Theaster Gates: l'artista come attivatore

Il poliedrico artista, urbanista, scultore, curatore e musicista racconta a Domus come sfrutta ambiti diversi per un unico obiettivo: attivare processi sociali di cambiamento che, a partire dal riuso di edifici dismessi, si riflettono su interi quartieri.

Leggendo la tua biografia non mi stupisce tanto l'abilità e il talento con cui tieni insieme la tua professione di artista, curatore, musicista, urbanista, scultore, mediatore sociale eccetera, quanto la coerenza e la specificità con cui questi talenti prendono forma nella realtà, determinando reazioni concrete.
Quello che, da un certo punto di vista, ti associa al ruolo di artista attivista. Cosa pensi di questa definizione e che significato dai a questa parola?

Theaster Gates
: Per prima cosa non mi considero il risultato di una somma. Le singole definizioni mi sembrano abbastanza assurde e penso che favoriscano più l'equivoco che non la chiarezza. Sto imparando a coltivare le cose che mi piacciono e a tradurle in occasioni per arrivare a un certo tipo di risultati. Il risultato talvolta è un obiettivo esplicito, ma altre volte è il sottoprodotto di una prassi condivisa. Questo modo di lavorare ha qualcosa dell'attivismo, dicono, e ci può essere qualche intenzionalità in quel che faccio, ma attivismo non è il termine adatto. Intenzionalità va molto meglio. L'agire è una parte importante del fare. Agire attraverso gli insegnamenti, la guida, toccando gli oggetti direttamente. Agire intenzionalmente può creare un ordine nuovo, occasioni nuove, un CAMBIAMENTO e via dicendo.
In alto: "Classroom" da 12 Ballads for Huguenot House, dOCUMENTA (13). Fotografia: courtesy Kavi Gupta, Chicago | Berlin; qui sopra: "My Labor Is My Protest", South Galleries e 9x9x9, White Cube Bermondsey. Fotografia: Ben Westoby, courtesy Johnson Publishing Company, LLC. Tutti i diritti riservati
In alto: "Classroom" da 12 Ballads for Huguenot House, dOCUMENTA (13). Fotografia: courtesy Kavi Gupta, Chicago | Berlin; qui sopra: "My Labor Is My Protest", South Galleries e 9x9x9, White Cube Bermondsey. Fotografia: Ben Westoby, courtesy Johnson Publishing Company, LLC. Tutti i diritti riservati
Ho letto che, fin da piccolo, il luogo del culto, ovvero la chiesa, è stato la tua seconda casa. Del resto, anche la nascita dell'ensemble Black Monks of Mississippi è ciò che prende forma dalle tue esperienze "spirituali". Musica e performance sono fondamentali nel tuo processo di trasformazione e "riscatto" di luoghi, oggetti e percezioni. Che cosa ti interessa esattamente della musica e in che modo ne fai emergere il valore rituale?
Il culto è un modo molto interessante per capire questo punto. Non è diverso dalla 'religione dell'arte', come si suol dire. Il culto di una chiesa [ride] è in realtà la cultura di persone molto competenti e saldamente radicate che esprimono il loro amore nei confronti di Dio e la loro conoscenza della condizione umana attraverso canti e sermoni, parabole e liturgia. Il lato magico della musica vista attraverso questa lente era che valeva la pena di praticarla con tutta la passione, e talvolta questo dava più soddisfazione del cantare bene. Ho capito che si poteva agire in base alla convinzione e avere una vita molto più piena che non agendo in base alla precisione o alla correttezza. L'emozione e l'attività, in questo senso, creavano calore. Era un periodo della mia vita in cui andavo proprio alla ricerca di calore. E continuo a cercarlo.
Archive House, "Dorchester Projects", Chicago. Fotografia Sara Pooley
Archive House, "Dorchester Projects", Chicago. Fotografia Sara Pooley
Recentemente, a Kassel, ho trascorso un po' di tempo nella Huguenot House, una casa bombardata durante la guerra e abbandonata dagli anni Settanta che, con l'aiuto di alcuni tuoi collaboratori di Chicago, hai rimesso in piedi insieme con un gruppo locale, ricostruendone stanze per dormire, mangiare, riunirsi, allestire performance e lavorare. Che cosa ha rappresentato secondo te la riconversione di questo spazio per la città di Kassel? E come è riuscito a ricollocarsi dentro alla città con questa identità modificata?
In certo qual modo lo spazio è stato riconvertito. Sotto un altro aspetto è stato semplicemente riattivato. È la riattivazione combinata con l'aggiunta di informazione che fa della HH qualcosa di particolare. Nel tempo l'accumulazione di azioni su un luogo, su un monumento, su un ulteriore momento della storia. Un'accumulazione storica delle edizioni di Documenta con gli interventi di Beuys, fatta di migrazioni e di transizione da città addormentata a città ben sveglia. Il lavoro svolto a Kassel arrivava sull'onda delle Olimpiadi e il compito era di lasciarne un'eredità. Sono certo che la parola 'eredità' mi girasse per la testa mentre ci occupavamo dell'edificio e decidevo come renderlo attivo. Il lavoro è stato accolto con successo perché faceva spazio sia ai cittadini di Kassel sia ai visitatori di ogni parte del mondo. La sua riconversione consisteva nel farne un contenitore che potesse ospitare i desideri e la convivialità di molti di coloro che cercavano un posto dove stare. Io, il mio gruppo, i passanti, gli storici alla ricerca di un episodio da raccontare in futuro.
L'agire è una parte importante del fare. Agire attraverso gli insegnamenti, la guida, toccando gli oggetti direttamente. Agire intenzionalmente può creare un ordine nuovo, occasioni nuove, un cambiamento
"My labor is my protest" 2012, 1969 Hahn fire truck, tar and video. Fotografia: Ben Westoby, courtesy White Cube
"My labor is my protest" 2012, 1969 Hahn fire truck, tar and video. Fotografia: Ben Westoby, courtesy White Cube
Ciò che spesso identifica i luoghi è la percezione che abbiamo di essi. Mi ha stupito molto, leggendo dei Dorchester Projects di Chicago, constatare che la riconversione di un edificio tra la 69a e la Dorchester Avenue in un centro attivo di cultura e coesione comunitaria abbia anche immediatamente reilluminato il quartiere popolare di una luce nuova. Mi racconti meglio che cosa ha contribuito a trasformare un progetto artistico in un progetto di forte valenza sociale? E come la strategia di tipo imprenditoriale sta generando nuovi modelli di economia?
È un lavoro appena iniziato. Non posso dirne nulla di definitivo. È il tentativo di vivere pienamente un luogo. Non è una luce, un faro: sono le persone a essere 'luce'. Gli edifici sono prese elettriche che contengono in potenza la luce. Gli edifici sono contenitori. La cosa che mi pare abbia avuto migliore riuscita nel progetto è che, una volta creati gli spazi, per animarli siamo riusciti a portarci alcune delle persone più straordinariamente creative della città. Performance musicali, installazioni, dibattiti pubblici e cene hanno semplicemente portato la vita rendendo il palazzo più ricco. La nostra speranza è che in assenza di spazi di cultura più ampi nel South Side di Chicago, altri di questi semplicissimi e modesti progetti possano ospitare la magia creativa della nostra città.
"My Labor Is My Protest" 2012. Fotografia Ben Westoby, courtesy White Cube
"My Labor Is My Protest" 2012. Fotografia Ben Westoby, courtesy White Cube
La rivista Ebony ha ricoperto, anche nell'immaginario europeo, un ruolo importante per la cultura afroamericana. La tua costante ricerca sul Movimento per i diritti civili e la Black Culture ti ha portato a sviluppare "My Labor is My Protest", la tua mostra personale al White Cube di Londra. Secondo te, oggi, che cosa è importante mettere in discussione della questione razziale, nel ruolo di artista con una precisa responsabilità sociale?
Non sono sicuro se il mio sia senso della responsabilità sociale né se il lavoro in cui sono impegnato sia il più importante che io abbia mai affrontato. La collezione dei libri e delle riviste di Ebony è un tesoro prezioso che merita una presenza nel mondo perché incarna la negritudine come pochi altri simboli. La Johnson Publishing ha fatto un gran lavoro di produzione e diffusione culturale. Il rischio sta nel fatto che ci si dimentica molto presto del valore profondo delle narrazioni e, con il tempo, bisogna semplicemente che qualcuno provveda a ricordare gli imprescindibili e precisi scopi di queste narrazioni. In questo senso il mio lavoro è in parte di custode e in parte di amplificatore. Io non faccio che comporre e ricomporre un significato, permettendo a gesti creativi e organizzativi di creare una pausa, di fermare il tempo per un momento o poco più. La mia speranza è creare questi momenti di incontro. Charles Esche e io ne abbiamo parlato molto. I momenti in cui si ha l'occasione di incontri reciproci, faccia a faccia o attraverso una tecnica, finiscono con l'avere un valore per tutti e per ciò che ci collega. Rispetto la pausa. Ne vado alla ricerca anche in altre opere.
"My Labor Is My Protest" 2012. Fotografia Ben Westoby, courtesy White Cube
"My Labor Is My Protest" 2012. Fotografia Ben Westoby, courtesy White Cube
Trovo che "The Arts and Public Life", di cui tu sei direttore, sia una bellissima iniziativa per un'università, luogo di formazione, di crescita politica, culturale, sociale. Come è nata l'idea e che cosa l'ha suscitata?
Nei miei ultimi sei anni di lavoro all'Università di Chicago si è continuamente rafforzato il mio interesse nel promuovere la condivisione dell'impegno culturale tra l'università, la comunità di South Side e la città in generale. Volevo trovar modo di accrescerne la profonda prossimità istituzionale. In più pensavo che l'università potesse offrire molto in fatto di assistenza fiscale e culturale, specialmente nel South Side. La mia posizione quindi cerca di coniugare le occasioni culturali, lo spazio e le aspirazioni delle comunità culturali cittadine di avere spazi per progettare, praticare e festeggiare. Alla fine del mese apriremo uno spazio di oltre 900 metri quadrati battezzato Washington Park Arts Incubator e, in collaborazione con il nostro nuovo grande centro artistico – il Reva and David Logan Center for the Arts – realizzeremo concretamente degli straordinari spazi per la condivisione della cultura nel South Side. Il lavoro di realizzare spazi per la cultura sta alla base delle mie convinzioni e della mia pratica artistica.
"My Labor is My Protest"
fino all'11 novembre 2012
White Cube, Londra
South Galleries e 9 x 9 x 9, Bermondsey

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