Arte pubblica: quale ruolo per i monumenti?

A Londra e New York, l’arte pubblica è motore di un’azione critica che stimola la riflessione e innesca un dialogo con il contesto, sollevando tematiche fondamentali per la collettività. Da Domus 1054.

La storia dell’arte pubblica moderna occidentale, in accordo con la fondamentale ricostruzione di Miwon Kwon incentrata sul panorama statunitense [1], si può brevemente riassumere attraverso un percorso che ha conosciuto tre momenti principali: quello del posizionamento di grandi sculture nello spazio urbano negli anni Settanta, quello del site-specific a cavallo tra anni Settanta e Ottanta e quello più orientato
verso il concetto di community-specific a partire dagli anni Novanta. L’arte nello spazio urbano ha però una storia antichissima che si può fare risalire già alla cultura greca e all’epoca romana. Esempi molto noti della storia dell’arte sono quelli degli archi di trionfo e dei monumenti equestri. Si introduce quindi un tema ancora più specifico: quello del monumento con un carattere del tutto peculiare che è spesso celebrativo (di un fatto, di un personaggio o di un’idea dominante). Nella stratificazione storica dello spazio metropolitano l’arte pubblica contemporanea (nella quale sono confluite molte delle consapevolezze di cui abbiamo parlato) e non ha quindi un ruolo cruciale.

Gift Horse di Hans Haacke, 2015. Foto Gautier Deblonde

A questo proposito, nel dibattito internazionale si è riproposto il tema del monumento celebrativo che è simbolo di una storia esclusiva, scritta dai vincitori e che, come ha evidenziato il movimento Black Lives Matter, è un racconto nel quale le minoranze sociali non vengono rappresentate.

Risulta quindi evidente come l’implicita pretesa di posterità e di eternità del monumento debba invece fare i conti con il passare del tempo. Avendo assistito in più occasioni all’abbattimento di sculture e monumenti (i più recenti a opera di Black Lives Matter negli USA
e in Gran Bretagna), oltre al dibattito sull’eventuale spostamento di queste opere all’interno di musei e istituzioni, l’arte ora s’interroga nuovamente sul proprio ruolo nello spazio urbano.

Probabilmente, una delle risposte migliori arriva ancora oggi da un progetto d’arte pubblica risalente alla fine degli anni Novanta come il Fourth Plinth Project di Trafalgar Square a Londra.

Ai quattro angoli di una delle piazze più vissute della città, dove convivono il passaggio dei turisti e la vita quotidiana di londinesi e lavoratori e che è spesso teatro di grandi aggregazioni popolari, si trovano infatti quattro piedistalli, tre dei quali reggono monumenti ottocenteschi di personaggi storici, mentre il quarto, progettato nel 1841 per ospitare una statua equestre mai realizzata, è rimasto vuoto per circa 150 anni.

A partire dal 1994 si avviò una discussione su come dovesse essere riempito il plinto e, dopo un iniziale incitamento alle proposte da parte della popolazione (rivelatesi irricevibili) e un lungo periodo di negoziazione, la Royal Society for the Encouragement of Arts, Manufactures & Commerce scelse di seguire la via indicata da James Lingwood (condirettore di Artangel), il quale suggerì che il basamento dovesse essere dedicato a interventi temporanei di artisti contemporanei selezionati da una commissione.

Alison Lapper Pregnant di Marc Quinn, sul Quarto plinto, Trafalgar Square, Londra, 2005. Foto James O Jenkins

Nel 1998 vennero commissionate le prime tre opere e dal 1999 si sono susseguite fino a oggi 13 sculture di artisti come Mark Wallinger (1999), Bill Woodrow (2000), Rachel Whiteread (2001), Marc Quinn (2005), Thomas Shütte (2007), Antony Gormley (2009), Yinka Shonibare (2010), Elmgreen & Dragset (2012), Katharina Fritsch (2013), Hans Haacke (2015), David Shrigley (2016), Michael Rakovitz (2018) e Heather Phillipson (2020). Tra questi, ci sono progetti che ci fanno riflettere in modo particolare sulle questioni fin qui affrontate come la controversa scultura di Marc Quinn Alison Lapper Pregnant, una donna disabile nuda e incinta che per alcuni fu shoccante mentre per altri rappresentò la celebrazione della disabilità, piuttosto che l’intervento di Antony Gormley, che con One & Other coinvolse 2.400 persone che per 100 giorni si alternarono volontariamenet sul basamento per fare ciò che preferivano. Nel 2010 Yinka Shonibare realizzò Nelson’s Ship in a Bottle, cioè la riproduzione in bottiglia e in scala 1:30 della HMS Victory, nave di Lord Nelson (rappresentato al centro della piazza) che partecipò alla battaglia di Trafalgar del 1805. Shonibare realizzò le vele della nave con tessuti africani facendo riferimento al tema del colonialismo.

Nel 2015 venne invece installato Gift Horse di Hans Haacke, lo scheletro di un cavallo con un bracciale elettronico collegato ai movimenti della Borsa di Londra che evidenziava lo stretto legame tra potere, denaro e storia. Mentre è del 2018 The Invisible Enemy Should Not Exist di Michael Rakovitz, la ricostruzione, in lattine vuote di sciroppo di datteri (simbolo della distruzione dell’industria dei datteri irachena), di una scultura di Iamassu risalente al 700 a.C. distrutta nel 2015 dall’ISIS insieme ad altri manufatti del Museo di Mosul.

Che il Fourth Plinth Project sia tutt’oggi una delle migliori risposte ai quesiti posti lo dimostra anche il fatto che nel 2019 High Line New York inaugura la nuova sezione del parco detta Spur (‘Sperone’) al centro del quale si trova il Plinth, un piedistallo su cui ogni 18 mesi verrà installata l’opera di un artista contemporaneo scelta tra una rosa di progetti. Come racconta la curatrice Cecilia Alemani, infatti, questo luogo è stato concepito “come uno spazio di congregazione, come una piazza tradizionale europea, tipologia questa che manca completamente dalla griglia di strade e viali di Manhattan. Abbiamo pensato che un grande monumento al suo centro potesse aiutare a trasformare questo spazio da luogo di transito a luogo di pausa e di contemplazione.

Veduta aerea del plinto della High Line con la scultura al centro. Foto Timothy Schenk. Courtesy of the High Line

Il Plinth infatti funziona come focal point, come ancora dello spazio, e invita i visitatori a usare questo luogo in modo differente: a fermarsi, guardare ed essere ispirati. Per quanto riguarda le modalità sì, ci siamo ispirati al Fourth Plinth di Londra che penso sia uno dei programmi di arte pubblica più importanti al mondo, un programma che parla a un pubblico molto vasto, ben oltre quello limitato del mondo dell’arte”. A partire proprio dal 2019 si è avviata una discussione sulla mancanza di rappresentanza di donne e persone di colore negli spazi pubblici. Proprio in quel momento, sul plinto dello Spur veniva inaugurata Brick House, enorme scultura di bronzo di Simone Leigh. Quest’opera monumentale si confronta con la verticalità degli edifici che la circondano. Rappresenta il busto di una donna di colore il cui volume, nella parte inferiore, combina le forme di una gonna con quelle delle case in argilla tipiche di alcune popolazioni di Togo, Benin, Camerun e Ciad. La scultura fa parte di una serie di lavori intitolata Anatomy of Architecture e, come spiega bene Eszter Salgò nel suo recente studio [2], sembra invitarci a riflettere anche sulla storia dell’architettura americana da una prospettiva postcoloniale. Come ci dice ancora Cecilia Alemani: “Abbiamo visto come i monumenti che decorano i nostri spazi pubblici sono stati al centro di importantissimi discorsi su chi abbia il diritto di essere commemorato, su come si possa riscrivere la storia e sulla nozione stessa di monumento come qualcosa di eterno. Il Plinth si inserisce in questo discorso”.

Resta quindi da chiedersi ancora (come sta proprio facendo High Line che presto svelerà anche il progetto per la prossima opera) quale sia oggi il ruolo non solo dell’arte nello spazio pubblico, ma dei monumenti in particolare e se può esistere una celebrazione che non solo sia equa nel presente, ma che abbia la forza di risultare tale anche nel futuro.

Quello che certamente ci dicono questi due progetti è che all’interno della città anche l’arte, come l’architettura, può essere considerata motore di un’azione critica che stimola la riflessione e che in uno spazio ridotto, senza necessariamente ricorrere a gesti e dimensioni eclatanti, come una gemma è in grado d’irradiare e innescare un dialogo fondamentale con il contesto che la ospita, sollevando questioni legate alla storia, alla cultura e alle società metropolitane e portando all’attenzione tematiche fondamentali per la vita della collettività.

[1]:
Miwon Kwon, One Place after Another. Site-Specific Art and Locational Identity, MIT Press, 2002 tradotto in Italia da Postmedia Books nel 2020
[2]:
Eszter Salgò, Spiritualità e femminismo nero nell’arte pubblica di Simon Leigh, Postmedia Books, 2020

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