Keith Haring spiega la sua arte a Domus in 9 parole

Oggi la star dell’arte americana, crocevia di pop, street art e influenze transcontinentali, avrebbe 65 anni. Nel 1983 Haring aveva incontrato Lisa Ponti a Milano, in uno scambio capace di abbracciare l’arte di un’intera epoca.

Quando nei primi anni ‘80 l’onda della street art americana ha investito l’Italia, Domus non era certo altrove. Rammelzee a Milano con Corrado Levi, Jean-Michel Basquiat che conversa con Lisa Ponti al Parco Sempione, e immancabilmente Keith Haring. Collabora con Fiorucci, interviene a Roma sui muri del Palazzo delle Esposizioni, viene esposto tra dimostrazioni di hype ogni volta più alte. Lisa Ponti incontra anche lui a Milano, e attraverso meno di dieci concetti riesce a fargli raccontare un’intera storia – la sua – e, con quella, la storia di una stagione unica dell’arte contemporanea. Questo racconto in 9 parole chiave esce nel dicembre del 1983, sul numero 645 di Domus.

Domus 645, dicembre 1983

Keith Haring

L.L.P: colloquio con Keith Haring a Milano, 9 ottobre 1983.

Words, image
II vedere e il pensare possono, credo, venir alterali dalla televisione, dal videotape, dalle trasmissioni via satellite, tutte queste cose che hanno, in un certo senso, disseminato nello spazio la paiola. Il futuro della parola scritta è nello spazio, non nel tempo, per Burroughs. È un tornare a un modo di pensare e capire che appartiene a tempi più primitivi...

Pollock
C’era, negli anni 50, l’idea di un’arte in cui ciò che contava era l’atto, l’intensità massima di concentrazione nell’atto, la registrazione dell’atto. E Pollock ha impersonato questa idea più di ogni altro. Per me, quando faccio un dipinto, davanti alla gente, nella subway o anche in un museo, è questa concentrazione che conta, è un essere realmente dentro il dipinto mentre lo si dipinge. Come era per Pollock.

You can’t erase it
È disegnare e, nello stesso tempo, è una performance. Non puoi fermarti, non puoi correggere, non puoi cancellare. La gente ormai ha già visto. È più difficile di quel che si crede, controllare lo spray... È un passaggio istantaneo dalla mente alla mano. Come nella “calligrafia” orientale...

Alechinsky
Pierre Alechinsky. A 19/20 anni una sua retrospettiva mi ha colpito moltissimo. Vedere quest'uomo di 50 anni e le centinaia di dipinti che aveva fatto. Non ero fuori strada, dunque, lavorando in quella direzione... Anche lui era stato in Giappone, aveva studiato con maestri Zen, nei templi...

Tokyo
Tokyo. È la città più “spaziale” del mondo. Per questo il mio lavoro è più popolare a Tokyo che altrove. È vero che le idee più fresche vengono ancora da New York. Ma Tokyo le raffina. Le fa meglio. Ne fa di più. Prende dall’America l’imagerie comica, e la fa meglio. A Tokyo le mie cose non solo le imitano, le copiano. Già quando io ero là, comparivano le mie immagini, disegnate in gesso sui marciapiedi, per tutta Tokyo...

People like looking down from the airplane
Ho usato pennelli e inchiostro giapponese Sumi, per anni; ho usato anche la carta fotografica perché è grande, fino a 3,7 x 5,7 e il disegnare in queste dimensioni diventa quasi una danza. Più grande è il disegno, più tu sei dentro il disegno. Vorrei fare dei disegni grandi come quelli che han scoperto in Perù, visibili solo dall’elicottero, dall’aereo. Ma vorrei farli in un ambiente urbano, vicino a un aeroporto dove gli aerei atterrano ogni dieci minuti, e la gente guarda giù mentre atterra.

Using a computer
A Tokyo ho disegnato col computer, uno dei più sofisticati computers per la grafica. La cosa interessante è la sconnessione, che c’è, qui, fra la mente e la mano. La mano non ha che da premere dei pulsanti, che controllano spessore, forma, colore della linea. Possibilità di colori, infinite. Ho provato anche a New York, poi, per la copertina di un disco. Ma quel che vorrei fare è un videogame. Le mie immagini sono perfette per un computer, e il videogame è accessibile a tutti...

Completely accessible
Una ragione dei lavori nella subway era che fossero accessibili a tutti, tutti quelli che le gallerie e i musei non raggiungono. E, in questo senso, usare la stampa, le riviste, i poster, i vestiti, ha una ragion d’essere, li rende accessibili a tutti. Per questo ho dato i miei disegni a Vivienne Westwood, un anno e mezzo fa, quando me li ha chiesti per stamparli sui suoi abiti. Ma per me è stato una sorta di progetto isolato. Devo muovermi con grande cautela, nella moda... Anche se quello che vorrei non è dar solo i disegni ma progettare, se non l’abito, i colori e la scala delle immagini. Ne verrebbe tutt’altra cosa. Lo stesso, per le copertine di dischi...

American Artists
Gli artisti americani che amo? Basquiat, il mio preferito, Kenny Scharf, Rammellzee. Rammellzee, che non è così collegato con le gallerie – ed è un bene per lui... Ci sono artisti – come Chico, nell’East Village – quasi del tutto sconosciuti nel mondo dell’arte. Chico, che ha 19 anni, ha coperto le pareti dell’East Village di dipinti, 20, 30, grandissimi, incredibili. Come Lee (Ouinones), un eroe al tempo dei graffiti. Ha dipinto le hand-ball courts nel suo quartiere, dipinti grandissimi, incredibili, e solo nel suo quartiere lo conoscono. Ora lavora un po’ con Barbara Gladstone, ed è un bene: non lo fa sfornare... I ruoli degli artisti stanno cambiando, specialmente in questo momento. Sempre più. E devono cambiare più ancora...

Immagine di apertura: Keith Haring at work in the Stedelijk Museum in Amsterdam, courtesy Nationaal Archief

Ultimi articoli d'archivio

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram