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Tutte le vite di Alexa: dal timer alla sfida con ChatGpt

Nata come voce della smart home, Alexa è stata a lungo usata in modo limitato, tra sveglie, meteo e musica. Con Alexa Plus, Amazon punta ora sull’intelligenza artificiale generativa per trasformarla in un assistente più proattivo.

di Andrea Daniele Signorelli

“La nostra preoccupazione è di aver assunto diecimila persone per costruire un timer intelligente”, aveva spiegato l’anno scorso un ex dirigente di Amazon al Wall Street Journal. Un’affermazione che sintetizza bene quello che, per molti anni, è stato il problema principale di Alexa.

Fin dal lancio, avvenuto nel 2014, Amazon ha sempre immaginato il suo assistente digitale – integrato nella linea di smart speaker Echo – come un “hub domestico” intelligente, in grado di gestire la domotica di casa (a partire da lampadine, tapparelle o lavatrici intelligenti), aiutarci a ottenere informazioni, organizzare la giornata familiare, darci una mano in cucina e nello shopping.

I nuovi Echo Dot Max, Echo Studio, Echo Show 8 ed Echo Show 11 presentati a New York da Amazon, con un design rinnovato pronto per supportare Alexa+. Courtesy Amazon Italia

Eppure, ancora nel 2022, i dati relativi all’utilizzo in Italia di Alexa raccontavano una realtà ben diversa: gli utenti avevano usato Alexa per impostare 800 milioni di timer e sveglie, le avevano chiesto 135 milioni di volte le previsioni del tempo e avevano sfruttato il loro assistente intelligente per impostare i promemoria e far partire delle canzoni.

Numeri che confermavano l’utilizzo regolare di Alexa, ma che ne evidenziavano soprattutto l’impiego limitato e per compiti banali. Ma come? Ci era stato promesso uno “smart hub” che col tempo avrebbe imparato a conoscerci talmente bene da anticipare le nostre richieste, e invece ci siamo ritrovati con un dispositivo per impostare il timer della pasta e a cui urlare i nostri comandi musicali?

Cos’è andato storto? Perché il simbolo stesso della rivoluzione degli assistenti digitali non è riuscito a mantenere le promesse, nonostante siano stati venduti più di 500 milioni di dispositivi con Alexa integrata?

Negli ultimi anni, i comunicati stampa di Amazon hanno smesso di raccontare i vari modi in cui le persone usavano Alexa: segnale forse di come l’azienda fondata da Jeff Bezos si fosse resa conto che “impostare centinaia di milioni di timer” non fosse un utilizzo degno di essere pubblicizzato. Altri dati la cui divulgazione sicuramente non ha fatto piacere ad Amazon sono quelli relativi alle perdite accumulate in questo settore: tra il 2017 e il 2021, il reparto dedicato ad Alexa e alla linea di smart speaker avrebbe infatti perso oltre 25 miliardi di dollari.

Nel frattempo, molti altri dispositivi che avrebbero dovuto prendere vita grazie ad Alexa sono stati abbandonati o non si sono mai materializzati. L’esempio più eclatante è quello di Astro: il robot-maggiordomo il cui sviluppo è costato un miliardo di dollari e veniva venduto per 2.400 dollari, ma che l’anno scorso è stato definitivamente ritirato dal mercato.


Le difficoltà di Alexa sono state evidenziate da quanto avvenuto durante l’ondata di licenziamenti che tra il 2022 e il 2023 ha coinvolto tutto il comparto tecnologico: secondo quanto riportato dal New York Times, la divisione di Alexa sarebbe stata il principale bersaglio dei 18mila licenziamenti avvenuti all’interno di Amazon.

Che cos’è andato storto? Perché il simbolo stesso della rivoluzione degli assistenti digitali non è riuscito a mantenere le promesse, nonostante siano stati venduti più di 500 milioni di dispositivi con Alexa integrata?

La pubblicità del primo Amazon Echo messo sul mercato (2016)

I limiti degli smart speaker

Prima di tutto, va specificato che Alexa non è stato l’unico assistente digitale ad avere difficoltà. Lo stesso è accaduto a Google Assistant e alla sua linea di prodotti Home (lanciata nel 2016) e anche alla risposta di Apple con i dispositivi HomePod (lanciati invece nel 2018 e alimentati da Siri). A peggiorare ulteriormente il quadro – ma, come vedremo più avanti, anche a offrire una risposta ai dilemmi esistenziali di Alexa – c’è l’avanzata dei large language model e della “agentic AI”, che promette di riuscire laddove gli smart speaker hanno fallito.

Alexa, nella mente di Jeff Bezos, sarebbe dovuta diventare ‘come il computer di Star Trek’. Questa visione ancora non si è realizzata, adesso però la prospettiva di avere un computer invisibile, che compie azioni di ogni tipo al posto nostro sta diventando sempre più vicina.


Tutto ciò vale a maggior ragione se si considera che – per ammissione degli stessi dirigenti di Amazon – le persone hanno continuato a fare shopping sull’e-commerce fondato da Jeff Bezos usando l’app sul telefono o il computer, mentre l’utilizzo di Alexa per fare acquisti è rimasto marginale. Un problema tutt’altro che secondario, visto che la ragione principale per cui le nostre case sono state invase da dispositivi Echo (venduti a margini praticamente nulli) era proprio quella di incentivare lo shopping su Amazon tramite Alexa, ordinando a voce ciò che ci serve.

E così, arriviamo alla seconda criticità: la voce. Come segnala Dustin Coates, autore del manuale Voice Applications for Alexa and Google Assistant, “è troppo complicato usare un’interfaccia vocale per più di una manciata di scopi. La ragione è anche la difficoltà a scoprire le nuove funzioni disponibili. Quando invece utilizzi una app o una pagina web, ti vengono facilmente mostrate tutte le cose che puoi fare”.


Un’interfaccia vocale manca insomma di “discoverability”, costringendo l’utente a sperimentare e quindi a sbagliare con una frequenza troppo elevata per un dispositivo destinato all’uso domestico e quotidiano.

Ci sono però altri aspetti problematici. Nel caso della musica, qualunque utente di Alexa sa quanto possa essere scomodo chiedere a voce di far partire una canzone: capita che non capisca la nostra pronuncia, che faccia partire una cover invece della versione originale e che, in definitiva, il processo risulti molto più macchinoso di quanto non sia usare l’app di Spotify o di Amazon Music.

L’evoluzione di Alexa

Come risolvere i vari problemi che, nel corso del tempo, Alexa ha presentato? “Alexa sta per diventare molto più intelligente”, aveva spiegato lo stesso Jeff Bezos, intervistato in un podcast nel dicembre 2023. E quindi, auspicabilmente, anche più intuitivo, utile e facile da usare. Meno di un anno e mezzo dopo, nel marzo di quest’anno, è stato presentato Alexa Plus, la cui diffusione è tuttora graduale (avrebbe raggiunto “qualche milione di utenti”) e limitata agli Stati Uniti.

Rispetto alle precedenti versioni siamo di fronte a un salto di qualità: i classici Alexa, Siri o Google Assistant sono infatti dei “sistemi di comando e controllo”. Possono capire una lista finita di domande e richieste, come “che tempo fa a Milano?” oppure “accendi la luce in camera da letto”. Se però l’utente chiede all’assistente qualcosa che non è previsto dal suo codice, il bot si limita a rispondere che non può aiutare.

L'evoluzione degli smart assistant Amazon Echo. Courtesy Amazon Italia

Alexa Plus sfrutta invece i large language model (per la precisione, il modello Nova di Amazon e Claude di Anthropic): sistemi addestrati su un’enorme quantità di dati testuali per imparare a riconoscere, comprendere e reagire a ogni tipo di input. È la stessa tecnologia impiegata da ChatGPT o da Gemini di Google (che lo sta infatti integrando nei suoi dispositivi Home).

A differenza di quanto avvenuto in passato, in cui i dispositivi hardware si moltiplicavano mentre Alexa non faceva grandi passi avanti, adesso Amazon sembra aver cambiato strategia, concentrando la sua attenzione e le sue risorse sulle capacità di Alexa. Stando alle dichiarazioni del responsabile Panos Panay – “Alexa è stata ripensata da zero” ed è adesso conversazionale (non richiede nemmeno di essere attivata ogni volta chiamandola per nome), proattiva e dotata di quelle capacità di “ragionamento” (ovvero di inferenza) che contraddistinguono i sistemi di intelligenza artificiale generativa.

La tendenza è chiara: due prodotti un tempo completamente diversi – l’intelligenza artificiale generativa e gli assistenti digitali – stanno adesso convergendo e ambiscono ad assolvere lo stesso ruolo: aiutarci nella gestione delle nostre esistenze.

Per sintetizzare il cambiamento, può essere utile tornare all’esempio del timer. Se un tempo, prima di mettere in forno il pollo, dovevamo dire noi ad Alexa la durata del timer, adesso possiamo spiegarle che cosa stiamo per mettere in forno e lasciare che sia Alexa a suggerirci il tempo necessario per la cottura.

Allo stesso modo, Alexa può indicarci come utilizzare in una ricetta quello che ci è rimasto in frigorifero o – al di fuori della cucina – aiutarci a gestire il calendario condiviso, suggerirci che cosa indossare prima di uscire in base alle condizioni climatiche e, in definitiva, rivelarsi un assistente digitale allo stesso livello di ChatGPT o Gemini, ma pensato soprattutto per l’utilizzo a voce (sono stati comunque ripensati e potenziati sia il sito web sia la app).

Il primo Amazon Echo (2014). Courtesy Amazon

L’altra grande differenza, che mostra plasticamente anche quanto stiano cambiando i modelli di business, è che Alexa Plus costa 20 dollari al mese (a meno di non avere un abbonamento Prime). Non è quindi più un “proxy” per spingere gli utenti ad acquistare prodotti su Amazon, ma un servizio a pagamento in sé.

Basterà per trasformare Alexa e la gamma di dispositivi Echo in un business profittevole? E soprattutto, sarà sufficiente per tenere a bada la concorrenza degli AI Agent, che promettono di svolgere per noi sempre più compiti (prenotazioni, shopping, calendario, pianificazione vacanze, ecc.) e sono pensati soprattutto, ma non solo, per un uso tramite tastiera?

Se ancora nel 2023 il ceo di Microsoft Satya Nadella affermava che “gli assistenti vocali sono stupidi come i sassi” rispetto ai sistemi di intelligenza artificiale generativa, adesso la situazione è radicalmente cambiata: i due prodotti – basati entrambi su large language model – sono diventati sovrapponibili. Alexa Plus è a tutti gli effetti un AI Agent che possiamo impiegare per prenotare un tavolo a ristorante al posto nostro (integra infatti il servizio OpenTable), per chiamare un taxi (tramite Uber), comprare i biglietti per un concerto (con Ticketmaster) e per svolgere parecchie altre attività simili, che verranno gradualmente integrate.

Per quanto ci siano ancora dei limiti da superare (tra cui quello delle “allucinazioni”, quando cioè la macchina interpreta erroneamente un nostro comando o risponde a esso in maniera sbagliata, che nel caso degli AI Agent può rivelarsi parecchio problematico), la tendenza è chiara: due prodotti un tempo completamente diversi – l’intelligenza artificiale generativa e gli assistenti digitali – stanno adesso convergendo e ambiscono ad assolvere lo stesso ruolo: aiutarci nella gestione delle nostre esistenze.

Frame dal video di presentazione di Alexa+. Courtesy Amazon Italia

Lo dimostra anche la notizia giunta a metà settembre, secondo la quale OpenAI (la società che produce ChatGPT) avrebbe firmato un accordo con l’azienda Luxshare per produrre quello che – secondo le indiscrezioni riportate da The Information – sarebbe uno smart speaker. A svilupparlo dovrebbe essere l’ex designer di Apple Tang Tan, il cui studio, fondato assieme a John Ive (il designer di Apple per antonomasia), è stato acquistato da OpenAI lo scorso maggio per 6,5 miliardi di dollari.

Insomma, se Alexa diventa più simile a ChatGPT, anche ChatGPT adesso vuole la sua versione di Amazon Echo. Sono passati più di dieci anni da quando venne presentata per la prima volta Alexa, che nella mente di Jeff Bezos sarebbe dovuta diventare “sul lungo termine come il computer di Star Trek”. Questa visione fantascientifica ancora non si è realizzata, adesso però – grazie soprattutto alla spinta dell’intelligenza artificiale generativa – la prospettiva di avere un computer invisibile, che risponde ai nostri comandi vocali e compie azioni di ogni tipo al posto nostro sta diventando sempre più vicina.

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