Saltwater. Una teoria delle forme pensiero

La 14. Biennale di Istanbul, curata da Carolyn Christov-Bakargiev, affronta il tema del doppio, dell’acqua e di quella forma-pensiero che è l’arte.

Una delle specificità della Biennale di Istanbul, dalla prima edizione del 1987 fino a oggi, è che, pur comprendendo artisti di tutto il mondo, non solo è dislocata in punti diversi della città, ma si confronta ampiamente con la geografia umana e urbana di questa città.

Un’altra sua caratteristica è di essere spesso avvenuta in corrispondenza di momenti cruciali: inaugurazioni si sono svolte all’indomani del terremoto devastante nel 1999, e all’indomani dell’11 settembre nel 2001; la nona edizione apriva poco dopo che lo scrittore Orhan Pamuk era stato incriminato per denigrazione pubblica dell’identità turca, per aver definito " genocidio” la pulizia etnica degli Armeni.

Adrian Villar Rojas, The most beautiful of all mothers, 2015. Trotsky House. Photo Kubra Karacizmeli

La tredicesima edizione, curata nel 2013 da Fulya Erdemci, è stata profondamente condizionata dalle tensioni di Gezi Park. In questi casi evidenti, ma anche nelle sue altre edizioni, la Biennale si è così trovata a misurarsi molto direttamente con questa metropoli, turbolenta e cangiante, che conta circa venti milioni di abitanti; e attraverso questo confronto sono sempre passate macroquestioni di ordine sociale, economico e geopolitico che vanno dal rapporto con la storia alla possibilità di coesistenza tra sistemi politici diversi, alla coabitazione tra religioni e culture, agli effetti dell’espansione urbana o delle migrazioni. Basti pensare all’edizione Istanbul curata da Charles Esche e Vasif Kortun, a quella di Hou Hanru “Optimism in the age of global war”, o all’edizione del collettivo WHW Red Thread con la sua attenzione per le aree dell’Est europeo e del Medio Oriente. Sta di fatto che questa biennale offre sempre un importante contributo alla riflessione sulle condizioni della produzione artistica, sulla sua possibilità di confrontarsi sul senso e sul ruolo dell’arte nel mondo attuale.

Lawrence Weiner, On the verge (Ramak Kala), 2015. Photo Sahir Ugur Eren

Prodotta come sempre dall’IKSV Foundation for Culture and Arts, vera e propria forza trainante del Paese, che cura anche il padiglione Turco della Biennale di Venezia e che a Istanbul organizza ogni anno importanti Festival di Musica, Cinema, Teatro e Jazz, quest’anno la Biennale è giunta alla XIV edizione. A “tracciarla” è stata Carolyn Christov-Bakargiev, tornata così alla curatela dopo gli anni di pausa seguiti alla Documenta del 2012, e appena prima di assumere la direzione di Castello di Rivoli e della GAM di Torino.

Ed Atkins, Hisser, 2015. Rizzo Palace. Photo Sahir Ugur Eren

Il titolo della mostra è “Saltwater. Una teoria delle forme pensiero”. Il tema è dunque quello, doppio, dell’acqua e di quella forma-pensiero che è l’arte; vi si intersecano riflessioni teoriche di diversa matrice e un’attitudine all’interdisciplinarità che Christov-Bakargiev aveva già ampiamente manifestato in occasione di Documenta. Le sedi sono ben 36, distribuite fondamentalmente in tre aree: le centralissime Tophane e Karaköy, a Beyoglu; quelle più popolari e conservatrici, ma ormai in fase di gentrificazione, che si trovano a nord della città, come Şişli; e alcune isole, grandi e abitate come Büyükada, o piccole e deserte come Siviriada; ma ci sono appendici in zone che raramente si raggiungono, come Rumeli Feneli, piccolo porto situato a un’ora e mezza di navigazione dal centro della città, laddove le acque del Bosforo si fondono con quelle del Mar di Marmara; un luogo intatto, ma ancora per poco: con la costruzione del terzo ponte sul Bosforo, autorizzata da Erdoğan dopo anni di pressioni, l’urbanizzazione trasformerà sicuramente questo luogo/paesaggio. Per questo l’invito di Christov-Bakargiev a visitare questo porticciolo sul cui faro Lawrence Wiener ha lasciato una traccia discreta, risulta particolarmente significativo. Così come significativo è il giro dell’isola di Büyükada, vietata alle auto, ma percorsa da una quantità di frenetiche carrozzelle a cavallo, e ancora ricca delle magnifiche case di legno che un tempo caratterizzavano tutta Istanbul. All’interno di queste case si trova la maggior parte delle opere ospitate sull’isola.

Ed Atkins, Hisser, 2015. Rizzo Palace. Photo Sahir Ugur Eren

Per lo più sono singole opere, dislocate nelle stanze; è così per Ed Atkins con l’installazione video e sonora Hisser che si snoda tra i piani del magnifico, ma cadente Rizzo Palace, e per Susan Philipsz che, nell’eclettica Mizzi Mansion, dedica un’opera sonora e fotografica a Elettra, la nave-laboratorio su cui Marconi compì i suoi esperimenti sulla radiofonia; e per Daria Martin che, tra la sala e la cucina di una residenza privata, mette in scena rapporti familiari complessi e la fatica di tenere insieme ciò che la vita scompiglia.

Zeyno Pekünlü, Minima Akademika, Magnus, 2015. SALT Galata. Photo Sahir Ugur Eren

Spettacolare il lavoro di Adrian Villar Rojas, autore argentino di titaniche installazioni: Villar Rojas trascina i visitatori tra le scale sconnesse e invase di piante, del rudere della casa in cui, tra il 1929 e il 1933, visse relegato Trotsky. E al termine di un’ardua discesa offre loro una visione enigmatica e sorprendente: ventotto candide sculture di animali in dimensione reale, cariche di relitti estratti dalle acque del mare, ci fronteggiano dall’acqua come camminassero galleggiando.

Susan Philipsz, installazione sonora e fotografica, Mizzi Mansion. Photo Kubra Karacizmeli

Distribuite nelle altre sedi si vedono opere di artisti e non, tutte in qualche modo legate all’acqua, alle sue forme e ai suoi movimenti: onde, flussi e nodi, anse, ricorsi e dispersione, rivoli, fiotti e riflessi. Attraverso queste forme è possibile evocare nozioni e fenomeni diversi: il pensiero di Christov-Bakargiev parte dagli anni in cui s’inventano i raggi X e il Telex e spazia dalle onde sonore a quelle elettro-magnetiche, a quelle del piacere, delle emozioni, dei ricordi, e dalla sinuosità dei vasi di Gallé ai corsi e ricorsi della storia. E, infatti, in mostra si vedono le riprese – raccolte dall’ArtikIsler Video Collective – delle manifestazioni di protesta svoltesi in Turchia prima che il dissenso sfociasse nel movimento di massa di Gezi Park; i disegni di onde tracciati nel 1870 da Santiago Ramón y Cajal, che, pur sognando di fare l’artista, nel 1906 riceve il Premio Nobel per aver scoperto i neuroni, e quelli di Annie Besant che all’inizio del Novecento pubblica un libro sul potere del pensiero che anticipa l’astrattismo di Klee e Kandinsky. E, a proposito del rapporto tra il visibile e l’invisibile, c’è anche un video in cui Elena Mazzi concentra un ampio progetto realizzato a Venezia, legato all’energia del vento e del sole e alla tradizione dell’incisione sugli specchi. Mentre ci riporta alla storia e alle sue discordanti versioni Wael Shawky che presenta il terzo episodio della sua trilogia Cabaret Crusades: The Secrets of Karbala in un hammam antico che prima era stato una moschea; e c’è Trotsky che affonda tra le proprie stesse parole nei video di William Kentridge.

Fusun Onur, Deniz (Sea), 2015. Barca con installazione sonora

Emerge per tenuta e per poesia The Silence of Ani di Francis Alÿs: tra le rovine di Ani, un tempo fiorente città armena, alcuni bambini suonano dei richiami per uccelli, come a riportarvi la vita che non c’è più. “Saltwater. Una teoria delle forme pensiero” è una mostra stimolante e pregnante. E vale la pena di sfogliare il bel catalogo disegnato da LeftLoft. Resta il fatto che oggi nel mondo, e nel Mediterraneo in particolare, sono in corso eventi gravissimi. Le notizie che arrivano da ogni dove non lasciano dubbi sulle proporzioni epocali dell’attuale fenomeno migratorio, con le ondate dei fuggiaschi spinti sulle coste europee da guerre, povertà estrema e squilibri ambientali. Ma non si tratta di una situazione imprevedibile: il fenomeno è in corso da decenni; solo per fare un esempio, nessun italiano può aver dimenticato l’impressionante immagine della nave stracarica di migliaia di persone albanesi che già nel 1991 aveva attraversato l’Adriatico per raggiungere le coste di Brindisi; quell’immagine inconfutabilmente sanciva la realtà di un esodo di massa destinato a crescere, con il suo carico di sfruttamento e di orrore.

Se è vero che – come sostiene Christov-Bakargiev – l’arte fa la sua parte attraverso la riflessione e le opere, e che, come scriveva Vita Sackville West, “a symbol keep civility”, l’attualità ci interroga con più forza che mai, e dalle questioni che ci pone è difficile prescindere. La Turchia, in particolare, è ampiamente coinvolta nelle turbolenze di questi tempi: con la tensione che da anni ormai si va alzando e la libertà di stampa che va calando; e mentre trascorre l’anno del centenario del Grande Crimine contro gli Armeni, e Erdoğan si prepara ad affrontare a novembre sia le elezioni sia il G20, tra questione curda e tragedia siriana il sud est del paese si infuoca; proprio mentre la Biennale inaugurava e alcune zone del Sudest del Paese venivano sottoposte a coprifuoco, sulle coste i profughi s’imbarcavano e di alcuni il mare restituiva solo le spoglie; e la stessa Istanbul, in questi mesi, pullula di fuggiaschi di passaggio.

Liam Gillick, Hydrodynamika Applied, Istanbul Modern. Photo Sahir Ugur Eren

Di fronte a ciò le domande sul senso, sul ruolo e sulle potenzialità dell’arte fanno breccia prepotentemente; come non chiedersi se le scelte oblique siano le più efficaci, se il presente non richieda una posizione più assertiva. Forse la denuncia diretta può sembrare una strada facile, ma, di fronte all’urgenza, il suo opposto rischia di risultare blando. Tutte questioni che, a chi nell’arte cerchi il senso, forza e una possibilità di pensare il futuro, non lasciano pace.

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fino al 1° novembre 2015
Saltwater – 14. Biennale di Istanbul