Lo scrittore Stefano Benni dice che “la speranza è una vocina sottile, bisogna andarla a cercare da dove viene, guardare sotto il letto per poterla ascoltare. O venire in una stazione”. E in effetti non c’è un luogo più carico di possibilità di una stazione: luogo di ritorno o di partenza per un viaggio che a volte, come ben sapevano Tiziano Terzani e Bruce Chatwin, non è solo fisico ma anche esistenziale; ma anche “non luogo” per eccellenza, come diceva Marc Augé, che anche se tirato a lucido manifesta sempre quel carattere anonimo per cui l'individuo finisce per sentirsi omologato e inevitabilmente solo. In ogni caso, sia che si tratti di edifici strettamente funzionali al transito, impersonali e malmessi, sia che si tratti di architetture prestigiose e patinate, le stazioni sono un luogo brulicante di vita e dunque di potenzialità: dalle storiche stazioni coloniali in cui ancora oggi si coglie un’aura maestosa (Grand Central Terminal di NY) e un po’ decadente (Chhatrapati Shivaji Terminus di Mumbai, stazione di Kuala Lumpur, stazione ferroviaria CFM di Maputo); a quelle celebrative e di rappresentanza politico-culturale (Terminal Haydarpasa di Istanbul, Stazione Komsomolskay di Mosca); a quelle futuristiche e ipertecnologiche (Stazione di Liegi-Guillemins, Stazione Hungerburg di Innsbruck, Stazione Mediopadana di Reggio Emilia, World Trade Center Transportation Hub di New York) ma con anche uno sguardo al passato (Stazione di Kanazawa); a quelle da cui letteralmente si passa in un’altra, immaginifica dimensione (King’s Cross a Londra). In ogni caso, le stazioni sono il luogo che più di ogni altro alimentano l’ebrezza del dinamismo e del cambiamento e ci mettono a confronto con una verità indubitabile: che su questa terra siamo sempre e comunque dei “passeggeri”.