L’arte ostinata e sovversiva di Carol Rama in mostra a Bologna

L’inquietudine era l’impulso vitale di Rama. Una nuova mostra presenta i suoi multipli realizzati tra il 1993 e il 2004, accanto a rari materiali d’archivio.

L’ostinazione di Olga Carolina Rama era già scritta nella sua data di nascita, quel 17 aprile 1918 che, per via di una forse scaramantica avversione al numero sfortunato, l’artista falsifica in tutte le sue biografie, attestando di essere nata il 16 o il 18 del mese.

La tendenza alla sovversione anima il suo fare artistico sin dall'inizio – dall'esplicita connotazione sessuale dei primi dipinti fino alla chiusura per oscenità della sua prima personale, alla galleria Faber di Torino nel 1945. Quella medesima tendenza si farà più ardente e consapevole, fortificata dalla maturità e dall'esperienza, preservandosi fino all'ultima, peculiare fase artistica raccontata nella mostra presso Villa delle Rose, nel quartiere Saragozza di Bologna.

Carol Rama nell’atelier di Franco Masoero. Foto Alexandra Wetzel

È il 1993 e Rama ha ormai settantacinque anni quando incontra l’editore, stampatore e gallerista torinese Franco Masoero. È da questa collaborazione che nasce il prezioso corpus di multipli esposto in mostra, che, sfidando e giocando con i concetti stessi di ripetizione e unicità, rimette in scena l'intero immaginario che aveva permeato le pitture, i disegni e i collage della giovinezza. Ritratti, corpi frantumati, oggetti dell'ordinario sono ancora al centro di un processo creativo che si fonda su pochi ma caratterizzanti elementi: l'essenzialità del disegno, l'eleganza del tratto, la finezza dell'ironia.
Carol Rama interviene sui fogli stampati centellinando il colore di acquerelli o smalti per unghie, scherzando all'infinito sull'austerità di un foglio che dovrebbe, secondo le regole della calcografia tradizionale, restare intoccato.

Carol Rama, Keaton, 1998. Intervento su incisione Idilli III del formato 39,5 x 42 cm con un collage di camera d’aria di bicicletta. Tiratura: 7, es. «Keaton 4/7». © Archivio Carol Rama, Torino

Fortemente autobiografica, passa gli anni a raccontare affetti, abitudini e sensazioni, lasciando al disegno e alla pittura il compito di scandire la sua vita tra presenze e assenze familiari – il legame con la nonna Carolina, il probabile suicidio del padre, l'internamento della madre in un ospedale psichiatrico di Torino. Fa dell'inquietudine la sua spinta vitale, del tormento il motore della sua creatività. Persino dal dolore riesce a ricavare la fiamma più ardente, lasciandosi bruciare ancora e ancora.

Fa dell'inquietudine la sua spinta vitale, del tormento il motore della sua creatività.

La scelta di rimanere sempre isolata rispetto ai grandi movimenti del sistema dell’arte fu per lei costante e consapevole. Mai disposta a rinunciare a quella totale assenza di regole, formali quanto teoriche, trovò nella sua indipendenza uno stimolo continuo, una spinta verso un orizzonte esplorativo di cui, di fatto, non vide mai la fine. 
Fu il Mac (Movimento Arte Concreta) l'unico gruppo al quale, negli anni Cinquanta, scelse di legarsi. Non per una ricerca di punti fermi, ma anzi per ribadire e portare all'estremo la propria distanza da qualsiasi vincolo. Si getta così nell’astrattismo più radicale, lasciando in disparte il figurativo. Tutto ciò che Carol Rama produce viene da dentro, e si concretizza al di fuori.

Carol Rama, La mucca pazza (M.P.22), 2002. Acquaforte e acquatinta su carta Muguet Duchêne, 28 x 22,5 cm. Tiratura: 12, con intervento dell’artista ad acquerello dopo la stampa. Es. 1/12. © Archivio Carol Rama, Torino

L’esplosione e le vibrazioni della sua pittura si asciugano nella mostra, che offre invece lo scheletro, la radice – la matrice, appunto – di una visione artistica che parte dal dettaglio, dal segreto più recondito, per trascinarlo fuori dalla dimensione intima con un sorriso beffardo stampato sul volto.
Raffinata e sgraziata al tempo stesso, Carol Rama manifestò la sua personale anarchia con una compostezza che la rese più grande e rumorosa. Impossibile non vedere nei suoi nudi e nelle sue vulve lo Schiele più sconcio, le medesime linee spezzate e aggrovigliate in un corpo così malinconico che sembra farsi frantumare dallo sguardo.

Accanto al suo successo più alto – il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2003 – sta quello di aver fatto parte del “lazzaretto di regine” che Lea Vergine portò nella mostra “L'altra metà dell'avanguardia 1910-1940”, Palazzo Reale, Milano, 1980: uno spartiacque per la storia dell’arte italiana del XX secolo, perché palesò a critici e storici la portata rivoluzionaria delle tante artiste fino ad allora silenziate in Italia da un antico, cieco e dannoso torpore.

Ultimi articoli di Arte

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram