Germano Celant. Il periodo poverista

Figura poliedrica che domina il mondo dell'arte, Celant è conosciuto soprattutto per il suo ruolo nella nascita dell'Arte Povera, negli anni Sessanta, e nella sua rinascita, negli anni Ottanta.

Verso la fine degli anni Sessanta, la scena artistica italiana è stata attraversata da uno straordinario fermento di ricerca. Era dai tempi del Futurismo che gli artisti italiani non spiccavano un balzo di simili proporzioni, passando dall'attività circoscritta all'ambito locale a mostre e collaborazioni a livello internazionale. In "When Attitudes Become Form", storica mostra del 1969 alla Kunsthalle di Berna, "Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969" di Alighiero Boetti è collocata sul pavimento accanto a opere di Bruce Nauman e Barry Flanagan, Jannis Kounellis installa i suoi sacchi di grano sulle scale e Mario Merz presenta il suo Igloo con Albero. E si trattava indubbiamente di alcune tra le opere più forti dell'intera mostra. Pochi mesi prima, Giovanni Anselmo e Gilberto Zorio avevano esposto il loro lavoro alla Warehouse di Leo Castelli a New York, insieme ai loro contemporanei americani. Si tratta di artisti che stavano sovvertendo l'ortodossia del Modernismo e anche reinventando il linguaggio delle arti visive, senza curarsi di affiliazioni nazionali, gerarchie istituzionali e ruoli prestabiliti. Di certo, una delle caratteristiche fondanti di quest'atmosfera rivoluzionaria era la modalità secondo la quale gli artisti tentavano di assumere il controllo del modo e del luogo in cui i loro lavori venivano esibiti, oltre che di quello che su di essi si scriveva, trasformandosi talvolta direttamente in curatori e critici. Una situazione in cui Germano Celant, giovane critico e curatore, si trovava nel suo elemento naturale. Dotato di una profonda intuizione, di una formazione nel campo della storia dell'arte abbinata al contatto diretto con la scena dell'arte contemporanea, nonché di formidabili doti organizzative, Celant era interessato innanzitutto a promuovere azioni concrete. Come inventore del termine "arte povera" è intervenuto strategicamente sulla scena dell'arte per creare e promuovere una nuova tendenza.

Sulla sua fase di formazione quale "critico militante" emergono almeno due figure: quelle di Eugenio Battisti e Carla Lonzi. Docente di storia dell'arte all'Università di Genova, specialista del barocco, Battisti seguiva con passione anche l'arte contemporanea, mentre il suo passato partigiano alimentava un'accesa vocazione civica e politica. In assenza di un museo di arte moderna in città, aveva dato vita al Museo Sperimentale, che nel 1969 contava già 360 opere donate da artisti. Insoddisfatto della qualità del dibattito culturale, aveva fondato la rivista Marcatré, del cui comitato di redazione avrebbero fatto parte Umberto Eco, il poeta Edoardo Sanguineti e l'architetto Paolo Portoghesi. Nel 1968, dopo la decisione di emigrare in America, Battisti affidò entrambi i progetti a Celant, suo protegé. Di colpo, il giovane critico si ritrova a collezionare nuovi lavori per il Museo Sperimentale, passato nel frattempo a Torino, e a dirigere la rivista, trasferita invece a Milano. Questo periodo di apprendistato pone Celant nel bel mezzo del dibattito critico, ma lo costringe anche ad affinare le sue capacità curatoriali. Carla Lonzi, collaboratrice stabile di Marcatré, è stata pioniera di una nuova forma di critica d'arte in Italia. Anziché perseguire l'altezzoso storicismo dei crociani e le baronie accademiche, Lonzi cercava di capire le opere attraverso fitte discussioni con gli artisti contemporanei. Il suo metodo di indagine era dialogico in senso bakhtiniano; il suo scopo era trovare parole, spesso le parole dell'artista, che potessero esplorare la poetica del lavoro; la sua fede nell'arte quale fondamentale attività umana era totale. Per Celant, Carla Lonzi rappresentava un approccio che conferiva priorità assoluta agli artisti e ai loro progetti, facendo al contempo del curatore un interlocutore indispensabile. Così, uno sguardo alle numerose monografie e saggi in catalogo di Celant rivela il ruolo chiave assegnato a ciò che gli artisti hanno da dire riguardo alla loro pratica, mentre in qualità di curatore ha continuamente cercato di dare la massima libertà nella selezione, installazione e presentazione dell'opera.

Al nome di Germano Celant è legata una serie di mostre collettive sotto il titolo di Arte Povera – alla galleria La Bertesca di Genova (1967), alla galleria De' Foscherari di Bologna (1968), alla Galleria Civica d'Arte Moderna di Torino (1970) – e la tre giorni dell'evento "Arte Povera+Azioni Povere" ad Amalfi (1968), in collaborazione con Marcello Rumma. In occasione delle varie mostre, Celant ha pubblicato saggi che formulavano e riformulavano l'idea di 'arte povera': "Arte Povera. Appunti per una guerriglia", pubblicato sulla rivista Flash Art, ha agito come una sorta di manifesto al quale numerosi artisti hanno associato il proprio nome. Il nucleo fondamentale di questi artisti proveniva da Torino, città che stava attraversando un momento di rinascita culturale: Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Piero Gilardi, Mario e Marisa Merz, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio. In seguito, al gruppo si unisce anche Giuseppe Penone (capitato alla galleria Sperone con alcune fotografie dei suoi lavori con gli alberi – Alpi marittime (1968) – mentre Celant era nelle sale, a 19 anni Penone viene immediatamente reclutato nel gruppo dell'Arte Povera, di cui diventa il più giovane esponente). L'altro centro era Roma, perno di una vibrante scena artistica che comprendeva Jannis Kounellis e Pino Pascali, e in cui Celant ha inserito Emilio Prini, proveniente dalla sua città natale, Genova, ma anche Luciano Fabro, di stanza a Milano, e Pier Paolo Calzolari, a Bologna. Il respiro nazionale della nuova tendenza aveva una grande importanza. Rifacendosi all'esempio di Marinetti, Celant si è subito reso conto di come fosse vitale per un pieno riconoscimento che gli artisti agissero di concerto e con un nome che desse loro visibilità. Autore di saggi sulla critica del mercato, sulla trasformazione dell'arte in bene di consumo (e su quanti soccombevano a tale logica, soprattutto la Pop Art), Celant aveva capito che la massima efficacia era legata alla capacità di agire come gruppo, una logica che gli artisti compresero molto bene in un mondo in cui il marketing e le strategie americane di branding erano molto potenti. Diversamente da Marinetti, tuttavia, Celant non era ossessionato dall'idea del controllo assoluto, né gli sembrava avesse senso comportarsi al modo delle avanguardie storiche quando il modello lineare di storia era andato in frantumi. Piuttosto, aderiva al ruolo della contingenza e del quotidiano in arte quale era stato teorizzato da John Cage, pronto – per parafrasare Le ultime parole famose di Pistoletto – a spostarsi di lato e non necessariamente in avanti. La sua nozione di "libero progettarsi", libertà di pensare e agire, era antiprogrammatica e proponeva una "pratica aperta" che corrispondeva alla teorizzazione di "opera aperta" formulata da Umberto Eco. Il suo modus operandi era creare situazioni e spazi senza prescrivere quanto doveva accadere – Boetti è invitato a Genova dove si fa radere in un negozio di barbiere; Richard Long scende ad Amalfi a stringere la mano agli abitanti nella piazza del paese; Marisa Merz depone le sue scarpe coi lacci in nylon sulla riva del mare.

Intanto, la teoria si sviluppava di passi passo alla pratica. Lunghe discussioni notturne nella cucina di Mario e Marisa Merz, continue visite a studi e gallerie in tempi di mostre straordinarie, come "Senza titolo (12 cavalli)" di Kounellis. Inizialmente descritta come un'arte che aveva abbandonato la rappresentazione per la presentazione e giocava con la tautologia, il concetto di arte povera ha mantenuto una forte inflessione linguistica. Ma Celant la ha allargata a inglobare la nuova importanza della materia e dell'energia nell'opera, conferendogli una interpretazione più antropologica nel libro Arte Povera, e aprendo nel contempo all'idea di performance e opera legata al teatro. Il dialogo tra Celant e gli artisti è testimoniato anche da alcune opere: Manifesto di Boetti, con la sua lista di artisti e i geroglifici enigmatici, rappresenta una replica a Note per una guerriglia. Sulla fotografia di un suo lavoro, Pistoletto scrive: "Caro Germano, la parola povera va bene, la parola ricco va bene, povero io e ricco tu non va bene, povero tu e ricco io non va bene". Il termine "arte povera" era una specie di pallone che artisti e critici si rimbalzavano tra loro. E alla fine è stato lo stesso Celant ad affermare che il gruppo doveva sciogliersi di modo da permettere ai singoli artisti di seguire il proprio percorso senza portare inutile zavorra.

Per dare un resoconto completo della pratica di Germano Celant sarebbe necessario prendere in considerazione molti altri aspetti della sua attività: il suo lavoro di direttore della Biennale di Venezia, di senior curator al Solomon R. Guggenheim di New York, di direttore artistico della Fondazione Prada e di supervisore artistico in occasione di Genova Capitale Europea della Cultura (2004). La sua responsabilità nella realizzazione di grandi mostre come "Identité italienne. L'art en Italie depuis 1959" (Centre Georges Pompidou, 1981), e "Italian Metamorphosis, 1943-1968" (Guggenheim, 1994); il suo prolifico lavoro di scrittura su arte e design e il suo contribuito a riviste come Artforum. Tuttavia Celant è conosciuto soprattutto – e sarà ricordato in futuro – per il suo ruolo nella nascita dell'Arte Povera, tanto nella prima decisiva fase storica quanto della sua rinascita quando, negli anni Ottanta, è stata riconfigurata come cornice entro la quale gli artisti italiani hanno esibito ancora una volta il loro lavoro in Europa, in Nord America e nel mondo.
Alighiero Boetti, <i>Mazzo di tubi</i>, 1966. Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Alighiero Boetti, Mazzo di tubi, 1966. Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Marisa Merz, <i>Senza titolo</i>, 1966. Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Marisa Merz, Senza titolo, 1966. Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Jannis Kounellis <i>Senza titolo</i>, 1968.
Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Jannis Kounellis Senza titolo, 1968. Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Giulio Paolini, <i>Mimesi</i>, 1976-1988. Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Giulio Paolini, Mimesi, 1976-1988. Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Giuseppe Penone, <i>Zucche e nero assoluto d'Africa</i>, 1978-1979. Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Giuseppe Penone, Zucche e nero assoluto d'Africa, 1978-1979. Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Michelangelo Pistoletto, <i>Donna che indica</i>, 1982.
Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Michelangelo Pistoletto, Donna che indica, 1982. Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Gilberto Zorio, <i>Stella</i>, 1991.
Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Gilberto Zorio, Stella, 1991. Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Mario Merz, <i>Continent to Continent</i>, 1993.
Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Mario Merz, Continent to Continent, 1993. Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Giovanni Anselmo, <i>Il panorama fin verso oltremare</i>, 1996.
Courtesy Galleria Christian Stein, Milano
Giovanni Anselmo, Il panorama fin verso oltremare, 1996. Courtesy Galleria Christian Stein, Milano

Ultimi articoli di Arte

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram