L’Aeroporto di Trieste ripensato da un progetto che inverte l’approccio convenzionale

Lombardini22 riscrive l’identità dell’infrastruttura attraverso un metaprogetto che, partendo da un piccolo segno grafico, si estende all’architettura e al territorio.

Il termine “reverse engineering” indica un processo di ingegneria – in particolare informatica, elettrica o meccanica – basato sull’analisi di un dispositivo finalizzata a svilupparne un secondo, dotato di funzionamento analogo ma di migliore efficienza. L’attuale necessità di riprogettazione di molte reti e nodi infrastrutturali moderne invita a sviluppare una modalità intervento analoga, capace di definire non solo il recupero del “dispositivo primario”, ma la sua implementazione sulla base di nuovi usi e percezioni dello spazio. Un approccio che tende ad allontanarsi da quello tradizionalmente statico e individualista espresso dall’architetto-demiurgo della prima modernità, a favore di un'idea più aperta e molteplice dell’architettura.

Soggetto poroso ai saperi e alle culture, a partire dalla grande attenzione riservata agli apporti delle neuroscienze, Lombardini22 incarna appieno la nuova figura del progettista plurale, composto da molte personalità e competenze: lo studio ospita oggi più di 180 persone, con attività che si estendono dall’architettura all'ingegneria fino al physical branding e al communication design. Quest’ultimo campo d’azione, condotto dal brand interno FUD, ha interessato in particolare il recente intervento di redesign dell'Aeroporto di Trieste, ridefinito come piattaforma intermodale di nuova generazione: non solo sul piano infrastrutturale, ma in termini concettuali e percettive. 

La possibilità di intervenire sull'esistente ha consentito a Lombardini22 di ribaltare completamente il tradizionale procedimento scalare che, partendo dal manufatto fisico, giunge agli aspetti immateriali solo a margine e spesso in maniera superficiale. L’architettura leggera attivata da FUD prende viceversa corpo a partire dagli elementi di empatia con lo spazio e il tempo, attivando dinamiche emozionali e cognitive profonde che si diramano nel palinsesto costruito, mutandone significato. Non è più l'architettura a stabilire le regole di vita al suo interno, ma l’esatto opposto. Elemento primario di tutto il processo metaprogettuale è costituito dal segno tipografico dell’accento: simbolo dell'identità frontaliera di Trieste, ma anche dell'identità poliglotta di un luogo come l'aeroporto.  

Moltiplicandosi sulle superfici come freccia direzionale o coda stilizzata di un aeroplano, la piccola monade grafica colonizza l'intera struttura, mentre le sue declinazioni cromatiche scandiscono il ritmo delle addizioni architettoniche: prime fra tutte una scenografica passerella di 425 metri. Il segno si trasforma così in un vettore di senso, capace di indicare a ognuno dove può dirigersi ma anche dove si trova. Decodificando la transitorietà come stato fondativo, il nuovo alfabeto accentua l’identità dell’aeroporto-luogo – chissà cosa ne penserebbe Marc Augé? – fino a irradiarsi nella città a bassa definizione che lo circonda. Di questi tempi, ci dicono in fondo quei segni e quei colori, siamo tutti un po’ viaggiatori: ma qualche volta basta il dettaglio di un attimo per farci sentire di nuovo a casa.  

Progetto:
Aeroporto di Trieste
Architetti:
Lombardini22
Tipologia:
Infrastruttura 
Luogo:
Trieste

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