Più che assumere il ruolo dell'architetto che dà una risposta alle esigenze di chi vive nella zona colpita dal disastro, mi piace vedere le cose dal punto di vista delle vittime. Assumendo questa posizione ho riflettuto sia sulla prospettiva immediata di che cosa si potesse fare subito, sia su una visione di lungo periodo di un decennio. Alla prima opzione appartiene il tentativo di realizzare delle Home-for-All (dei luoghi collettivi di riunione) nelle zone del disastro raccogliendo finanziamenti insieme con gli altri quattro membri del KISYN no Kai (Riken Yamamoto, Hiroshi Naito, Kengo Kuma e Kazuyo Sejima). Quanto all'altro aspetto partecipo al progetto di ricostruzione di Kamaishi, nella provincia di Iwate, che ha una popolazione di circa 40.000 abitanti.
La mediateca di Sendai è stata parzialmente danneggiata dal terremoto dell'11 marzo, subendo danni lievi come la caduta del soffitto dell'ultimo piano. Per gli abitanti di Sendai questa opera architettonica era un apprezzato salotto culturale da un decennio, da quando era stata inaugurata nel 2001. Anche in assenza di programmi specifici la gente si incontrava comunque in quel luogo per scambiare informazioni e interagire. Abbiamo lavorato a restauro della mediateca in modo che potesse riaprire le porte due mesi dopo il disastro. L'episodio mi ha fatto capire quanto un piccolo spazio come la mediateca di Sendai fosse importante per la gente, nelle zone colpite dal disastro, per riunirsi e comunicare. Di qui è partito il progetto di Home-for-All. Dato che ho ricoperto il ruolo di Commissario di Kumamoto Artpolis, un progetto promosso dall'amministrazione provinciale di Kumamoto, proprio questa istituzione locale è stata la prima a offrire un sostegno generoso. Home-for-All è stata realizzata alla fine di ottobre 2011 nella zona orientale di Sendai colpita dal terremoto.
Chi ha perduto la propria casa non riesce a farsi un'idea precisa di come dovrebbe essere la casa nuova. Queste persone capiscono solo che hanno perduto la loro. Dici di aver chiesto la loro opinione e di esserti informato sulle loro attese: che rapporti hai avuto con loro e che cosa ti ha insegnato questa esperienza?
Per costruire la prima Home-for-All ho iniziato dal dialogo con chi risedeva nelle abitazioni provvisorie sul posto. Li ho incontrati varie volte, per conoscere le loro idee e che cosa pensavano mancasse nel loro attuale ambiente di vita. Poi ho compilato la proposta di un piccolo "spazio di vita comune" che rispondesse il più possibile alle loro richieste. Di solito in un normale progetto d'architettura c'è un rapporto particolare tra l'architetto e il committente/utente di un edificio a destinazione pubblica. Ma in questo caso io – l'architetto – e gli abitanti – i committenti – siamo diventati una cosa sola, e insieme ci siamo dedicati a costruire questa piccola casa. Di conseguenza la barriera tra l'architetto e il committente è stata eliminata. Studenti volontari, funzionari dell'amministrazione locale e chiunque fosse coinvolto hanno dato un contributo significativo alla realizzazione del progetto. Provo grande riconoscenza per aver vissuto questa esperienza.
Fondamentalmente non c'è molta differenza. Tuttavia dal terremoto sono ormai passati nove mesi e il grande sforzo di volontà del dopo terremoto si è gradualmente acquietato. Credo che ora sia il momento che studenti d'architettura e architetti ripensino alle loro idee sull'architettura.
Ci puoi raccontare la tua proposta progettuale per la città di Kamaishi.
Kamaishi ha organizzato il Fukkou Project Kaigi, il "comitato per il progetto di ricostruzione", composto da una rappresentanza dei cittadini, da esperti di urbanistica (esperti di ingegneria civile), da funzionari dell'amministrazione locale e da me come architetto. Il progetto di ricostruzione è in corso di elaborazione tramite una serie di laboratori e di riunioni. Di solito in Giappone, in casi come questi, la direzione del processo di progettazione spetta agli esperti di ingegneria civile e non si dà che all'architetto venga chiesto di elaborare il piano regolatore. E tuttavia se noi fossimo stati esclusi dal processo di ricostruzione i progetti avrebbero mancato di umanità e avrebbero avuto un'ispirazione ingegneristica. Come architetto mi sono sforzato di dare ascolto il più possibile alla voce dei cittadini e di integrare nel progetto le loro idee.
Parlando con gli abitanti delle zone colpite dal disastro ho capito che, per quanto fossero costretti a vivere in condizioni di estremo disagio, erano disposti a impegnarsi nella rinascita della loro città, così come la sognavano, con tutte le loro forze. Come dicevo rispondendo alla domanda precedente il progetto di ricostruzione elaborato dall'amministrazione locale, se non riflette le idee dei cittadini, rimane privo di umanità. Di fronte a questa constatazione per me è naturale pensare che è indispensabile integrare le loro aspettative nel mio progetto.
Quali sono le attese di chi è costretto a vivere in un'architettura provvisoria? In altre parole come viene vissuta un'abitazione "provvisoria" per definizione?
Gli abitanti della zona colpita dal disastro prima hanno vissuto in centri di emergenza come le palestre e poi sono stati trasferiti in appositi alloggi provvisori. Tuttavia, in occasione di una mia visita a un centro di emergenza, un anziano mi disse: "Preferiamo vivere nel centro d'emergenza che in un'abitazione provvisoria. Io voglio restare al centro d'emergenza". La ragione è che al centro di emergenza la comunità si mantiene unita, mentre nelle abitazioni provvisorie viene separata. Attualmente, anche se a ogni famiglia viene offerto un appartamento provvisorio, non è previsto alcuno spazio comune dove la gente possa riunirsi. Le condizioni di vita nelle abitazioni provvisorie sono squallide e vuote. Gli abitanti vogliono qualcosa che tenga vivi i rapporti consueti, un universo intimo che dia loro le sensazioni della casa in cui hanno vissuto per tanto tempo.
Superare i problemi emotivi è esattamente quello che dobbiamo fare. Quando è stata realizzata la prima Home-for-All le vittime del disastro hanno iniziato a utilizzarla sempre più come punto d'incontro, e mi pare che il loro animo abbia a poco a poco iniziato a rasserenarsi.
Quali sono state le reazioni del pubblico dopo il 25 ottobre, data del completamento e dell'inaugurazione della prima Home-for-All?
Gli abitanti, quando la prima Home-for-All è stata realizzata, sono stati più felici di quanto non pensassimo. Ci si riuniscono ogni giorno per discutere del loro futuro davanti a una tazza di tè o a un sake. Il giorno dell'inaugurazione piangevano e ci stringevano la mano per esprimere la loro gratitudine.
A prescindere dalla realizzazione effettiva, volevo che tutto il mondo mandasse idee per la Home-for-All agli abitanti delle aree colpite. Perciò ho chiesto ad architetti e studenti di proporci dei disegni. In particolare i disegni degli scolari delle elementari sono stupendi. I bambini spesso hanno ritratto la gente nel centro, da cui si estendono all'architettura e alla città.
E quindi "che cos'è oggi l'architettura"?
Architettura è creare un luogo d'incontro per i sentimenti delle persone.
Una parola sull'impegno sociale dell'architettura.
L'architettura contemporanea è diventata uno strumento per dare un'immagine al capitale dell'economia globale. È ora di liberarci dall'uso strumentale dell'architettura e, come ho già detto, è il momento di ripensare a che cosa l'architettura dovrebbe essere.
Per il padiglione del Giappone alla Mostra internazionale della 13ma Biennale Architettura di Venezia il dibattito con gli espositori è già iniziato. Come il processo si svilupperà non si sa ancora. Ed è la ragione per cui mi aspetto molto. Non so se nascerà qualcosa di stupendo o se invece finirà in niente. Per me l'emozione più forte è andare avanti in un percorso imprevedibile.
