Francesco Faccin

Francesco Faccin racconta i nuovi progetti della #MDW17: l’innovativa lampada Oled con Francesco Meda per Nilufar, le sedie per Billiani, il grande tavolo di legno e pietra per Busnelli e il progetto per Peter Mabeo con gli oggetti raccolti nello slum di Nairobi.

Francesco Faccin
Francesco Faccin appartiene a una generazione di progettisti che, con determinazione e inesauribile spirito di ricerca, si misura con un mondo in continua trasformazione dove il design è alla ricerca di traiettorie di senso e rinnovate prospettive. Grazie all’incontro con personalità come Enzo Mari e Michele De Lucchi, Faccin ha compreso il valore della manualità e l’importanza dei materiali come elementi centrali di un modo di progettare che l’ha portato a realizzare e tradurre una produzione riconoscibile.
Sin dagli esordi, i suoi progetti si muovono alla ricerca di oggetti dal volto umano dove le tecniche utilizzate sono sempre votate a una semplicità e funzionalità capaci di restituire allo stesso tempo una densità. Quella di Faccin è una sensibilità creativa che salva gli oggetti dal rischio d’insignificanza, da un uso puramente strumentale, attivando riflessioni sul nostro modo di vivere e le relazioni profonde, ma spesso trascurate tra noi e lo spazio in cui viviamo. L’abbiamo incontrato per approfondire le sue ultime ricerche.

 

Marco Petroni: Francesco, partiamo dalla descrizione dai progetti che presenti alla Design Week?

Francesco Faccin: Sto lavorando a un progetto con Francesco Meda per Nilufar. Si tratta di una lampada sicuramente inedita per via della tecnologia che abbiamo impiegato: gli Oled-Mirror di Philips di ultimissima generazione, una nuova categoria di sorgenti luminose che apre scenari del tutto innovativi nel modo di progettare e usare la luce. Gli Oled sono composti da diodi a emissione luminosa e sfruttano le qualità dell’elettronica “organica”.

Hanno un’incredibile durata, efficienza e sono facilmente smaltibili a fine vita a differenza delle lampadine a basso consumo che ci hanno obbligato a comprare per un decennio e che ora sono sul punto di essere bandite.

Nonostante si tratti di illuminazione, un tema che ho indagato poco nel mio percorso, mi sta piacendo molto lavorare con gli Oled perché permettono di creare una lampada “nuda”, dove cioè struttura, luce e componentistica elettronica formano un unico corpo inscindibile. Gli Oled che usiamo sono specchianti al 100% e si accendono magicamente fornendo una luce simile a quella del sole che filtra da una finestra. Quando è spenta, la lampada si comporta come uno specchio riflettendo la stanza e la luce proveniente da altre fonti.

Inoltre, ho presentato un progetto con Peter Mabeo che, in qualche modo, si riallaccia all’esperienza che ho fatto in Kenya con gli oggetti raccolti nello slum di Nairobi. Stiamo realizzando grandi contenitori per piante usando lamiere recuperate nelle discariche di Gaborone, nel Botswana. E, infine, presento due sedie di legno per Billiani destinate al mercato contract e un grande tavolo di legno e pietra per Busnelli entrambe aziende con le quali ho di recente iniziato a collaborare

 

Marco Petroni: Si tratta di progetti abbastanza diversi; uno spinge più verso la tecnologia e l’estetica, gli altri si aprono verso i tuoi consueti orizzonti, più vicini all’artigianalità. Che valore ha nelle tue ricerche la tecnologia e come si concilia con la tua innata necessità di “sporcarti le mani”?

Francesco Faccin: Mi piace la tecnologia che semplifica la vita e scompare. In futuro, gli Oled permetteranno sempre di più di fare lampade di pura luce. La lampada a Oled usa un linguaggio quasi aerospaziale; ricorda un satellite o una serie di pannelli solari e questo mi piace perché è la tecnologia stessa che determina l’estetica del prodotto, non c’è una volontà decorativa. La lampada Mirror è realizzata con inox specchiante, è tagliata a laser e tutte le parti – escluse le connessioni elettriche – sono realizzate da me e Francesco Meda in studio… Le mani sono sempre utili.

 

Marco Petroni: Quando penso al tuo lavoro mi vengono in mente le parole di Remo Bodei che afferma: “Le cose rappresentano nodi di relazioni con la vita degli altri, raccordi tra civiltà umane e natura”. Sei d’accordo con questo punto di vista e come s’inserisce nel tuo percorso progettuale?

Francesco Faccin: Sono sempre più convinto che questo mestiere sia uno strumento formidabile per connettere ambiti e discipline diverse e apparentemente lontane. Fare design, cioè progettare, significa capire e indagare le relazioni profonde tra oggetti, uomo e natura. È un momento storico in cui è chiaro a tutti che dobbiamo mettere a posto alcune cose, rimediare a errori che stanno generando problematiche enormi e fanno presagire scenari apocalittici. Voglio fare progetti che tocchino questi temi urgenti per non finire come l’orchestra del Titanic, che suonava mentre la nave stava affondando. Questo atteggiamento lo si può applicare a qualunque progetto e su qualunque scala. Sono ottimista e ho fiducia nella capacità dell’uomo di trovare sempre una soluzione ai problemi, le conoscenze scientifiche acquisite fin qui ci consentono di ottenere risultati strabilianti con poco. “Il primo problema di un progettista è quello di definire il proprio modello di un mondo ideale e non quello di definire un’estetica.”, sostiene Enzo Mari. Ecco, in questo momento, come progettista, vorrei che i grandi temi entrassero prepotentemente nel mondo del design e dell’industria: per quale mondo vogliamo progettare? Progettare è un’attività in bilico tra presente e futuro, è un processo che crea un collegamento tra un’idea e la sua realizzazione. Il progettista raccoglie dati, suggestioni, esperienze che collega, confronta e mette in relazione fino ad arrivare a una sovrapposizione tra idea e oggetto, così attraverso il proprio lavoro esprime l’idea di società che vorrebbe.

 

Marco Petroni: Quali sono le idee ricorrenti che stanno dietro i tuoi progetti e la tua ricerca?

Francesco Faccin: Uomo-natura, uomo-lavoro, uomo-uomo, uomo-città… Siamo ufficialmente entrati in una nuova era geologica: l’Antropocene. Una suggestione potente, distopica ma allo stesso tempo fortemente immaginifica. L’uomo ha inaugurato con i suoi eccessi e la sua aggressività una nuova era geologica imprimendo per i prossimi millenni nella stratigrafia della terra, la sua presenza. Dobbiamo partire da qui per immaginare come sarà il design dei prossimi 100 anni. M’interessano tutti i lavori che mi permettono di guardare alle origini più che al passato, anche se non sono un nostalgico e mi piace la contemporaneità in cui vivo. E m’interessa molto il carico simbolico delle cose. Per questo, mi piace pensare che ogni nuovo oggetto sia il risultato di storie umane che si concretizzano. Possiamo fare a meno di altri oggetti, ma non di altre storie.

Marco Petroni: Nel tuo lavoro c’è sempre una grande attenzione nella scelta dei materiali. Credi che sia importante la coerenza tra i materiali e il significato dell’oggetto oppure sono due cose tra loro distinguibili?

Francesco Faccin: In generale, mi piace usare materiali naturali perché mi sembra che rientrino meglio in un processo sano di vita del prodotto stesso. L’ultima volta che ho visitato Villa Adriana a Tivoli ho raccolto quello che credevo essere un sasso; era un pezzo di muro della villa che si sta sgretolando inesorabilmente e questo, stranamente, non mi ha suscitato pensieri di decadenza, ma mi ha fatto pensare che quella villa non più un’architettura: è diventata paesaggio. Sarebbe bellissimo se, in futuro, fossimo capaci di progettare cose e architetture che poco a poco ritornano a essere paesaggio. Detto questo, ogni materiale – anche se artificiale– può avere senso e dipende da come viene impiegato. Per esempio usare un combustibile fossile di 160 milioni di anni fa per fare dei piatti usa e getta da pic-nic è un modo idiota di usare le risorse.

Marco Petroni: Il tuo studio è a Milano. Come vivi la città e la Design Week?

Francesco Faccin: Amo Milano, ma mi mancano capre e galline. Prima o poi lascerò questa città, ma per ora è il luogo più comodo ed efficiente per lavorare. La città è un’invenzione dell’uomo per ottimizzare le relazioni, concentrare servizi e offrire suggestioni, Milano in questo senso funziona bene. La Design Week è un momento che vivo con aspettativa e mi piace sempre incontrare persone, colleghi di tutto il mondo.

Marco Petroni: Quali sono le tue ricerche per il futuro?

Francesco Faccin: Da qualche mese ho iniziato una ricerca sulla terra. Ho avviato una collaborazione con uno chef italiano molto noto che prevede la realizzazione di un’istallazione permanente per svolgere delle attività legate alla preparazione del cibo. Ho deciso di usare la terra locale per realizzarlo e da lì sono iniziati molti ragionamenti intorno al tema terra. La terra è territorio e quindi cultura, tradizioni, è materia prima per fare oggetti e architetture, è banca del tempo, conserva cose, storie e le restituisce, lentamente. La terra è il punto di partenza ma anche il punto a cui si ritorna inevitabilmente. Sto lavorando su questo tema anche a Bolzano con i miei studenti e realizzerò un forno di terra cruda per la preparazione del pane a Boisbuchet durante un workshop la prossima estate.

© riproduzione riservata

3–9 aprile 2017
Francesco Faccin

Chandelier
Francesco Faccin con Francesco Meda
Nilufar Depot
Plants container per Peter Mabeo

Galleria Rossana Orlandi
Sedie Green e Blue per Billiani

Fiera Rho-Pero, Pad. 5, Stand C06
Tavolo Controvento per Busnelli

Fiera Rho-Pero, Pad. 6, Stand D33-E24

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