Gli assoluti: 20 macchine da scrivere imperdibili

Oggetto della memoria ormai relegato alla nicchia dei collezionisti, la macchina da scrivere ha aperto un modo nuovo di gestire la conoscenza, accelerando la crescita economica e l’evoluzione dei rapporti sociali. I modelli più emblematici che ne hanno segnato l’evoluzione.

Writing Ball, Malling Hansen, 1867 Considerata l’antesignano della macchina da scrivere – sebbene siano moltissimi i modelli che già dall’inizio dell’800 furono sperimentati in diverse parti del mondo, spesso all’insaputa l’uno dell’altro - nonché primo modello prodotto commercialmente, fu prototipata nel 1865 e lanciata nel 1870. Il nome descrive bene la sua peculiarità rispetto ai modelli sviluppati in seguito: i tasti sono posizionati su una porzione di sfera – da cui il riferimento alla “palla” – ed imprimono il foglio posizionato su una superficie a scorrimento sottostante. Fu utilizzato da Friedrich Nietzsche.

Remington No. 1, 1874 Considerata la prima macchina da scrivere dell’era moderna, fu progettata da Christopher Latham Sholes e lanciata sul mercato dal fabbricante d’armi Eliphanet Remington, che ne aveva acquisito il brevetto. Oltre ad essere un modello a “scrittura cieca”, ossia una macchina che non permette di vedere cosa si sta scrivendo a meno di non aspettare che il foglio di carta riemerga dal rullo, poteva stampare solo caratteri maiuscoli. La Remington No.1 è però la macchina da scrivere che introduce la tastiera così come la conosciamo sui nostri computer: la cosiddetta QWERTY, concepita da Sholes per velocizzare il processo di scrittura. Venduta in 5.000 esemplari a 125 $ l’una, si conquistò un timido successo commerciale che contribuì però ad imporre il marchio Remington come uno dei riferimenti del mercato. Spesso decorata con motivi floreali, indicava implicitamente il suo destinatario d’uso: una donna.

Remington No. 2, 1878 Evoluzione del modello precedente – questo invece un grande successo di mercato presentato con una vera e propria campagna commerciale - introdurrà il tasto Lower case, che permette di scrivere in minuscolo, e contribuirà ad affermare la tastiera QWERTY come lo standard di riferimento.

Oliver No. 3, 1895 Macchina da scrivere americana prodotta a Chicago da Thomas Oliver, ha i suoi martelletti sia alla destra che alla sinistra del rullo. Rivoluziona i modelli esistenti grazie alla capacità di offrire una visualizzazione del testo scritto, che tuttavia scompare velocemente sotto l’ala sinistra dei caratteri. Si distingue inoltre per un iconico verde bottiglia che ricopre il telaio in ghisa.

Underwood No.5, Franz Xavier Wagner, Underwood, 1900 Modello più famoso tra quelli prodotti dalla celebre casa americana, la No.5 fu uno degli esemplari dal maggiore successo commerciale – per tre decenni, nell’epoca che vede la dattilografia affermarsi come professione e come prassi nell’archiviazione e condivisione dei documenti, se ne vendettero milioni - e in virtù della sua compattezza rispetto ai modelli precedenti si affermò come il modello idealtipico della macchina da scrivere. Alla Underwood si deve la disposizione delle leve a semicerchio, che si affermerà come standard nella quasi totalità dei modelli successivi.

Wabun taipuraitā, Kyota Sugimoto, 1915 Le macchine da scrivere non saranno affatto una specificità del mondo Occidentale: dall’India al Giappone, saranno molti i progetti e le industrie che adatteranno le macchine ai propri alfabeti e alle proprie specificità produttive. Nel Paese del Sol Levante, la wabun taipuraitā (translitterazione di 和文タイプライタ) era capace di utilizzare 2400 caratteri kanji. Per utilizzarla, era necessario individuare e quindi recuperare il carattere desiderato da una grande matrice di caratteri metallici.

LC Smith &Corona, 1930 Macchina da scrivere di Karen Blixen, Kurt Vonnegut e Ernest Hemingway, dalla linea irreducibilmente art déco, si distinse dai modelli precedenti per una caratteristica principale: la sua (relativa) silenziosità.

Hermes 3000, Paillard Bolex, 1950 Sviluppata da una società svizzera già produttrice di meccanismi per orologi, la Hermes è la prima macchina realmente portabile, oltre che marcatamente ergonomica. È dotata di valigia il cui coperchio si aggancia direttamente alla parte posteriore della macchina.

Olympia SM1, 1951 Sintesi formale tra i vecchi modelli di machina da scrivere e i modelli più compatti del secondo Novecento, è uno dei modelli più emblematici degli anni Cinquanta. Definita curiosamente “la Mercedes delle macchine da scrivere”, combinava uso professionale e personale grazie alle dimensioni contenute.

Lettera 22, Marcello Nizzoli, Giuseppe Beccio, Olivetti, 1950 Secondo modello di macchina portatile realizzato da Olivetti, è stato anche uno dei suoi più grandi successi commerciali. Rispetto ai modelli precedenti, la Lettera 22 rappresenterà non solo un modello particolarmente funzionale perché più compatto e facilmente trasportabile - a dispetto dei 4 kg di peso – ma anche una sintesi riuscita tra eleganza e rigore formale. Realizzata in alluminio pressofuso, si distingue per aver incorporato tastiera e rullo e per la presenza di una leva che permetteva di regolare la posizione del nastro, passando dal nero al rosso. La tastiera non includeva né l’1 né lo 0, che dovevano essere scritti con la I e la O. Il suo costo, 40.000 lire, corrispondeva ad un salario mensile medio in Italia. Tantissimi gli intellettuali italiani che la adottarono senza più abbandonarla, da Pasolini a Biagi, Montanelli, Oriana Fallaci, Gianni Mura, Sylvia Plath e Leonard Cohen.

Mettoy Traveller, 1950 Macchina da scrivere per bambini prodotta negli Stati Uniti, si distingue per i tipici colori pastello degli anni Cinquanta e per il profilo spiccato delle manopole: un invito all’uso giocoso per avvicinare i piccoli ad imitare la pratica della scrittura così come è praticata dai grandi. La Mettoy Traveller è ispirata ad un procedente modello TippCo prodotto in Germania nel 1912.

Prima, Godrej & Boyce, 1955 Ultima azienda di macchine da scrivere a cessare la produzione nel 2011, la Godrej & Boyce incarna l’emancipazione del continente indiano dall’importazione dei modelli stranieri. A partire dal 1955, la Godrej & Boyce ha fornito milioni di esemplari in India e nei paesi confinanti, diffondendosi tanto nella pubblica amministrazione che nelle compagnie private.

Selectric, Eliot Noyes, IBM, 1961 Nota come la "macchina con la pallina da golf", la Selectric differisce dai modelli precedenti per l’invenzione di una testina rotante che, sostituendo i martelletti, inglobava tutti i caratteri sulla sua superficie e che, opportunamente inclinata, batteva sul nastro imprimendo le lettere ad una velocità superiore rispetto ai modelli precedenti. La testina poteva anche essere facilmente sostituita, permettendo di cambiare l’alfabeto utilizzato e aprendo di fatto la strada all’utilizzo di più alfabeti in uno stesso documento. La tastiera della Selectric verrà usata come interfaccia per l’IBM System/360, considerato l’archetipo dei mainframe.

Valentine, Ettore Sottsass, Perry King, Olivetti, 1968 Emblema dell’informale, paragonata da Sottsass alla biro della dattiloscrittura, la rivoluzionaria Valentine fu la risposta di Olivetti ai modelli giapponesi, economici e portatili, che alla fine degli anni Sessanta stavano iniziando ad invadere il mercato europeo. Prototipata in moplen e infine lanciata sul mercato in ABS stampato ad iniezione, questa “Lettera 32 travestita da sessantottina” fu concepita da Sottsass come un oggetto personale capace di assecondare il dinamismo delle nuove generazioni. Grazie alla maniglia integrata nel blocco macchina e ai ganci in gomma della scocca, la Valentine può essere trasportata con facilità, eliminando la necessità di una valigetta in cartone o plastica che distingueva i modelli precedenti. La campagna di comunicazione, coordinata dallo stesso Sottsass, si avvalse di grafici d’eccezione come Walter Ballmer, Roberto Pieraccini, Milton Glaser e Graziella Marchi, celebrando lo spirito pop dei giovani a cui si rivolgeva. Rimarrà negli annali della storia del design anche il suo rosso fiammante, sebbene ne esistano esemplari anche in bianco, blu e verde commercializzati in Italia e in Germania.

Brother Deluxe 1522, Brother, 1973 Portatile e compatta, questa macchina da scrivere giapponese con scocca metallica si distingue per la funzione di ripetizione di spaziatura automatica, che permette di avanzare senza dover premere continuamente la barra spaziatrice.

Tippa S, Triumph-Adler, 1975 Prodotta in Germania, la Tippa S è tra gli ultimi esemplari della storica produzione Adler e si distingue per gli angoli, che le conferiscono un profilo scattante e nervoso.  

Lettera 10, Mario Bellini, Olivetti, 1976 Con la stessa meccanica della Lettera 22, la Lettera 10 si distingue per l’inedita forma sfuggente della scocca in plastica, che si appiattisce protesa all’estremità della tastiera e assume invece una forma bombata accanto alle barre.

ET 101, Filippo Demonte, Gian Luigi Ponzano, Olivetti, 1978 Prima macchina da scrivere elettronica della Olivetti e prima a pari merito sul mercato mondiale insieme alla QYX della Exxon Corporation. La macchina ha una memoria di riga che permette di cancellare le ultime parole. Il design della scocca è di Mario Bellini.

Silverette 2, Silver Reed, 1980 Compatta, supertrasportabile anche grazie alla valigetta integrata, con la scocca in plastica in colori brillanti, è uno degli ultimi modelli di macchine da scrivere di massa.

Hemingwrite, Adam Leeb, Patrick Paul, 2014 Superstite della macchina da scrivere nel XXI secolo, sopravvive in modalità elettronica appellandosi ad una nicchia che ne apprezza non solo l’aura retro, ma anche la possibilità di relegare la macchina alla sua funzione primaria: la scrittura. Lanciata con una campagna di crowdfunding, rende possibile la condivisione della versione digitale del documento con altri dispositivi.

Si dice spesso che gli oggetti più longevi siano quelli capaci di rimodulare la propria funzione, adattandola ai capricci del tempo. Un’attitudine che – ahinoi - non è stata quella della macchina da scrivere, un archetipo irrinunciabile per tutti i nati del secolo breve che è velocemente tramontato con l’ascesa del personal computer.

Eppure, a dispetto della sua scarsissima longevità, l’impatto esercitato dalla macchina da scrivere sulla vita quotidiana è stato impareggiabile. Standardizzando la scrittura e rendendola sempre più accessibile e veloce grazie alla continua implementazione tecnica dei suoi modelli, ha strutturato l’organizzazione della pubblica amministrazione, intensificato i rapporti commerciali, e aperto la porta ad una nuova forza lavoro quasi esclusivamente femminile. È intorno alla macchina da scrivere che si delineano i grandi spazi aperti dei nuovi uffici, dove un esercito di dattilografe battono all’unisono i propri testi, definendo una dimensione sonora fino a quel momento sconosciuta intorno alla pratica della scrittura. Oggetto di massa per antonomasia, la macchina da scrivere entra nella vita di moltissime famiglie come anche nella quotidianità della quasi totalità degli scrittori, che si legheranno ciascuno ad uno specifico modello, trasformandolo in un oggetto di culto laico per tutti gli ammiratori.

Sebbene diffuse in tutto il mondo – e prodotte anche oltre la cortina di ferro o nei paesi non allineati, dove si distingueranno attraverso curiose peculiarità nazionali - le macchine da scrivere rimangono soprattutto un appannaggio di aziende americane o tedesche, con qualche nota eccezione – e qui non possiamo che menzionare l’Olivetti – che ha contribuito a differenziare il design, declinandolo su modelli tanto borghesi quanto popolari. Molti i designer che si cimenteranno con la progettazione di un oggetto così squisitamente tecnico – pensiamo a Mario Bellini, George Nelson con la Editor 2, Ettore Sottsass, spesso accompagnati da meno noti ma altrettanto inventivi ingegneri – infondendogli un’identità e una visione d’uso sempre rinnovata.

Oggi, la macchina da scrivere ci appare ammantata di un’aura spiccatamente nostalgica e retrò, soppiantata da quel personal computer che ne ha ereditato la tastiera: un lascito, quello della tastiera QWERTY – il cui nome deriva dall’ordine delle prime sei lettere riportate nella riga in alto a sinistra della tastiera - che si è affermato ovunque nel mondo occidentale, con piccolissime variazioni (i paesi francofoni, ad esempio, si distinguono con la AZERTY, mentre i tedeschi adottano la QWERTZ). Eppure, l’impossibilità di gestire l’ipertestualità impostasi dagli anni ’90 e di garantire il continuo multitasking che Internet ha finito per imporre la rendono ancora attrattiva ad una piccola nicchia di utenti. Sorde al rumore mentale scaturito dalla tentazione di social network e affini, le macchine da scrivere elettroniche rimangono infatti l’ultimo baluardo a difendere la sacralità della scrittura, proteggendo quella concentrazione - e in fin dei conti dedizione - che dovrebbe  accompagnarla.

Writing Ball, Malling Hansen, 1867

Considerata l’antesignano della macchina da scrivere – sebbene siano moltissimi i modelli che già dall’inizio dell’800 furono sperimentati in diverse parti del mondo, spesso all’insaputa l’uno dell’altro - nonché primo modello prodotto commercialmente, fu prototipata nel 1865 e lanciata nel 1870. Il nome descrive bene la sua peculiarità rispetto ai modelli sviluppati in seguito: i tasti sono posizionati su una porzione di sfera – da cui il riferimento alla “palla” – ed imprimono il foglio posizionato su una superficie a scorrimento sottostante. Fu utilizzato da Friedrich Nietzsche.

Remington No. 1, 1874

Considerata la prima macchina da scrivere dell’era moderna, fu progettata da Christopher Latham Sholes e lanciata sul mercato dal fabbricante d’armi Eliphanet Remington, che ne aveva acquisito il brevetto. Oltre ad essere un modello a “scrittura cieca”, ossia una macchina che non permette di vedere cosa si sta scrivendo a meno di non aspettare che il foglio di carta riemerga dal rullo, poteva stampare solo caratteri maiuscoli. La Remington No.1 è però la macchina da scrivere che introduce la tastiera così come la conosciamo sui nostri computer: la cosiddetta QWERTY, concepita da Sholes per velocizzare il processo di scrittura. Venduta in 5.000 esemplari a 125 $ l’una, si conquistò un timido successo commerciale che contribuì però ad imporre il marchio Remington come uno dei riferimenti del mercato. Spesso decorata con motivi floreali, indicava implicitamente il suo destinatario d’uso: una donna.

Remington No. 2, 1878

Evoluzione del modello precedente – questo invece un grande successo di mercato presentato con una vera e propria campagna commerciale - introdurrà il tasto Lower case, che permette di scrivere in minuscolo, e contribuirà ad affermare la tastiera QWERTY come lo standard di riferimento.

Oliver No. 3, 1895

Macchina da scrivere americana prodotta a Chicago da Thomas Oliver, ha i suoi martelletti sia alla destra che alla sinistra del rullo. Rivoluziona i modelli esistenti grazie alla capacità di offrire una visualizzazione del testo scritto, che tuttavia scompare velocemente sotto l’ala sinistra dei caratteri. Si distingue inoltre per un iconico verde bottiglia che ricopre il telaio in ghisa.

Underwood No.5, Franz Xavier Wagner, Underwood, 1900

Modello più famoso tra quelli prodotti dalla celebre casa americana, la No.5 fu uno degli esemplari dal maggiore successo commerciale – per tre decenni, nell’epoca che vede la dattilografia affermarsi come professione e come prassi nell’archiviazione e condivisione dei documenti, se ne vendettero milioni - e in virtù della sua compattezza rispetto ai modelli precedenti si affermò come il modello idealtipico della macchina da scrivere. Alla Underwood si deve la disposizione delle leve a semicerchio, che si affermerà come standard nella quasi totalità dei modelli successivi.

Wabun taipuraitā, Kyota Sugimoto, 1915

Le macchine da scrivere non saranno affatto una specificità del mondo Occidentale: dall’India al Giappone, saranno molti i progetti e le industrie che adatteranno le macchine ai propri alfabeti e alle proprie specificità produttive. Nel Paese del Sol Levante, la wabun taipuraitā (translitterazione di 和文タイプライタ) era capace di utilizzare 2400 caratteri kanji. Per utilizzarla, era necessario individuare e quindi recuperare il carattere desiderato da una grande matrice di caratteri metallici.

LC Smith &Corona, 1930

Macchina da scrivere di Karen Blixen, Kurt Vonnegut e Ernest Hemingway, dalla linea irreducibilmente art déco, si distinse dai modelli precedenti per una caratteristica principale: la sua (relativa) silenziosità.

Hermes 3000, Paillard Bolex, 1950

Sviluppata da una società svizzera già produttrice di meccanismi per orologi, la Hermes è la prima macchina realmente portabile, oltre che marcatamente ergonomica. È dotata di valigia il cui coperchio si aggancia direttamente alla parte posteriore della macchina.

Olympia SM1, 1951

Sintesi formale tra i vecchi modelli di machina da scrivere e i modelli più compatti del secondo Novecento, è uno dei modelli più emblematici degli anni Cinquanta. Definita curiosamente “la Mercedes delle macchine da scrivere”, combinava uso professionale e personale grazie alle dimensioni contenute.

Lettera 22, Marcello Nizzoli, Giuseppe Beccio, Olivetti, 1950

Secondo modello di macchina portatile realizzato da Olivetti, è stato anche uno dei suoi più grandi successi commerciali. Rispetto ai modelli precedenti, la Lettera 22 rappresenterà non solo un modello particolarmente funzionale perché più compatto e facilmente trasportabile - a dispetto dei 4 kg di peso – ma anche una sintesi riuscita tra eleganza e rigore formale. Realizzata in alluminio pressofuso, si distingue per aver incorporato tastiera e rullo e per la presenza di una leva che permetteva di regolare la posizione del nastro, passando dal nero al rosso. La tastiera non includeva né l’1 né lo 0, che dovevano essere scritti con la I e la O. Il suo costo, 40.000 lire, corrispondeva ad un salario mensile medio in Italia. Tantissimi gli intellettuali italiani che la adottarono senza più abbandonarla, da Pasolini a Biagi, Montanelli, Oriana Fallaci, Gianni Mura, Sylvia Plath e Leonard Cohen.

Mettoy Traveller, 1950

Macchina da scrivere per bambini prodotta negli Stati Uniti, si distingue per i tipici colori pastello degli anni Cinquanta e per il profilo spiccato delle manopole: un invito all’uso giocoso per avvicinare i piccoli ad imitare la pratica della scrittura così come è praticata dai grandi. La Mettoy Traveller è ispirata ad un procedente modello TippCo prodotto in Germania nel 1912.

Prima, Godrej & Boyce, 1955

Ultima azienda di macchine da scrivere a cessare la produzione nel 2011, la Godrej & Boyce incarna l’emancipazione del continente indiano dall’importazione dei modelli stranieri. A partire dal 1955, la Godrej & Boyce ha fornito milioni di esemplari in India e nei paesi confinanti, diffondendosi tanto nella pubblica amministrazione che nelle compagnie private.

Selectric, Eliot Noyes, IBM, 1961

Nota come la "macchina con la pallina da golf", la Selectric differisce dai modelli precedenti per l’invenzione di una testina rotante che, sostituendo i martelletti, inglobava tutti i caratteri sulla sua superficie e che, opportunamente inclinata, batteva sul nastro imprimendo le lettere ad una velocità superiore rispetto ai modelli precedenti. La testina poteva anche essere facilmente sostituita, permettendo di cambiare l’alfabeto utilizzato e aprendo di fatto la strada all’utilizzo di più alfabeti in uno stesso documento. La tastiera della Selectric verrà usata come interfaccia per l’IBM System/360, considerato l’archetipo dei mainframe.

Valentine, Ettore Sottsass, Perry King, Olivetti, 1968

Emblema dell’informale, paragonata da Sottsass alla biro della dattiloscrittura, la rivoluzionaria Valentine fu la risposta di Olivetti ai modelli giapponesi, economici e portatili, che alla fine degli anni Sessanta stavano iniziando ad invadere il mercato europeo. Prototipata in moplen e infine lanciata sul mercato in ABS stampato ad iniezione, questa “Lettera 32 travestita da sessantottina” fu concepita da Sottsass come un oggetto personale capace di assecondare il dinamismo delle nuove generazioni. Grazie alla maniglia integrata nel blocco macchina e ai ganci in gomma della scocca, la Valentine può essere trasportata con facilità, eliminando la necessità di una valigetta in cartone o plastica che distingueva i modelli precedenti. La campagna di comunicazione, coordinata dallo stesso Sottsass, si avvalse di grafici d’eccezione come Walter Ballmer, Roberto Pieraccini, Milton Glaser e Graziella Marchi, celebrando lo spirito pop dei giovani a cui si rivolgeva. Rimarrà negli annali della storia del design anche il suo rosso fiammante, sebbene ne esistano esemplari anche in bianco, blu e verde commercializzati in Italia e in Germania.

Brother Deluxe 1522, Brother, 1973

Portatile e compatta, questa macchina da scrivere giapponese con scocca metallica si distingue per la funzione di ripetizione di spaziatura automatica, che permette di avanzare senza dover premere continuamente la barra spaziatrice.

Tippa S, Triumph-Adler, 1975

Prodotta in Germania, la Tippa S è tra gli ultimi esemplari della storica produzione Adler e si distingue per gli angoli, che le conferiscono un profilo scattante e nervoso.  

Lettera 10, Mario Bellini, Olivetti, 1976

Con la stessa meccanica della Lettera 22, la Lettera 10 si distingue per l’inedita forma sfuggente della scocca in plastica, che si appiattisce protesa all’estremità della tastiera e assume invece una forma bombata accanto alle barre.

ET 101, Filippo Demonte, Gian Luigi Ponzano, Olivetti, 1978

Prima macchina da scrivere elettronica della Olivetti e prima a pari merito sul mercato mondiale insieme alla QYX della Exxon Corporation. La macchina ha una memoria di riga che permette di cancellare le ultime parole. Il design della scocca è di Mario Bellini.

Silverette 2, Silver Reed, 1980

Compatta, supertrasportabile anche grazie alla valigetta integrata, con la scocca in plastica in colori brillanti, è uno degli ultimi modelli di macchine da scrivere di massa.

Hemingwrite, Adam Leeb, Patrick Paul, 2014

Superstite della macchina da scrivere nel XXI secolo, sopravvive in modalità elettronica appellandosi ad una nicchia che ne apprezza non solo l’aura retro, ma anche la possibilità di relegare la macchina alla sua funzione primaria: la scrittura. Lanciata con una campagna di crowdfunding, rende possibile la condivisione della versione digitale del documento con altri dispositivi.