I nudi “vestiti” di Spencer Tunick contro la censura di Instagram

L’artista americano, celebre per i suoi nudi di massa, sfida apertamente il servizio di condivisione di foto e video a New York con una performance provocatoriamente morigerata.

La strada verso la liberazione di Instagram dalla censura sembra ancora lunga e tortuosa. 

Dopo aver ricevuto innumerevoli contestazioni al bando posto sui contenuti di nudo (con particolare riferimento all’ottusità che colpisce la fotografia ma non l’arte in generale, e soprattutto alla misoginia che limita il campo esclusivamente ai capezzoli femminili, ma non alle cicatrici causate da mastectomia o a donne che allattano al seno), ad Aprile Facebook — che nel 2012 ha acquistato Instagram per un milione di dollari — ha annunciato che avrebbe allargato i confini concettuali della propria ristrettezza mentale all’ambito, meno specifico, e quindi più riduttivo, del “sessualmente allusivo”, lasciando che i contenuti inappropriati restino visibili sui feed ma che non siano raggiungibili tramite ricerca o hashtag. 


Sebbene la voce non sia stata inserita nelle linee guida ufficiali della community, è comunque chiaro quanto la direzione presa da Instagram, che da app di effetti e filtraggi visivi è rapidamente diventato il mezzo preferito di condivisione della nostra quotidianità, rischi sempre più di contenere, controllare e confinare la libertà espressiva dei suoi iscritti. Tenuto oltrettutto conto che l’epurazione passa attraverso una immediata, irreversibile e inappellabile cancellazione dell’account reo di aver provato ad aggirare le regole. 

Il discorso è certamente lungo e non privo di insidie, ma fa sempre piacere quando qualcuno torna a toccare questo nervo scoperto. Dopo i tanti artisti e attivisti che si sono spesi e si stanno spendendo per la causa, tocca ora a Spencer Tunick, che di censura e guai legali ne sa parecchio, scendere proprio su quella strada lunga e tortuosa e occuparne pacificamente un tratto: precisamente quello davanti agli uffici newyorkesi di Instagram e Facebook. 

È qui, infatti, che lo scorso 2 giugno ha avuto luogo la sua ultima performance, quando un centinaio tra modelle e modelli, dopo aver risposto alla call lanciata con l’hashtag #wethenipples, hanno posato per lui. 

Stavolta, però, l’artista americano noto per i suoi “nudi di gruppo” ha fatto notizia per un’opera che, sebbene con un piccolo escamotage, di nudo non è: i seni delle donne e i genitali di tutti i performers, per il resto completamente svestiti, erano infatti coperti da cartoncini e adesivi con su stampata l'immagine di capezzoli maschili ispirati dal movimento #frethenipple dell'artista Micol Hebron, permettendo così al fotografo di aggirare in un solo colpo entrambe le limitazioni imposte dalla società contro cui l’azione era indirizzata. Una sfida ai colossi dei social network, apertamente e ironicamente diretta al sistema di algoritmi espressamente studiato da Zuckerberg & Co. per distinguere i capezzoli femminili da quelli maschili.

Ideata in collaborazione con la National Coalition Against Censorship (NCAC), #wethenipples è un passo in più per l’affermazione del diritto d’espressione sui social network (e non solo, verrebbe da aggiungere) e al contempo una riflessione sul discrimine tra fotografia artistica e pornografia e su quello tra arte e vita, su cosa renda artistica una foto e, in ultima analisi, su cosa sia — o dovrebbe dire — l’arte.

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