“La calma di un luogo che non è né casa, né studio, né galleria. È uno spazio in cui ‘ospitare’ lo scambio”. Corrado Levi, artista e scrittore, architetto assistente di Albini che insegna al Politecnico di Milano dagli anni dei più grandi cambiamenti, protagonista della lotta di liberazione omosessuale da prima dei tempi del F.U.O.R.I. e di molteplici stagioni dell’arte capaci di incrociare da Carol Rama alla street art americana, è dagli anni ‘80 una presenza importante su Domus. Nel luglio del 1984, sul numero 652, Rosa Maria Rinaldi tracciava un suo ritratto attraverso gli spazi che, allora, lo rappresentavano: contro un concetto domesticità piuttosto stereotipa che stava facendo ritorno in quegli anni, l’immagine che ne scaturisce è quella di una non-casa, fatta di relazioni.
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Dall’olio all’aeroplanino
Corrado Levi è un artista europeo. Critico d’arte, collezionista, professore di composizione alla facoltà d’architettura al Politecnico di Milano, ex assistente di Franco Albini, alcuni esami a Torino con Carlo Mollino, che lo aveva apprezzato moltissimo, Corrado Levi come artista non si sceglie, sceglie gli altri. Artisti e non artisti. Artisti da amare e da inseguire con pazienza ed entusiasmo. Artisti altri che stanno fuori dai circuiti tradizionali, che lavorano come D.J. in discoteche di punta, che tagliano i capelli come abili artisti, giovani inventori e designers di talento, gente ancora libera dalle strettoie del troppo noto. La scelta è attenta, rigorosa, corre sul filo della stessa metodologia usata per l’impostazione teorica dei corsi all’università.
Due sono i livelli — dice Levi — paralleli e indispensabili: la teoria è molto importante, da lei non si può prescindere. La felicità e l'intuizione lo sono altrettanto. E allora da un lato Rammelzee, Carol Rama, Alighiero Boetti, Schifano, Carla Accardi, De Pisis di cui Levi diventa immediatamente “allievo”. Dall’altro la ricerca sottile e costante per ritrovare altrove i fondamenti dell’architettura.
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È finita l’enfasi della pittura. L’informazione è la nuova merce da scambiare. In America lo scambio è alla base dei nuovi contratti del sapere. Lo scambio ti fa trovare altri. Dagli altri sei trovato. In America un piccolo albergo, a N.Y., al West Side Village ospita Levi durante il suo primo viaggio. Un luogo articolato in una serie di piccole stanze simili, in fondo le docce. Là i primi scambi.
A Milano nessuna casa: al suo posto un’auto, su cui passare parte del proprio tempo lavorando, pensando. E l’ospitalità di un amico. Altrove, l’anonima accoglienza di un residence cittadino. Passata anche la voglia di essere circondato dai propri oggetti d’affezione, arredi e opere d’arte, che possono diventare ostacolo al corso fluido dell’esistenza. Allontanati i riferimenti e i consensi, lontano da emozioni e caldi cantucci domestici, emerge vincente il desiderio che coincide con attitudine di stare altrove, un po’ qua, un po’ là, avvolto dal corso dei fatti, delle cose e delle persone incontrati via via.
Percorsi di andata e ritorno: New York, Milano, Torino. Su e giù. Giù e su. La ricerca, lo scambio, la quiete. New York è bellissima, ma Milano è l’unica città europea internazionale, dove forse accadono cose come a New York, dove avviene lo scambio dell’informazione. Importante è convogliare quest’ultima in un percorso libero, non precostituito.
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L’altro stato significa per Corrado Levi stare altrove, come “abitare” momentaneamente uno studio di Via San Gottardo, dove dare via libera alla circolazione dell’informazione. È un loft quasi sotterraneo, immerso in un cortile paesano, estraneo alla metropoli, in cui l’architettura si fonde con i suoi fondali più bassi, che con sentono di restare in bilico tra arte e altro, tra élite e marginalità. Il privilegio di una follia conquistata, lucente come l’amico gay cui è stata inviata una bellissima lettera da Corrado, lucida come il catrame di Stoisa, intervistato da Levi.
“Dall’olio all’aeroplanino”:. l’occasione per ospitare nell’“altro stato” venti artisti. Oggetti, quadri, fotografie, arredi, invenzioni piccole e grandi. L’ospitalità è passività, femminilità, essere gay, non essere mecenate, farsi fotografare soltanto gli occhi. Occhi azzurri e capelli cortissimi.
La calma di un luogo che non è né casa, né studio, né galleria. È uno spazio in cui “ospitare” lo scambio, un po’ come avviene a lezione nel proprio corso. Ogni lezione registrata e filmata. La lezione del non-intervento. Il non intervento che si ritrova su alcune recenti opere di Levi: piccoli quadri trovati, su cui lanciare il proprio messaggio attraverso uno sputo materico di colore. Opere importanti.