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      Le bici dalle origini al futuro: l’evoluzione in dieci modelli

      Le bici dalle origini al futuro: l’evoluzione in dieci modelli

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      Due mansarde ristrutturate sopra i tetti di Genova

      Bowden Spacelander (1946)

      Accanto alle auto e alle moto, il Novecento è anche il secolo delle biciclette. Grazie a Dunlop e Lawson, i designer si scatenano arrivando a creare vere e proprie opere d’arte. Nel 1946 ecco la Bowden Spacelander, una bicicletta “spaziale”. Letteralmente. Faceva leva sulla febbre per la corsa stellare del tempo per promuovere le sue forme curvilinee che sapevano di futuro. In realtà era ben poco futuristica, con un telaio in fibra di carbonio che si rompeva facilmente, e alla fine se ne vendettero solo 500 esemplari ma oggi è ricercatissima tanto da vantare diverse riproduzioni. Proprio come un’opera d’arte.

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      Bowden Spacelander (1946)

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      Bianchi Coppi (1949)

      Basta dire Bianchi per pensare a irte salite, sudore, vittorie, gloria. Siamo nel 1949 e la fabbrica di biciclette di Milano (il nome completo è F.I.V. Edoardo Bianchi, ovvero Fabbrica Italiana Velocipedi) dà vita ad alcune delle due ruote più famose di sempre, i mezzi con cui Coppi impose il suo nome e la sua abilità nel mondo. Realizzata a mano, aveva una trasmissione a 5x2 velocità, cambio a cavo con funzionamento “a molla”, cerchi in legno e doppia borraccia rigorosamente sul manubrio. Il peso superava i dieci chili eppure rese immortale il grido “Un uomo solo è al comando, la sua maglia è azzurra, il suo nome è Fausto Coppi”.

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      Schwinn Sting Ray (1963)

      Voliamo in California per incontrare un modello di bici difficile da dimenticare, la Schwinn Sting Ray. Siamo all’inizio degli anni ‘60 e i ragazzini californiani hanno iniziato a trasformare le loro due ruote per farle assomigliare alle motociclette che vedono sempre più spesso. È da qui che la fabbrica americana prende l’idea per una due ruote a pedali che sembra un chopper, magari accessoriata con frange sul manubrio e quel sellino extra large che permette una seduta comoda e viene soprannominato “a banana”. La vera chicca però è il cambio a leva: mai più senza (fino ai primi ‘90 almeno).

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      Schwinn Sting Ray (1963)

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      Le prime Bmx

      Restiamo in California dove negli anni ‘70 emerge un altro modello destinato a restare: la Bmx. Visti i corsi e i ricorsi della storia, se le motociclette erano nate dalle bici, le Bmx fanno il percorso inverso prendendo ispirazione dalle moto da cross (Il nome sta proprio per “Bicycle Motocross”). Dietro queste due ruote oggi piccolissime e leggere c’erano sempre le Schwinn Sting Ray che nella California meridionale venivano lanciate a tutta velocità su percorsi sterrati. La prova è in On Any Sunday, documentario sul motocross del 1971 che in apertura vede dei ragazzini inforcare delle bici e lanciarsi a tutta velocità su un circuito in terra.

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      Teledyne Titan (1974)

      Nella bicicletta c’è bisogno di leggerezza (ditelo a Coppi) e così Teledyne nel 1974 porta sul mercato la Titan. Il nome dice tutto, questa è una delle prime due ruote con telaio in titanio e il suo produttore non si lascia sfuggire la realtà dei fatti: per promuoverla punterà proprio sul peso “di due terzi rispetto alle altre”. Effettivamente il telaio pesava due chili. Un record.

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      Stumpjumper (1981)

      La California continua a dominare le mode a due ruote anche negli anni ‘80. Proprio nel 1981 la Specialized introduce sul mercato la Stumpjumper, la prima mountain bike di massa. Prima questi telai rinforzati erano disponibili presso pochi artigiani a prezzi esorbitanti ma il leggendario fondatore del marchio, Mike Sinyard, decise di tentare il tutto per tutto. “Non è una nuova bicicletta ma uno sport tutto nuovo” si legge su una delle prime pubblicità dei suoi mezzi e la storia gli diede ragione.

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      Flying Pigeon PA-02 (‘90)

      A vederla non sembra niente di speciale ma la PA-02 negli anni ‘90 è stato il veicolo più popolare di sempre. Nata nel 1950 dalla fabbrica cinese Flying Pigeon, era stata prodotta in 500 milioni di esemplari surclassando qualsiasi altro veicolo esistente. Era così importante nella vita del Regno di Mezzo che per Deng Xiaoping, il successore di Mao, la prosperità era sinonimo di una “Flying Pigeon in ogni casa”. Durante il comunismo la bici costava 150 yuan, come due mesi di stipendio, eppure le liste d’attesa erano lunghissime: si potevano anche aspettare anni per averne una.

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      Lotus 108 (1992)

      Più che una bici, una freccia nata per fendere l’aria e abbattere i record. La Lotus 108 ha tutti i numeri per essere considerata una supercar a due ruote. Nata nel 1992 dal designer Mike Burrows e dalla fabbrica automobilistica inglese, era una monoscocca in carbonio pensata per la pista e dalla sua aveva il più basso coefficiente aerodinamico mai visto fino ad allora su una bici. Fece la sua comparsa alle Olimpiadi di Barcellona del 1992 in cui permise al britannico Chris Boardman di vincere l’oro nell’inseguimento e successivamente di conquistare numerosi primati. Anzi, di schiacciarli di netto. Questi però sono stati invalidati dall’Uci, l’Unione Ciclistica Internazionale, che dal 2000 non ammette più i record stabiliti con “biciclette speciali”.

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      Colnago C40 (1994)

      Milano torna nella storia delle due ruote con un altro modello iconico, la C40 di Colnago. A metà anni ‘90 il produttore milanese dimostra al mondo che i telai in carbonio sono il futuro. È il 1995 quando Franco Ballerini porta alla vittoria la C40 nella Parigi Roubaix segnando il primo podio in assoluto per una bicicletta in carbonio in questa gara e l’impresa sarà ripetuta per altre 4 volte nei 5 anni successivi. Insomma, funzioni. Nel 1996 poi la C40 di Pavel Tonkov vince il Giro d’Italia dando il via ai celebri duelli con Marco Pantani.

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      Surly Pugsley (2005)

      Più ce n’è meglio è avranno pensato alla Surly nel presentare la Pugsley, la prima fat bike “di massa”. Gli pneumatici maggiorati non erano un vezzo: le permettevano di andare agevolmente su sabbia e neve, aprendo nuovi itinerari a chi si era stancato del “solito” fuoristrada. Questa bici ha segnato il primo passo di un movimento che continua tutt’ora ma nel mentre si è diviso in due. Da una parte c’è chi vuole la fat per percorrere lande inesplorate, dall’altra c’è chi la adora per il suo look aggressivo, esagerato e non si cura della maggiore fatica richiesta alle gambe. D’altronde ora le fat sono anche elettriche.

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      Reevo Hubless E-Bike (2020)

      In questa bici manca qualcosa. Anzi più d’una. Si fa prima a dire ciò che manca nella Reevo Hubless E-Bike che a sottolinearne le caratteristiche tecniche. Nata con un finanziamento da 3,1 milioni di euro su Indiegogo, è la prima due ruote elettrica senza raggi né mozzi, non ha catena né forcelle. Il motore è integrato nella ruota e sono i suoi doppi cerchi a fare la magia: uno è fissato al telaio, l’altro invece tiene lo pneumatico al suo posto e lo fa ruotare tramite cuscinetti. Connessa e dotata di app, ha pure l’antifurto con lettore di impronte digitali. In tanti, all’annuncio, avevano gridato alla bufala (o alla truffa) ma questo non ha fermato 1.789 finanziatori a versare almeno 1.934 euro per averne una.

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