’estetica che non invecchia perché non smette di interrogare — non solo chi siamo, ma come ci vediamo.

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