2020, l’anno zero degli aeroporti

La prosperità urbana passa in larga parte per il traffico aereo. La pandemia offre l’occasione per ripensare in ottica multidisciplinare lo scalo e compiere nel futuro prossimo un cambio di paradigma che avevamo immaginato decennale.

Tomas Williams

In collaborazione con Giulio De Carli, fondatore dello studio di progettazione e consulenza strategica One Works e relatore a domusforum 2020

Da quella parentesi un po' surreale che sono state le vacanze estive nell'anno del Covid, è emersa in tutta la sua complessità una rappresentazione plastica di che cosa (forse) vorrà dire viaggiare in aereo nel futuro prossimo.

Il tema che più salta all’occhio è evidentemente quello della profilassi sanitaria, con tutti i risvolti e le insidie questa porta con sé a livello pratico, legale e sociale. 

L'odissea dei viaggiatori tra termoscanner, mascherine e percorsi obbligati è però soltanto una delle tante sfide che il settore aeroportuale si trova ad affrontare in quest’epoca di passaggio, e probabilmente non la più complicata.

O per meglio dire è soltanto la prima stazione di una corsa a ostacoli che in un certo senso conduce al futuro cercando di tornare a qualcosa di (non troppo) simile al passato. A quando cioè il viaggio aereo simboleggiava – ma prima ancora concretizzava – l'Antropocene globalizzato.

Trasporto aereo, il sistema nervoso del mondo

Se a livello geopolitico la globalizzazione è una questione di rotte commerciali e quindi di traffico marittimo, il fattore umano viaggia in aereo, portando con sé le idee e le visioni che interpretano e plasmano la realtà. In altre parole, se le vie marittime sono le arterie dell’organismo globale, quelle aeree sono il sistema nervoso.

Per esempio, diverse ricerche dimostrano che negli Stati Uniti, l'aumento della produzione, dei salari e dei redditi, la quota di laureati e l'industria ad alto valore tecnologico di un dato territorio sono strettamente correlati al numero di passeggeri aerei pro capite.

Le grandi città del passato erano state costruite prima intorno ai porti e poi alle stazioni ferroviarie e nel mondo di oggi questo ruolo di porta d’accesso alla prosperità spetta agli scali aerei.

Non a caso l'ammodernamento strutturale e il miglioramento dei servizi aeroportuali a 360° sono al centro dell’agenda dei paesi dall’economia consolidata, mentre quelli in via di sviluppo oppure in cerca del definitivo ingresso nell'élite mondiale investono in nuovi scali, consci che da questi si irradi una politica concreta di sviluppo socioeconomico.

Se i maggiori hub erano tradizionalmente negli Stati Uniti e in Europa, nell'ultimo decennio un grande numero di nuovi mega scali sono sorti in Medio Oriente e in Asia, e il traffico aereo si sta (stava?) spostando verso est, seguendo la crescita demografica ed economica che si accompagna al nuovo stile di vita di quelle latitudini.

Prima delle misure anti-contagio, nel mondo volavano ogni anno circa quattro miliardi di passeggeri e le stime prevedevano il raddoppio nel giro dei prossimi due decenni.

È insomma impossibile immaginare che l'economia mondiale possa rimettersi definitivamente in moto senza che il traffico aereo torni per lo meno vicino ai livelli pre-crisi.

Secondo quanto stimato dalla IATA – l'associazione internazionale delle compagnie aeree – per il ritorno ai livelli pre-Covid del trasporto passeggeri si dovrà attendere almeno il 2024 mentre per il 2023 ci si attende il recupero quasi totale del trasporto a corto raggio. Quanto al 2020, l'annus horribilis dovrebbe chiudersi con un calo del 55% rispetto all’anno precedente.

Rimanendo al solo trasporto aereo, sempre la IATA stima un deficit a livello globale di 419 miliardi di dollari e ben sette milioni di posti di lavoro a rischio, indotto compreso.

Previsioni che fanno tremare le ginocchia e che implicitamente sottendono due elementi non del tutto scontati: a) che il virus venga rapidamente sconfitto b) che il trasporto aereo con annessi e connessi sappia riformarsi e rinascere.

Per il settore aeroportuale è un'occasione obbligata per ripensarsi in ottica multidisciplinare e compiere nei prossimi mesi un turn-around che si era immaginato decennale o addirittura ventennale.

La chiave di interpretazione del futuro modello non può prescindere da un vero e proprio cambio di paradigma: il salto dalla centralità dell'architettura fisica a quella digitale o, se vogliamo, allo sviluppo della prima in funzione della seconda.

Una cosa appare certa: superata la fase di emergenza – che potrebbe durare anche qualche anno a fasi alterne – bisognerà proteggersi dal rischio di altre pandemie.

Potremmo trovarci a vivere in una condizione di costante on-off, di necessaria flessibilità tra una configurazione attiva nei periodi più tranquilli e una in cui possono subentrare nuovamente delle restrizioni senza avere impatti rilevanti.

Immagine di Kelvin Balingit

Il ruolo della tecnologia

L'emergenza sanitaria non fa altro che accelerare processi già in corso, avvicinando un futuro che a grandi linee intravediamo da un po'. Nel futuro prossimo i controlli di sicurezza e lo screening della salute dei passeggeri, verranno effettuati con sensori biometrici.

Passeggeri e bagagli saranno riconosciuti e analizzati da scanner che renderanno obsoleti i controlli fisici dei documenti. Ogni cosa avrà un’etichetta digitale: persone, bagagli e merci. E sarà rintracciabile lungo tutto il viaggio, qualunque sia il mezzo di trasporto utilizzato prima e dopo l'aereo. Questo significa che il visto di viaggio e i controlli doganali potranno essere gestiti prima del volo, con un grande risparmio di tempo in aeroporto.

E il ritiro e la consegna dei bagagli saranno offerti dove più conveniente per il passeggero, per esempio in un terminal bus o in una stazione ferroviaria, o meglio ancora alla destinazione finale.

L'efficienza sarà garantita dagli algoritmi predittivi dell'intelligenza artificiale. I dati provenienti dai sensori dell'aeroporto e dalle compagnie aeree tramite il 5G verranno elaborati per prevedere i flussi, razionalizzare le risorse e ridurre i tempi operativi: dalle pulizie, ai turni di lavoro, all'afflusso di taxi e treni, alla manutenzione degli aerei, tutto verrà svolto in regime di just in time.

Versione più avanzata degli odierni chatbot, i futuri assistenti digitali saranno in grado di consigliare le attrazioni locali, di elencare gli hotel vicini e i mezzi per raggiungere il centro città o, semplicemente, di indicare la strada per il gate d'imbarco.

Il futuro degli aeroporti risiede nell'operatività integrata e ad alta intelligenza, in grado di offrire ai passeggeri un'esperienza di viaggio senza intoppi e ai vettori aerei la possibilità di razionalizzare le spese e massimizzare le risorse. Protocolli come la blockchain avranno un ruolo chiave nell'istaurare la fiducia digitale tra passeggero e interfaccia.

Immagine di Olivia Snyder

Un nuovo rapporto con l'ambiente e la sfida della complessità

Tra le responsabilità che questa pandemia ci ha sbattuto in faccia c'è poi quella verso l'ambiente e la natura, che velocemente abbiamo visto riappropriarsi dei suoi spazi, a mo' di monito per il futuro. Vanno mantenuti e coltivati i benefici dei quali abbiamo involontariamente goduto nei mesi scorsi: riduzione delle emissioni e del buco nell'ozono, aria migliore nelle città, acque limpide e fauna ittica per un breve momento fuori pericolo.

Per prima cosa non vanno commessioni gli errori del passato, sperando che la maggiore consapevolezza che ci deriva dalla crisi convinca le élite globali del fatto che una vera politica di sostenibilità ambientale e sociale non è una delle opzioni sul tavolo, ma l’unica strada percorribile.

Si dovranno valutare ammodernamenti, ampliamenti e ristrutturazioni e soprattutto ogni nuovo progetto della dovrà sottendere un diverso rapporto con l’ambiente, sia attraverso l'uso delle nuove tecnologie sia attraverso una rapida implementazioni dei vari protocolli di architettura eco-friendly allo studio da tempo.

Il nuovo paradigma aeroportuale deve nascere dallo sforzo congiunto dei progettisti, degli specialisti dell'impiantistica – pensiamo in particolare al tema dell'aerazione e della climatizzazione – dei designer di interni, degli esperti dei flussi di traffico e dei professionisti della sicurezza.

E poi c'è il tema scottante del rispetto della privacy che rischia di entrare in conflitto con la necessità di tracciare i comportamenti dei viaggiatori per approntare nuove misure di contenimento dell'epidemia presente e di quelle future.

È doveroso usare tecnologie di tracciamento contro il coronavirus, ma la tenuta democratica richiede senz'altro delle accortezze, per scongiurare il rischio di risvegliarci in una società della sorveglianza di massa.

Da qui la necessità di coinvolgere non solo esperti legali ma possibilmente anche intellettuali, filosofi che con la loro riflessione possano contribuire a disegnare un paradigma che mantenga l'essere umano al centro della riflessione ed eviti le derive autoritarie e quelle tecnocratiche.

Infine, è importante che l'auspicato turn-around del settore aeroportuale non rimanga un caso isolato nel panorama delle grandi infrastrutture di trasporto e non solo. Le dinamiche del mondo globale da un lato esigono l'integrazione dei sistemi ma dall'altro rendono disponibili per osmosi saperi e metodi.

La speranza è dunque che l'aeroporto tecnologico, sostenibile e flessibile possa divenire il gold standard del paradigma infrastrutturale prossimo venturo.

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