La genealogia dell’immaginazione secondo Paulo Mendes da Rocha

A pochi giorni dalla scomparsa di Paulo Mendes da Rocha pubblichiamo un estratto dal primo capitolo del libro La città per tutti, raccolta di testi recentemente pubblicata da Nottetempo. 

Paulo Mendes da Rocha. La città per tutti

Genealogia dell’immaginazione

Sono nato nel porto di Vitória, nello stato di Espírito Santo. Ho vissuto a Rio de Janeiro e a San Paolo, dove mio padre, ingegnere dei porti e delle vie navigabili, è diventato professore al Politecnico dell’usp. Sono stato educato lí, un po’ nel deserto, un po’ nelle fattorie di cacao di Rio Doce, un po’ nelle segherie e un po’ in mare, tra grosse opere di ingegneria. Mi sono abituato a riporre fiducia nel potere di trasformazione della tecnica, nella premeditazione e nello sguardo che progettano azioni utili, desiderabili, che realizzano promesse e speranze con una produttività celebrativa, nonostante la miseria del mio paese.

Sono cresciuto con la certezza che gli uomini trasformano la bellezza originaria, la natura, in ciò che desiderano e che è necessario affinché la vita si compia nei recinti urbani. Un’idea di natura non contemplativa, la mia, poiché viene rivelata da progetti di abitazioni, strade, banchine per imbarcazioni, e con questi progetti coincide. Quando l’uomo guarda la natura la vede già come parte del suo progetto, delle trasformazioni che apporterà.

La copertina del libro “La città per tutti” di Paolo Mendes da Rocha. A cura di Carlo Gandolfi per edizioni nottetempo.

Se penso a modelli per cose concrete o progetti, spesso mi viene in mente l’ambito urbano di Vitória, una città piena di energia e lavoro dove il rumore dei porti si fa sentire. Il porto è un’officina illuminata che, nel suo modo di occupare gli spazi, trasmette un’idea di universo, di mondo, di pianificazioni e avventure. La sua disposizione spaziale compare nella memoria con la parte fluttuante di quel territorio. Esiste un discorso, e perché questo possa esistere, occorre che da qualche parte tragga origine. Questo luogo costruito assume un significato solo a partire dalla propria specificità, una rappresentazione universale della conoscenza.

Oltre alla costruzione di porti, ho seguito lo smantellamento idraulico della collina del Castello a Rio de Janeiro, collocata nella parte arroccata dove oggi è situato l’aeroporto Santos Dumont. La natura e il territorio sono temi particolari in paesi come il Brasile, che sono sorti in tempi recenti dalla vastità della natura. Rio de Janeiro presupponeva già la città che è: quel recinto, la montagna Dois Irmãos, i graniti, la vegetazione intoccabile, la forza della morfologia di questa città l’hanno portata ad avere l’incanto che la contraddistingue.

SESC 24 de maio, il progetto di Paulo Mendes da Rocha e MMBB arquitetos a San Paolo, Brasile.

È molto interessante, per me, l’esempio di Venezia. Non la Venezia ammirata per il fascino dei suoi palazzi, ma quella vista come una nuova geografia. La sua grande bellezza sta, giustamente, in ciò che questo episodio rivela: questo luogo, la laguna di Venezia, era il meno consigliabile per costruire una città, un porto. Fu necessario elaborare nuovi disegni progettando canali e terrapieni perfetti nelle piccole isole affioranti, impiegando tecniche mai usate a questa scala e facendo nuovi esperimenti. Poi, perché tutto questo diventasse uno splendore, si costruirono i palazzi, come per elogiare l’opera realizzata. La suprema architettura di Venezia è la costituzione del suo territorio; il fondamento della sua ragione architettonica è la costruzione dei canali, una nuova spazialità per supportare il commercio marittimo nel cuore dell’Europa. 

Le sfide vinte nella laguna di Venezia mi hanno insegnato come si costruisce una città, un luogo nuovo per le attività umane. Confondo qui, deliberatamente, ingegneria e architettura. È impossibile pensare a formazioni e trasformazioni formali se non si sa come realizzarle. Si tende a pensare secondo la propria ingegnosità, anziché a forme autonome o indipendenti dalla visione produttiva di quelle forme stesse. Quando l’architetto fa uno schizzo, un’annotazione, sta di fatto unendo tutte le discipline necessarie: la meccanica dei fluidi, del suolo, le macchine e i relativi calcoli. Non si tratta di fantasia, ma di una particolare procedura di mobilitazione della conoscenza, quella architettonica. Si tratta di affrontare dunque le questioni relative alla tecnica dal punto di vista di un architetto, come chi annulla la distanza, apparentemente inesorabile, tra umanesimo e tecnica, tra filosofia e matematica, tra ragione e immaginazione.

Paulo Mendes da Rocha, Praça do Patriarca, San Paolo, Brasile.

L’idea di una città fatta a partire dai monumenti rimanda alla figura di Palladio. In quell’epoca, con la classe dei ricchi borghesi che iniziava a emergere, si pensava che la città potesse essere intesa come un insieme di palazzi disposti uno di fianco all’altro. Lo stesso Palladio sosteneva che non sarebbe piú esistita la città dell’antichità classica, fatta di monumenti, ma a sorgere sarebbe stata ora la monumentalità della città stessa. Applicata oggi, una riflessione in merito a una città strutturata sui monumenti sembrerebbe un anacronismo, un’idea sorpassata, il sintomo di una decadenza che, da un punto di vista tecnico, produrrebbe dei veri e propri errori. L’architettura contemporanea consiste essenzialmente nel disegnare la città e non nel decorarla con una successione, anche atroce, di artefatti eccentrici. È necessario perciò abbandonare la divisione schizofrenica tra architettura e urbanistica, tra tecnica, arte e scienza. 

L’architetto Vilanova Artigas mi ha portato a questa visione critica. La mia architettura è sempre stata ispirata dalle idee, non evoca modelli di palazzi o di castelli, ma l’abilità dell’uomo di trasformare lo spazio in cui vive sulla base di un interesse sociale e attraverso una visione aperta e rivolta al futuro.
Perché l’uomo deve comprendere che bisogna agire nella società, trasformando la grotta in una casa, la soglia della casa in un ponte per attraversare un fiume, l’altro lato del fiume in un’altra casa.

L’uomo conversa, parla, trasmette e costruisce oggetti materiali, macchine. Tutto questo è il risultato di una proiezione: si immagina il futuro e si pianifica il progetto, considerando la materia necessaria alla sua realizzazione. Da subito l’uomo ha capito che questa proiezione è monumentale, cosí come monumentale è la sua presenza nell’universo. Si tratta della sua sublime capacità di prevedere cosa sarà fatto. Si tratta della visione anticipata della forma risultante, di tutto l’ingegno creativo, dei movimenti della macchina e dell’energia necessaria, diventata, in un dato momento, immobile nella forma. In queste proiezioni l’uomo è sempre andato al di là della stretta necessità che la forma deve soddisfare, ovvero al di là del suo contenuto utile. Ha riprodotto l’idea di sé nella forma. Era forse già questa la radice dell’architettura. Forse è proprio questa la ragione stessa dell’architettura, messa ora in luce da nuove informazioni e notizie su ciò che sarà.
Si tratta di una visione poetica della forma, che oltrepassa, nella sua dimensione umana, la stretta necessità.
L’architettura non vuole essere funzionale, ma opportuna.

Immagine di apertura: Paulo Mendes Da Rocha in un fotogramma dal video Tudo è Projeto, Joana Mendes da Rocha e Pati Rubano, 2017.

La città per tutti è una raccolta di scritti inedita che appare per la prima volta in italiano con la cura e traduzione di Carlo Gandolfi. Insieme a La poltrona di Proust di Alessandro Mendini e Dell'organizzazione dello spazio di Fernando Távora inaugura una serie di saggi inediti o non più reperibili dei maestri dell'architettura, pubblicata da Nottetempo. La serie è ideata e curata da Carlo Gandolfi con il coordinamento di Carlotta Torricelli e l'appoggio scientifico di Nina Bassoli, Tommaso Brighenti, Gabriele Neri, Susanna Pisciella e Mariana Siracusa.

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