Cara Zaha Hadid. Una conversazione tra Alessandro Mendini e l’architetta irachena

In occasione del festival Archivissima 2020, ripubblichiamo dall’Archivio di Domus il colloquio tra il direttore Alessandro Mendini e la giovane architetta irachena, fotografata sulla copertina di maggio del 1984.

L’Archivio di Domus partecipa all’edizione digitale del festival Archivissima, quest’anno dedicato alle figure femminili attivatrici di cambiamenti e trasformazioni, con un podcast una selezione di contributi d’archivio sulla storia delle redattrici e delle progettiste che hanno animato la rivista per quasi un secolo. Nella prima giornata della manifestazione, ripubblichiamo il colloquio tra Alessandro Mendini e Zaha Hadid, la giovane architetta irachena a cui il direttore dedica la copertina del maggio del 1984, firmata da Gabriele Basilico.

A. Mendini, Cara Zaha Hadid. Da Domus 650, maggio 1984.

A. Mendini: Tu sei conosciuta specialmente per i tuoi disegni di architettura, dove con virtuose tecniche unisci il linguaggio storico suprematista e quello elettronico. Come collochi la tua ricerca nel panorama dell'architettura oggi?
Z. Hadid: Non si tratta per me di collocare il mio lavoro nel panorama dell'architettura di oggi. Io speravo che potesse essere compreso non a livello di estetica o di grafica, ma per le implicazioni di una tale architettura in questo momento storico. Questo lavoro, i suoi rapporti con l'ultima parte del ventesimo secolo, il progetto territoriale per il secolo a venire. II significato della modernità al di là delle sue implicazioni formali e dell'enfasi sul programma come unico veicolo per esplorare i territori futuri dell'architettura.

AM: Tu insegni Composizione Architettonica all'Architectural Association di Londra. Pensi che l'architettura possa essere insegnata?
ZH: Possono essere insegnati i fatti, ma non il pensiero. Per me insegnare è un’esperienza di apprendimento, ed è per questo che è stimolante. II nostro ruolo come insegnanti di architettura è quello di indirizzare e guidare le generazioni future alla comprensione dell'architettura, allo sviluppo delle idee e, infine, alla realizzazione ed esecuzione di queste idee. Il progetto è una filosofia e può essere insegnato soltanto a sé stessi.

Il progetto è una filosofia e può essere insegnato soltanto a sé stessi

AM: Hai vinto da poco il concorso per il Peak di Hong Kong, uno dei più importanti concorsi banditi negli ultimi tempi. Ti senti realizzata nei disegni oppure il tuo problema è costruire?
ZH: II disegno è un mezzo molto stimolante e interessante, quello che mi dà più piacere nella rappresentazione dell'architettura. Diciamo che è quello che finora ho potuto manipolare di più. Non è usato solo per illustrare l'architettura e descriverla: attraverso di esso si possono esplorare territori di progettazione, e può anche fungere da strumento per il racconto della storia di quell'architettura. Quanto al Peak, costruirlo sarà di grande appagamento e soddisfazione, perché certo l'idea non era quella di un esercizio di abilità nel disegno.

AM: Ti interessa il design? Consideri molto diversi il design e l'architettura?
ZH: II design è un aspetto dell'architettura e a volte non possono essere separati. II design è un sistema di pensiero che non può fare assegnamento solo sul talento, perché non ci sono sostituti per l'intelligenza. Sono entrambi indispensabili all'architettura.

AM: Citami alcuni fenomeni, cose o persone che ti interessano.
ZH: Pensavo che l'epoca dei fenomeni fosse finita, o mi sbaglio? Questo potrebbe sembrare strano, ma una delle cose che mi affascinano di più è la funzione del cervello umano come forza trainante.

La pagina di Domus con l'editoriale di Alessandro Mendini, Cara Zaha Hadid, in Domus 650, maggio 1984.