Memoires su Ettore Sottsass

Lisa Licitra Ponti, per molti anni protagonista dall'interno della storia di Domus, ritraccia con poche, incisive immagini la figura di Ettore Sottsass e il suo stretto legame con la rivista.

Gio Ponti ha sempre parlato, e sempre inseguito, l’idea di un luogo, di una forma, di una possibilità di perfezione totale al di là del caos quotidiano, dell’incertezza quotidiana, dell’oscurità quotidiana. La sua speranza per un luogo certo, per un luogo, come dice Gio Ponti stesso, essenziale, silenzioso, trasparente, mi ha sempre aiutato, e ha sempre aiutato quelli della mia generazione, e anche quelli della generazione che mi ha preceduto, non solo, ma credo che l’aspirazione a una verità immobile, estatica, cristallina, abbia accompagnato poeti, filosofi, religiosi e uomini di sempre…”. Ettore Sottsass, 1999

Chi s’imbatte in Sottsass entra in una storia già cominciata, e che non accenna a finire
A Sottsass piaceva, di Gio Ponti, una facciatina a Hong Kong, 1974: stretta fra due massicce costruzioni contigue, la facciatina “si liberava” con una grande decorazione, in ciottoli, “fuori scala”. Capovolgere le difficoltà.

A Sottsass piaceva, di Gio Ponti, il ‘capannone’ in via Dezza: un hangar per progetti e modelli, sempre pronto. Progetti e modelli cui non si richiedeva un promotore o un destinatario. Bastava un fotografo.
Ettore Sottsass (sullo sfondo, a sinistra) all'inaugurazione della galleria de Nieubourg a Milano. In primo piano, Bruno Munari. Domus n. 459, 1968
Sottsass, capace di contraddizione. Trovatemi – in Domus, nelle “pagine Sottsass” sparse lungo i decenni – dei vasi più pesanti di quelli di Sottsass, e più leggeri di quelli di Sottsass.

Sottsass sapeva, con la sua Nikon, fotografare oggetti “senza peso”, in pagine “senza peso” e senza ombre, in Domus. E seppe, nel contempo, inventare quei suoi “mobili immobili” che Domus pubblicò in modello: grandi volumi puri, capaci di assorbire dentro di sé, eliminandoli, i mobili minori. Un modo di abolire l’arredare. In questa tendenza alla ‘immobilità’, Sottsass si differenzia da Gio Ponti.
Ettore Sottsass, mobile, 1965. Courtesy of Archivi Domus

Sottsass in viaggio nel mondo, per Domus. A lui Domus deve innumerevoli segnali, segnali da lontano. I primi segnali sul ‘Pop’ da New York – quanti anni fa? – ci sono venuti da lui, segnali già critici, che prevedevano l’entropia incombente…

Chi s’imbatte in Sottsass entra in una storia già cominciata, e che non accenna a finire. Storia di opere, di luoghi, di pensieri, riemersa poi in libri. Anche Gio Ponti si raccontava in libri.


Sottsass, allievo di Spazzapan pittore, a Torino. Ma, a Milano, attratto subito da artisti come Boetti, come Sol LeWitt e Larry Bell, sconosciuti allora. Li incontrava da Toselli. E incontrò Nanda Vigo e il suo scoprire come materia la luce. E Fontana con lei.

Sottsass, critico austriaco. Ma è lui che ha portato la critica dell’architettura a “uscire dalla durezza protestante del razionalismo nordeuropeo”. (E a vedere in Le Corbusier il “genio mediterraneo” che egli era.)


Sottsass, viaggiatore sapiente. Per quanto giovane, la sua sapienza europea lo faceva viaggiare in cerca d’innocenza. (In India, più che il prodigioso Taj Mahal, lo attiravano le pitture infantili sulle bianche facciate delle case…).

Sottsass, perenne devoto di Pevsner. E, a Parigi, di Brancusi. Le pagine di Domus sono il diario di questo amore. Lisa Licitra Ponti

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