Scelte che fanno le scelte

Mirko Rizzi, fondatore di Marsèlleria, racconta come è riuscito a creare a Milano un luogo per l’arte contemporenea dal programma autonomo, variegato e dedicato soprattutto ai giovani artisti italiani.

A Milano, da alcuni anni, esiste un luogo sui generis, dove la passione personale si fonde con il piacere della relazione diretta con gli artisti, con la libertà di scegliere senza troppi retropensieri, e con un’innata capacità di cogliere tendenze emergenti. È la Marsèlleria, progetto di Marsèll, nata da un trasporto per l’arte che Mirko Rizzi, imprenditore cresciuto a Teramo e approdato a Milano dopo diverse esperienze di orizzonte internazionale, coltiva dalla prima giovinezza, quando da solo, con mezzi di fortuna, intraprendeva il viaggio verso Venezia per visitare la Biennale.

In apertura: Daniel Gonzalez, Pop Up Building. Photo Carola Merello. Qui sopra: Riccardo Benassi, TecnoCasa, 2013

Via Rezia: la zona è centrale, ma non troppo, l’ambiente è neutro, informale, duttile e laboratoriale; lo spazio affacciato su strada s’inserisce perfettamente nel contesto: tutt’altro che una vetrina. I passanti sono sempre benvenuti; i frequentatori del progetto culturale, che ha una forte tendenza al crossover, comprendono artisti, curatori, ricercatori, musicisti, performer, designer, filmmaker e creativi: nel corso degli anni lo spazio che si è aggiudicato un proprio ruolo nel panorama milanese. Il programma è autonomo, variegato, dedicato soprattutto ad artisti italiani delle recenti generazioni, in alcuni casi molto giovani. Numerosi gli eventi, incentrati sulla sperimentazione sonora; basti pensare alle belle mostre di Roberto Paci Dalò o a quelle di Francesco Cavaliere o di Matteo Nasini. Ma il sostegno va anche alla produzione di film come Sudan, di Luca Trevisani, di prossima uscita, con una mostra prevista per fine ottobre presso la Mersèlleria stessa e una proiezione a novembre, nell’ambito del Festival Lo Schermo dell’Arte di Firenze; o come Negus di Invernomuto; e ad attività esterne, come le “Live Arts Week” curate da Xing a Bologna nel 2015 e nel 2016 o il progetto veneziano “Ladies and gentlemen please make yourself comfortable” dedicato agli spazi di Carlo Scarpa che Geraldine Blais Zodo ha curato con Pier Paolo Pancotto nel 2015 e con Chiara Bertola nel 2016. Ma anche con progetti eccentrici come Lu Cafausu.

Morgane Tschiember, (∂ + M) Ψ = 0​, 2016. Photo Sara Scanderebech

Gabi Scardi: hai aperto Marsèlleria nel 2009; cosa ti ha spinto? Mirko Rizzi: Una idea semplicissima, utilizzare lo spazio già disponibile grazie alla nostra attività nella moda, occupandolo e occupandoci di quel che è sempre stata una passione per alcuni soci dell’azienda. La scelta è stata anche influenzata dalla voglia di dare supporto alla produzione di chi ne aveva bisogno, per diversi motivi, economici, di libertà espressiva. Questa sensibilità nasce dall’esperienza diretta. Abbiamo vissuto nel nostro campo la sfida di voler sperimentare, quindi la conosciamo bene; incluse le difficoltà, la durezza, in certi momenti, la frustrazione di non potersi esprimere senza accettare di allinearsi a standard, stereotipi o mode, argomenti ormai accreditati e comuni a tutti.

Francesco Cavaliere, Ganciocielo 2, live performance, 2016. Photo Sara Scanderebech

Gabi Scardi: Com’è arrivata la decisione di aprire al pubblico? Cosa ha significato? A chi ti rivolgi? Mirko Rizzi: Se non apri al pubblico, non apri a nessuno! Sappiamo bene che nel mondo in cui viviamo non scegliamo ma veniamo scelti; quindi in realtà non ho mai pensato di rivolgermi a qualcuno in particolare, e son ben felice di aver a che fare con un’umanità vastissima, eterogenea e ricca di sfumature infinite. Ormai forse purtroppo le sorprese son poche, perché chi viene è già “abbastanza” preparato… Ma questo può essere interpretato anche come un risultato gratificante.

Serena Vestrucci, Ortica, 2016. Photo Sara Scanderebech

Gabi Scardi: Come è cambiata la situazione, da quando avete aperto a oggi? Mirko Rizzi: In realtà poco; lo spirito non è cambiato per nulla; gli errori sono praticamente gli stessi; forse i cambiamenti principali sono nel volume di lavoro e nell’intensità; sì, da quel punto di vista c’è stato un passaggio, da “passione” a “lavoro”; anche se per me il “lavoro” sarebbe un’altra cosa: tecnicamente quasi un obbligo; nel momento stesso in cui puoi determinare tempi, modalità e hai la libertà di scegliere, hai smesso di lavorare e stai iniziando a fare altro…

Gabi Scardi: Ritieni di essere un collezionista? In che senso? Mirko Rizzi: Mai pensato di collezionare, anche se ritengo che sia un atteggiamento innato nell’uomo moderno e forse anche antico. Tutti collezionano. Collezionare è un’emozione che nasce dalla necessità del “possesso”. Ma si differenzia, si può manifestare in mille modi. Per me le opere sono cartoline spedite a te stesso e impuntinate nel proprio luogo più intimo, per ricordare un momento e una relazione. L’acquisto mi dà piacere quando ha il senso di un sostegno a un progetto che mi appassiona.

Lorenzo Senni, AAT + Persona II, 2015. Photo F. Pescatori

Gabi Scardi: Il tuo percorso mi pare molto libero. Come nascono le tue scelte? Mirko Rizzi: Le mie scelte nascono in modo libero! Fortunatamente c’è spazio anche per chi non ha studiato arte contemporanea a Los Angeles… Esperienza che trovo molto intelligente, che consiglierei a mio figlio, e se potessi tornare indietro la farei io stesso, ma spesso le vie alternative alla strada ordinaria sono quelle che provocano le emozioni maggiori.

Gabi Scardi: Ho l’impressione che il tuo approccio nei confronti dell’arte sia molto personale. Che le tue valutazioni passino per lo più attraverso una conoscenza diretta degli artisti. Che tu tenga a queste relazioni e tenda a esplorare progetti, prima ancora di concentrarti sugli oggetti attraverso i quali le mostre prendono forma. È così? Mirko Rizzi: Le opere sono la cosa più “brutta” di una mostra, eccezion fatta per alcuni artisti e in alcuni casi… Molti artisti non dovrebbero neanche “finire “ di produrre il proprio pensiero, esercizio che in certi casi può essere inutile e superfluo; peccato che istituzioni, banche e tutto il mondo economico non l’abbiano capito, ma ci arriveranno. Magari avremo anche un Presidente poeta tra qualche anno… Poter dialogare con persone che hanno la libertà dell’artista è un privilegio incredibile. L’unico problema è che, come quasi tutte le storie a distanza, anche queste finiscono male… Il problema ovviamente è innamorarsi. Se, per l’appunto, ci si occupa di arte non a titolo di lavoro, l’esposizione emotiva può essere molto alta; il rapporto può essere intenso, sincero e drammatico. Questo è un ambito strano, quasi mistico, in cui amore e odio si rincorrono costantemente; le personalità che lo compongono sono varie e molteplici, sempre particolari.

Davide Savorani, Stressed environment, 2016. Photo Carola Merello

Gabi Scardi: Che ruolo attribuisci ai curatori? Mirko Rizzi: Argomentone. Rispondo come risponderei a questa domanda per qualsiasi categoria: pochissimi eccezionali, tanta inutilità. In contesti strutturati si tratta di un lavoro; in altri, è tutto! Il curatore è una figura professionale che può nascondere artisti di livello altissimo e che opera usando le mani, il corpo, il tempo di altri artisti.

Gabi Scardi: Presti molta attenzione agli artisti italiani. Immagino che sia una scelta. È così? Mirko Rizzi: Le scelte le fanno le scelte, se hai i piedi in Italia in quel momento sei italiano, da quel punto di vista abbiamo e faremo solo italiani… Se sono a New York, conosco un cinese che ha tanta bellezza da raccontare e gli piacerebbe tantissimo farlo in Italia, a Milano, da noi! Come lo chiami? Io lo chiamo al cellulare e spero mi risponda! 

Zapruder, Speak in Tongues, 2014

Gabi Scardi: Presti molta attenzione alla sperimentazione, non solo visiva, ma sonora. Da dove nasce questo interesse? Mirko Rizzi: Saperlo aiuterebbe molto a spiegarlo… Ognuno ha un colore, un animale, un fenomeno naturale o anche qualcosa d’immateriale che gli smuove l’anima; forse nel mio caso è il suono. In realtà non sono un appassionato come non sono “dipendente” o fan, ma devo dire che le frequenze mi suscitano emozioni intense. Da dove nasca questo proprio non saprei, nessun familiare o diretta relazione con questo mondo, credo sia una parte del mio patrimonio genetico. Comunque mi sembra che il suono non sia proprio una mia esclusiva: a ben guardare è un elemento della natura che attrae l’uomo da sempre e che in diversissimi modi è stato al centro della cultura di popoli; non ricordo un mondo senza suono!

Gabi Scardi: Segui percorsi diversi; oltre a organizzare mostre nel tuo spazio, tendi a sostenere artisti e progetti esterni a Marsèlleria. Cosa ti motiva in questo senso? Mirko Rizzi: La curiosità porta a guardare intorno, molto liberamente. Non c’è un brief. Io ho la libertà di non pormi limiti e non farmi problemi. Lo stesso è valso per la scelta della sede: sia nel caso del primo spazio, sia nel caso del secondo, aperto da pochi mesi, la scelta è stata frutto di un innamoramento. Ho avvertito un’energia positiva, e tanto è bastato.

Matteo Nasini, Sparkling Matter, 2016. Photo Sara Scanderebech

Gabi Scardi: Qualche progetto che ritieni importante, che ti ha dato molto, a cui sei particolarmente attaccato? Mirko Rizzi: Niente potrà mai superare l’amore e gli affetti: il progetto figli! Ma per tornare al tema di cui si parlava, mi piacerebbe rifare una mostra di tutti gli artisti già passati da Marsèlleria, anche se con qualcuno abbiamo avuto – ho avuto – problemi e situazioni poco piacevoli; ma nel complesso le esperienze sono tutte importanti davvero. Chi poi voglia andare sul nostro sito potrà subito rendersi conto di quelli con cui andiamo più d’accordo; addirittura c’è l’artista forse più valido della sua generazione che neanche lo fa l’artista… Il mitico Giovanni Donadini (un po’ lo sa di essere bravo, ma gli dà fastidio anche saperlo). Comunque, talenti eccellenti collaborano con noi. 

Gabi Scardi: Nuove estensioni del progetto Marsèlleria? Mirko Rizzi: Da qualche tempo Marsèlleria è anche libreria e spazio di consultazione di libri; un luogo in cui trovare pubblicazioni di editori poco rappresentati in Italia, e per attivare interazioni al di là di quelle legate alle mostre. E poi c’è in arrivo la nuova sede di New York; il progetto è in fase di definizione.

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