Pubblicato in origine su Domus 651 / giugno 1984
Un rinnovato mito tecnologico: storia, fantasia e realtà dei robot in una mostra spettacolare all'American Craft Museum di New York
I robot sono appena nati. Da poco – usciti dall'adolescenza dei laboratori di ricerca – hanno fatto il loro trionfale ingresso nella nostra vita quotidiana. Eppure una volta raggiunto il vertice tecnologico della nuova rivoluzione industriale, gli automi sono già diventati pezzi da museo, reliquie archeologiche di un futuro che sembra già passato. Questa è l'impressione di chi visita la mostra "The Robot Exhibit" organizzata da gennaio a maggio dall'American Craft Museum di New York.
La mostra – una rassegna storica di robot, cyborg, automi e androidi – girerà nei prossimi due anni gli States, ospite di altri 11 musei dalla California all'Illinois. Può sembrare strano che una tecnologia così recente che ha davanti a sé, per opinione unanime, un grande e straordinario futuro, venga già celebrata addirittura nei musei, quasi si trattasse di un'espressione culturale matura. D'altra parte il mito del robot è molto antico e profondamente radicato nella nostra memoria e nell'immaginario popolare. Un mito che si è sempre nutrito di terrore e fascino, irresistibile attrazione e paura (Frankenstein e il Golem sono i due esempi più classici).
Al contrario, i più sofisticati tra i robot moderni, capaci di performance strabilianti (ad esempio: manipolare in orbita i satelliti artificiali), appaiono ai nostri occhi come banali meccanismi, ben poco spettacolari in sé. Le loro forme, il loro design, non ci dicono niente, appiattite come sono dalla funzionalità produttiva per la quale sono stati creati. Servitori fedeli, incapaci di ribellioni o sorprese, totalmente privi di fascino. È una strana mostra dunque quella del Craft Museum. In parte è la celebrazione di un rinnovato mito tecnologico; per il resto si limita a esporre la salma di una millenaria utopia.
I robot, fantastici e inutili, rivelano nelle loro forme tutta la tensione con la quale gli autori si sforzavano di superare i limiti imposti da tecnologie insufficienti