Tutti i futuri del mondo

Il curatore della 56esima Biennale di Venezia, Okwui Enwezor, ha costruito una mostra che enuclea una proposta: quella di mantenersi vigili, di continuare a sondare per comprendere, di individuare i fondamentali e di tornare a ragionare da lì.

Bruce, Nauman, Human nature / Life death / Knows Doesn’t Know, 1983.  Neon
Quest’epoca presente, in cui ogni equilibrio pare profondamente compromesso, quante utopie e quante rovine ha alle spalle? Quanti futuri sono stati immaginati, quante volte l’uomo ha cercato di progettare mondi che non fossero basati solo sulla logica oppresso-oppressore? E oggi possiamo ancora immaginare di costruire un futuro?

Da sempre Okwui Enwezor considera che l’arte debba “condividere il proprio palcoscenico storico con il contesto politico e sociale contemporaneo”.

D’altra parte, oltre a costituire il filo conduttore del suo lavoro, questo intento ha premesse importanti nella storia della Biennale di Venezia stessa; Enwezor, nell’ambito dei suoi discorsi istituzionali, ne ha illustrato uno fondamentale: “Nel 1974 la Biennale di Venezia, a seguito di un’importante riforma dell’istituzione e di una revisione dello Statuto e delle proprie direttive, lanciò un progetto ambizioso senza precedenti, un piano quadriennale di eventi e attività. Una parte dei programmi del 1974 fu dedicata al Cile; la Biennale si espose quindi attivamente con un gesto di solidarietà verso quel paese nel periodo immediatamente seguente il violento colpo di stato con cui, nel 1973, il governo di Salvator Allende era stato rovesciato dal generale Augusto Pinochet”.

Fabio Mauri, Fine, Biennale di Venezia 2015
In apertura: Bruce Nauman, Human nature / Life death / Knows Doesn’t Know, 1983. Neon. Qui sopra: Fabio Mauri. 56. Esposizione Internazionale d’Arte - la Biennale di Venezia, All the World’s Futures. Courtesy la Biennale di Venezia

Da queste premesse chiare ed esplicite scaturisce la mostra della 56ma Biennale di Venezia da Enwezor recentemente inaugurata; una mostra coerente, unitaria, assertiva, fortemente caratterizzata, come d’altra parte lo era già stata la Documenta da lui curata nel 2002; ma diversa: meno legata al linguaggio documentario; classica, fisica, ricca di pittura e di scultura, e assai più cupa, perché particolarmente cupo è il momento storico; forte, densa, martellante, a tratti labirintica, composta soprattutto di opere di ampie dimensione e presentate, in molti casi, in forma di serie; come a dire che la ripetizione rafforza il messaggio. E il messaggio arriva, in effetti, inequivocabile: il momento è grave, i valori su cui poggia la compagine sociale si sono rivelati labili, la guerra è intorno a noi, la violenza, nelle sue diverse forme e circostanze, è onnipresente.

Possiamo abituarci a questa convivenza e scegliere di non sentire.

Invece la questione ci riguarda.

Adel Abdessemed, Nympheas (2015)
Adel Abdessemed, Nympheas (2015). Insieme di coltelli, dimensioni variabili. 56. Esposizione Internazionale d’Arte - la Biennale di Venezia, All the World’s Futures. Courtesy la Biennale di Venezia

Enwezor lo asserisce con fermezza attraverso gli artisti che partecipano a questa mostra, e anche attraverso il riferimento a due figure seminali del pensiero moderno come Marx e Benjamin.

Nel caso di Marx la meta-narrazione costituita dall’elaborazione quotidiana di brani del Capitale per tutta la durata della mostra dice il tentativo umano di darsi una spiegazione complessiva della storia per riuscire a orientarla verso un futuro diverso; sottende quindi una serie di considerazioni sull’idea di utopia, di desiderio, e sulla tensione al cambiamento alla quale l’uomo sembra oggi, tragicamente, aver rinunciato.

Mentre l’Angelus Novus di Benjamin che procede con fatica guardandosi alle spalle ed esprime lo spavento per ciò che sta lasciando dietro di sé, dice la necessità di muovere in avanti mantenendo viva la consapevolezza del passato.

Mika Rottenberg, <i>NoNoseKnows</i>, 2015
Mika Rottenberg, NoNoseKnows, 2015. Installazione con media misti, video, colore, suono. Circa 22’, dimensioni variabili. 56. Esposizione Internazionale d’Arte - la Biennale di Venezia, All the World’s Futures. Courtesy la Biennale di Venezia

Le due sezioni della mostra dei Giardini e dell’Arsenale aprono rispettivamente con Fabio Mauri, il suo muro fatto di valige che evocano viaggi senza ritorno e il suo ricorrente “The End”; e con le parole War, Death lampeggianti nei neon di Bruce Nauman, accostate alle Ninfee di Adel Abdessemed: tanti bouquet di lunghe lame affilate conficcate a terra.

Più avanti artisti di generazioni diverse raccontano un mondo frammentato; dominato dal trauma, come nel caso di Cao Fei; o dalla cacofonia, come nel video di Sonia Boyce; o dallo sfruttamento estremo della manodopera, come nel caso di Im Heung-soon, il cui video Factory Complex, esposto all’Arsenale si compone di una serie di interviste a donne coreane che hanno lavorato presso Samsung, Nike o altre multinazionali. Le loro relazioni sintetiche e dolenti suonano come racconti di fantasmi: la società dei consumi, con la sua logica implacabile, rimuove e cela ciò che turberebbe chi è destinato a comprare.

Im Heung-soon, <i>Factory Complex</i>, 2014
Im Heung-soon, Factory Complex, 2014 Installazione con video in HD, colore, suono. 81’. 56. Esposizione Internazionale d’Arte - la Biennale di Venezia, All the World’s Futures. Courtesy la Biennale di Venezia

Il fatto che per Factory Complex Im Heung-soon abbia ricevuto il Leone d’argento come promettente giovane artista evidenzia l’importanza attribuita nell’ambito di questa biennale al suo tipo di impegno.

Mika Rottemberg con la video installazione NoNoseKnows racconta la drammatica realtà di una fabbrica di perle ibridandola con altre forme di produzione basate sull’annullamento della personalità e sulla logica della catena di montaggio. Il tutto si trasforma in una sorta di sottomondo paradossale di fronte al quale il senso di estraneità e di scollamento che proviamo risulta amplificato. 

Goncalo Mabunda, <i>The Throne of None Slavery</i>, 2014
Goncalo Mabunda, The Throne of None Slavery, 2014. Armi decommissionate saldate. 117 × 86 × 60 cm. 56. Esposizione Internazionale d’Arte - la Biennale di Venezia, All the World’s Futures. Courtesy la Biennale di Venezia
Tra i temi ricorrenti della mostra c’è quello, imposto dalla geopolitica attuale, della logica dei confini e dell’economia delle armi. Da Massinissa Selmani con i suoi piccoli disegni ad alta intensità a Gonçalo Mabunda con i suoi troni fatti di mitra e munizioni, sono molti gli artisti attivi su questi temi; come Hiwa K, artista originario del Kurdistan iracheno. In The Bell, presentato nell’Arsenale, Hiwa K sintetizza la storia recente dell’Iraq: il progetto consiste infatti nella realizzazione di una campana fatta fondendo residui bellici trovati sul suolo iracheno; invertendo quindi la pratica di fondere le campane delle chiese per realizzare armi. La campana è decorata con un fregio discreto, a prima vista decorativo, in realtà composto di figure di lotta e di dolore. In uno dei due video che affiancano la campana si vede all’opera Nazhad, l’uomo che ha aiutato l’artista a fondere i residui bellici. Nella sua fonderia Nazhad ricicla metalli e negli anni ha imparato a riconoscere l’origine delle armi che gli portavano. A oggi ha identificato più di trenta paesi che hanno fornito armi alle diverse fazioni in guerra in Iraq. Nell’altro video la campana viene forgiata all’interno di una fonderia italiana.
Hiwa K, <i>The Bell</i>, 2014-2015
Hiwa K, The Bell, 2014-2015. Scultura in metallo di recupero bellico, video HD a due canali, colore, audio. 56. Esposizione Internazionale d’Arte - la Biennale di Venezia, All the World’s Futures. Courtesy la Biennale di Venezia
Gli artisti di All The World’s Futures sono centotrentasei, originari di cinquantatré paesi diversi, numerosi dei quali sono paesi africani; ottantanove espongono a Venezia per la prima volta. Ognuna delle loro opere parla dello stato delle cose senza cedere al cronachismo né alla retorica. In ognuna il rapporto tra l’uomo e la storia prende una forma diversa. All The World’s Futures è un carotaggio nel presente, e il presente è fosco; per questo, tra tante opere intense e imponenti, la mostra offre pochi motivi di ottimismo. Ma enuclea una proposta: quella di mantenersi vigili, di continuare a sondare per comprendere, di individuare i fondamentali e di tornare a ragionare da lì.
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