The spaces of confinement

La mostra IK-00, a Venezia, è incentrata sul tema dell’architettura delle carceri e apre la sua indagine ad artisti sia russi sia non che riflettono sull’architettura dell’esclusione.

IK-00. The spaces of confinement si inserisce nella trilogia di mostre promosse in occasione delle Biennali di Architettura di Venezia dalla V-A-C Foundation di Mosca e curate da Katerina Chuchalina su tre soggetti fondamentali della relazione tra arte e architettura: la città, la prigione e la guerra.

Dopo il primo appuntamento nel 2012, dedicato alla relazione tra gli artisti e la città post-sovietica, la mostra The Way of Enthusiasts, IK-00 è incentrata sul tema dell’architettura delle carceri e apre la sua indagine ad artisti sia russi sia non che riflettono sull’architettura dell’esclusione, alla ricerca di modi diversi per documentare e testimoniare gli spazi istituzionali destinati a punire e talvolta a correggere gli individui attraverso la loro separazione dal resto della società.

In apertura: Ines & Eyal Weizman, Celltexts, books and other works product in prison, 2008, installation, Courtesy V-A-C Foundation. Qui sopra: David Ter-Oganyan, Barrier, 2009, site-specific installation, Courtesy V-A-C Foundation

Le prigioni in Russia non vengono identificate tramite nomi ma attraverso un indice composto da due numeri dopo l’abbreviazione IK (colonia penale): 00 è una colonia inesistente che riunisce tutte le prigioni possibili, alludendo al confinamento come pratica trasversale a tutti contesti storici e geografici. I tre piani del settecentesco Palazzo Tre Oci vengono completamente trasformati dal progetto curatoriale di Chuchalina che, lavorando in modo puntuale ed evocativo sullo spazio, ricrea nel dettaglio l’atmosfera della prigione attraverso protesi architettoniche che restringono gli spazi e modificano la luce.

Valentin Fetisov, Installation of Experience, 2011, interactive installation, Courtesy V-A-C Foundation

La mostra si apre con un focus sull’esperienza fisica, corporale della detenzione. L’ingresso dello spettatore in mostra viene subito ostacolato dal lavoro di David Ter Oganian, che installa nel corridoio centrale le transenne metalliche usate per incanalare e tenere sotto controllo le folle. Valentin Fetisov costruisce una stanza che blocca lo spettatore per pochi secondi e lo mantiene in tensione nell’attesa di trovare la soluzione per il suo ipotetico riscatto. In corrispondenza del format koolhaasiano, la danza è presente attraverso il lavoro della coreografa Rebecca Lazier che costruisce uno spettacolo fatto di ripetizioni quasi rituali di movimenti ispirati alla violenta rivolta avvenuta negli anni Settanta nella prigione di Attica (New York).

Conor McGrady, The Nation Builders, 2010, gouache on paper, Courtesy V-A-C Foundation

Il secondo piano è invece dedicato alla costruzione visiva, sociale e architettonica della prigione e si apre con il film di Harun Farouocki, Prison Images, una riflessione sui dispositivi di sorveglianza che demistificano l’interiorità degli spazi segregati delle carceri. Jonas Staal riproduce in un modello tridimensionale la tesi di architettura del carcere di Fleur Agema,  membro del Partito di estrema destra olandese "Partito per la Libertà", enfatizzando come, a seconda della manipolazione politica, l'architettura si possa trasformare in uno strumento di tortura, condensando così la teoria critica di una società disciplinare nella forma di un manuale per costruire la distopia. Il gruppo di ricerca Urban Fauna Lab presenta invece un’opera installativa composta da un modello e da una presentazione video che mima la logica dei progetti di sviluppo territoriale intrapresi da Stalin per la colonizzazione della Russia Siberiana attraverso i lavori forzati dei prigionieri dei Gulag per parlare dello sviluppo dei futuri centri di controllo delle compagnie di dati che saranno situati nei territori in perenne congelamento della tundra.

Michael Tolmachev, Natural Zones, 2014, video, panoramic projection, Courtesy V-A-C Foundation

L’incommensurabile paesaggio siberiano, barriera naturale insuperabile che ricrea lo spazio dell’esilio, chiude la mostra all’ultimo piano unendo opere di artisti, come le visioni obiettive dei droni di Michael Tolmachev, con preziosi materiali d’archivio di prigionieri d’epoca sovietica che tentano di affrontare i muri invisibili di massima sicurezza del paesaggio circostante. In questa sezione spicca l’opera pittorica di Mikhail Nesterov, pittore simbolista Russo di fine ‘800, che rappresenta il cliché della visione idilliaca del paesaggio russo.

Michael Tolmachev, Natural Zones, 2014, thermoplastics, 3D printing, Courtesy V-A-C Foundation

La mostra (che include anche i lavori di Rossella Biscotti, Sam Durant, Ashley Hunt, Conor McGrady, Markus Schinwald, Ines & Eyal Weizman, Donovan Wylie, e Arseniy Zhilyaev) dà una lettura poliedrica del tema della detenzione stabilendo connessioni interessanti tra presente, passato e futuro. La storia della Russia si connette al futuro della tecnologia e a un’idea di prigionia “biopolitica” e senza barriere come quella a cui siamo sottomessi attraverso la sorveglianza remota dei droni o di chi controlla le nostre informazioni.

© riproduzione riservata

Alexey Wangenheim (1881-1937), drawings on paper 1934-1937, Riddles, sketches, Courtesy V-A-C Foundation


fino al 24 agosto 2014
IK-00 The spaces of confinementa
a cura di:
Katerina Chuchalina
Casa dei Tre Oci
Fondamenta delle Zitelle, 43
Isola della Giudecca, Venezia

Jonas Staal, Art, Property of Politics III: Closed Architecture (based on the concept of Fleur Agema), 2011, installation, Courtesy V-A-C Foundation