Ridefinire gli spazi pubblici: il caso GRRIZ, tra arte e architettura

Sempre con maggiore vigore in Italia e nel mondo si sviluppano collettivi che lavorano sulla temporaneità per risolvere i problemi delle comunità. L’intervista.

Luigi Greco e Mattia Paco Rizzi fondano nel 2015 GRRIZ con il quale agiscono nello spazio pubblico attraverso cantieri di autocostruzione con il coinvolgimento di studenti e cittadini.

L’autocostruzione di strutture temporanee è un modello di architettura che nasce per risolvere problematiche delle comunità locali con progetti partecipati e condivisi. Questa modalità tiene insieme la cultura architettonica e quella artigianale, ponendosi come formazione complementare per gli studenti delle scuole di progettazione ma non solo.

Sempre con maggiore vigore in Italia e nel mondo nascono collettivi che lavorano sulla temporaneità per ridefinire il significato e l’uso degli spazi pubblici, in questo senso i GRRIZ rappresentano una delle più interessanti esperienze progettuali che lavorano sul limite tra arte e architettura.

Lumia Archistart, San Cataldo 2019
Lumia Archistart, San Cataldo 2019

L'autocostruzione è una modalità di fare architettura che è stata adottata fin dagli anni Sessanta in America. È accaduto con Drop City, realizzata dagli allievi di Buckminster Fuller o con Cosanti di Paolo Soleri, collocandosi nel solco della controcultura. Indubbiamente si pone come alternativa e complementare alla didattica universitaria "ufficiale" legata a una formazione degli architetti futuri troppo concentrata sulla carta.

Questa modalità che adottate voi e che deriva dall'aver lavorato nel collettivo francese EXYZT può rappresentare il futuro delle accademie di architettura?
L'esperienza con EXYZT ci ha segnato profondamente in termini di approccio immaginifico al progetto, uso delle risorse, dei materiali e gestione del tempo nel cantiere. In ogni progetto ricerchiamo sempre quel mood unico dei cantieri EXYZT. La musica, la convivialitá, la festa e un approccio onirico alla progettazione dei luoghi temporanei. L'uso del legno e in particolare delle assi è quello che preferiamo quando pensiamo a un progetto. Sono facilmente trasportabili, abbiamo le attrezzature per lavorarle e consentono di realizzare diverse dimensioni anche in contesti difficili, come è accaduto recentemente con Archibüse, il belvedere sulle Alpi Liguri a Garessio realizzato all’interno della Petites Folies Summer School.

Attraverso il processo costruttivo impariamo molto in termini di artigianato, progettazione, risoluzione di problemi e conflitti. L'accademia in Italia ha bisogno di includere questa parte del processo all’interno dei propri programmi e soprattutto di creare spazi dedicati alla costruzione 1:1 dove imparare a utilizzare correttamente le attrezzature. Il modello economico sul quale si basano ancora  i modelli della pedagogia nelle scuole di architettura ha mostrato i suoi limiti e le sue derive autoreferenziali. La transizione ecologica necessaria al nostro pianeta oggi ci porta verso un'economia circolare, verso la valorizzazione del lavoro manuale e delle risorse della comunità locali. È indispensabile appropriarsi dei processi costruttivi affinchè anche la teoria si riappropri della pratica architettonica. L'insegnamento dell’architettura si è focalizzata per troppo tempo su macroscale di intervento lontane da una dimensione più umana.

I nostri progetti devono poter essere prefabbricati e installati in un tempo massimo di 10 giorni di lavoro: utilizziamo il tempo come se fosse un materiale.

La vostra ricerca formale si colloca tra l'arte e l'architettura, dove il tempo è centrale, non solo per la realizzazione delle opere ma anche per la permanenza nei luoghi. Da cosa deriva questa attitudine? 
I nostri progetti devono poter essere prefabbricati e installati in un tempo massimo di 10 giorni di lavoro. É una visione rassicurante che ci fa pensare che l’architettura e l’arte possano creare cambiamento incisivo in poco tempo: utilizziamo il tempo come se fosse un materiale. Crediamo che non ci siano soluzioni uniche ai problemi della cittá e soprattutto che le soluzioni che forniamo oggi non debbano necessariamente andare bene anche per il futuro. Ogni architettura che abbiamo realizzato è il prototipo di qualcos’altro che deve ancora essere commissionato. Creiamo un immaginario olistico con cui interagiamo con il pubblico per renderlo partecipe di qualcosa di unico.
Essendo cresciuti professionalmente in un'Italia immobile, ci siamo appassionati all'architettura temporanea. Alla base delle nostre azioni con GRRIZ e con collettivi e progetti precedenti (I PARK ART, CHAPITRE ZERO per Mattia, RUDERE PROJECT per Luigi) c'è l'importanza di intervenire anche con scarse risorse economiche, perseguendo i bisogni collettivi. Non siamo mai stati interessati alla permanenza di un'opera: collezioniamo errori e successi con l'idea di ritrovare nelle nostre mani l'esperienza necessaria a costruire in modo migliore.

Festivalle 2021, Agrigento. Foto Gaspare Macaluso
Festivalle 2021, Agrigento. Foto Gaspare Macaluso

Come nasce Grriz e quali sono state le premesse che vi hanno portato a lavorare insieme?
Ci siamo conosciuti nel 2010 al Festival dell'Incompiuto Siciliano durante una collaborazione con l'atelier parigino Coloco. Dopo quelle settimane di lavoro insieme siamo rimasti sempre in contatto ma sempre in cittá diverse incontrandoci per costruire con il legno le nostre microarchitetture. Anni molto intensi: a Guimarães e Londra col collettivo EXYZT, a Catanzaro per Altrove Festival, a Budapest per lo Sziget Festival, piccoli progetti ma consapevoli che potevamo creare una squadra efficiente e affiatata anche se non vivevamo nella stessa città. GRRIZ come condivisione di idee e progetti nasce forse giá nel 2012, ma la forma piú definita e matura arriva nell'estate del 2015 col desiderio di affrontare progetti di installazioni artistiche e allestimenti che ci arrivavano da cittá in cui non risiedevamo. Il nostro studio è nato e si è consolidato anche con l’organizzazione del lavoro da remoto.

Tuttavia la premessa fondamentale è il profondo fascino comune verso l'essere umano inteso come animale sociale e il nostro amore verso l'architettura e l'artigianato, consentendo la sperimentazione nello spazio pubblico, evidenziando il ruolo sociale dell'architettura e dell'architetto. Nello spazio pubblico non si può identificare con certezza il futuro fruitore di un intervento, quindi è dovere del progettista accogliere l'incertezza rendendo questo aspetto un punto di forza del proprio lavoro. Valorizzare l'imprevisto piuttosto che impedirlo. In seguito, il cantiere come spazio pedagogico e di apprendimento che riporta la nostra professione laddove tutto comincia: il lavoro manuale! Nei nostri cantieri i partecipanti, sebbene con competenze diverse, hanno la stessa importanza: questo fa sì che umanamente si possa crescere insieme e costruire la città di domani, insieme.

Nei nostri cantieri tutti i partecipanti, sebbene con competenze diverse, hanno la stessa importanza.

Negli ultimi anni anche in Italia si è sviluppata una cultura dell'autocostruzione in cui si manifesta una relazione intensa tra gli architetti e i volontari che partecipano ai cantieri, siano essi studenti o cittadini. Ogni volta i progetti raccontano storie e problemi diversi: cosa vi aspettate da un progetto?
Ogni progetto porta con sé storie cariche di significato e momenti di apprendimento personale e collettivo. Queste situazioni sono fondamentali per la nostra crescita umana e professionale. Il Genius loci è un elemento imprescindibile nei nostri progetti. Il voler accogliere e valorizzare lo spirito di un luogo, luogo inteso come commistione tra spazio e comunità, guida spontaneamente il progetto verso una determinata direzione. Il rispetto che conferiamo alle risorse locali, materiali e immateriali presenti in una comunità, porta il genius materiae a definire il processo che darà vita all'architettura. In questo senso ci soccorrono le parole di Man Ray: “...Non potevo immaginare che cosa ne sarebbe venuto fuori, ma ero persuaso che i problemi, una volta posti, si sarebbero risotti da soli, come quelli della natura. Il bisogno di vivere e di creare avrebbe trovato la soluzione..." 

Valorizziamo l'imprevisto piuttosto che impedirlo. Per noi il cantiere è uno spazio pedagogico, che riporta la nostra professione laddove tutto comincia: il lavoro manuale!

Quanto l'architettura può aiutare a riabitare le aree interne che rappresentano gran parte dei territori europei? 
L’architettura può essere il tramite per riabitare e restare nelle aree interne, per generare il benessere e la qualità della vita dei nuovi residenti. Può essere il volano per rivitalizzare un luogo. Per troppo tempo si è guardato alle aree interne in contrapposizione alle aree metropolitane, applicando quindi delle metodologie di progetto che hanno provocato effetti contrari a quelli auspicati. Pensiamo sia venuto il tempo di usare la stessa elasticità e innovazione progettuale "metropolitana" per permettere all'entroterra di assumere una nuova postura economica e sociale. L'architettura può catalizzare visioni e suggerire risposte ma senza un supporto da parte della politica locale niente sarà possibile...

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