Neovernacolare himalayano: il Museo dell’Asia Centrale a Leh, Ladakh

L’organizzazione non-profit Tibet Heritage Fund realizza un museo strutturato su un simbolismo tradizionale e costruito con materiali del luogo e tecniche tradizionali.

Nella città vecchia di Leh, uno dei pochi esempi superstiti di insediamento tibetano tradizionale, c’è un edificio che spicca, per quanto discreto, a due passi dal bazar centrale, il tempio buddista Jokhang e la moschea del Venerdì. Con la sua massa squadrata e la sommità piana incoronata da un ballatoio in legno ricorda le torri fortificate himalayane, ma in realtà di tratta di un’aggiunta contemporanea al denso tessuto storico della città. Il complesso del Museo dell’Asia Centrale di Leh (CAML) ha aperto al pubblico nel 2015, diventando un importante punto di riferimento nel panorama culturale del Ladakh. La sua rilevanza si estende ben oltre i confini della regione himalayana, ed è più profonda di quanto si possa intuire a colpo d’occhio.

Il museo è uno dei maggiori progetti realizzati fino ad oggi in Ladakh dal Tibet Heritage Fund (THF), organizzazione non-profit attiva nell’intera regione culturale tibetana nell’ambito della conservazione di architettura, arte e artigianato locali, per garantire che continuino a essere tramandati nelle pratiche e nei mestieri locali. Per questo il THF lavora con le autorità del posto – anche in contesti delicati, come Lhasa, sotto controllo cinese – e collabora da vicino con le comunità locali. Nel complesso, il museo è un esempio eccellente dell’approccio del THF all’architettura moderna-tradizionale e al recupero dell’edilizia storica.

Il complesso è stato inizialmente concepito da Andrè Alexander, cofondatore del THF, venuto purtroppo a mancare dopo aver realizzato la struttura a torre centrale; i lavori sono stati portati a compimento sotto la supervisione di Yutaka Hirako. La torre costituisce il fulcro del progetto, che ha incluso il restauro e la riattivazione di varie strutture, disposte attorno a uno spazio verde pubblico nel centro della città: una biblioteca pubblica, una panetteria ancora operativa e una cucina-museo, oltre a spazi multifunzionali che ospitano attività ricreative e educative.

Il museo è stato ideato come un luogo di tolleranza, dialogo e scambio interculturale in una regione attraversata da tensioni geopolitiche. Leh è la capitale del Ladakh, regione di montagna nel nord dell’India che è stata per secoli un crocevia di commerci, culture e idee tra Turkestan, Tibet, Kashmir e subcontinente indiano. La collocazione del museo nello Tsas Soma (“Giardino Nuovo”), sito di un antico caravanserragli e della prima moschea della città, rimanda al passato mercantile e multiculturale della città. Le nuove moderne, tracciate in seguito agli sconvolgimenti politici del ventesimo secolo, hanno reciso i legami tra la regione e i territori contigui, relegandola all’isolamento.

In questo particolare contesto storico e geografico, il museo è stato progettato come compendio architettonico di stili, tecniche costruttive e metodi artigianali dalla vasta area centroasiatica. Ognuno dei quattro piani, organizzati attorno a un pozzo di luce centrale, mostra elementi architettonici e una disposizione degli ambienti tipici di una delle quattro regioni di Ladakh, Kashmir, Tibet e Baltistan, unite da una lunga storia comune.

Sparsi per tutto il museo si rintracciano riferimenti alle architetture locali, dalle pavimentazioni in lastre di pietra tipiche dei monasteri della regione ai soffitti ornati in stile del Ladakh. La struttura integra anche vari artefatti storici, che sono stati donati da membri della comunità locale: per esempio le antiche finestre in stile kashmiro e le architravi decorate con intagli floreali della tradizione buddista e islamica. Benché strutturato su un simbolismo tradizionale e costruito con materiali del luogo e tecniche tradizionali, le finestre strette, allungate e asimmetricamente disposte conferiscono all’edificio un carattere piuttosto contemporaneo, che potremmo definire un neo-vernacolare himalayano.

In linea con l’ethos e la pratica di THF, la concezione del museo si è sviluppata come ben più che un tributo sincretico al ricco patrimonio della regione, o un contenitore per esporre artefatti e artigianato. Il processo costruttivo in sé è stato pensato come un esteso laboratorio per mettere in pratica e trasmettere metodi artistici e costruttivi tradizionali che rischiano di andare perduti per sempre. Il progetto e la costruzione sono stati sviluppati in collaborazione con costruttori locali, falegnami e artigiani, sfruttando materiali originari del luogo: pietra, legno e fango. Il cantiere è durato otto anni, ma per via dei rigidi inverni i lavori si svolgevano solo da Aprile a Ottobre.

Ogni singolo pezzo della struttura è stato fatto a mano, e i dettagli lavorati sul posto. Il vicino villaggio di Shey, antica capitale del Ladakh, ha fornito il granito per le spesse pareti in muratura, fatte di grandi blocchi incastonati in strati di frammenti di pietra, una tecnica tradizionale tibetana che si ritrova anche nelle case e nei palazzi di Lhasa e conferisce una certa resistenza sismica. In questo modo, la costruzione del museo è anche stata un’opportunità per sostenere gli artigiani e i costruttori locali, promuovendo le loro capacità e contribuendo all’economia locale.

Il Museo dell’Asia Centrale a Leh dimostra che è possibile integrare un programma di ampio respiro in una comunità locale, dando vita a un intervento risolutamente contemporaneo che è profondamente radicato nel sapere tradizionale.

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