David Chipperfield. In mostra a Vicenza, l’architettura come mestiere

Intervista all’architetto inglese sulla sua ultima mostra alla Basilica Palladiana, dove i progetti esposti parlano del potere dell’architettura. Con un video di Francesca Molteni.

La mostra “David Chipperfield Architects Works 2018”, organizzata dall’Associazione Culturale Abacoarchitettura, è in corso presso la Basilica palladiana di Vicenza. Abbiamo intervistato Sir Chipperfield che ha rivelato le ragioni per cui ha deciso di presentare principalmente progetti in corso, mostrando l’architettura come mestiere. Il progetto della Fundación RIA (Rede de Innovación Arousa) per la regione spagnola della Galizia emerge come occasione per ridefinire le priorità dello studio rispetto alle sfide poste oggi all’architettura: il recupero del suo ruolo attivo rispetto alla società.

In questa mostra, l’architettura emerge come pratica artistica contemporaneamente connessa alle dinamiche sociali presenti nel suo contesto di riferimento. Com’è nato il progetto?
Abbiamo ricevuto un invito che abbiamo accettato con trepidazione.
Gli architetti sono sempre nervosi di fronte alle mostre, non è un lavoro facile e richiede dedizione. Il nostro lavoro è sì quello di fare progetti, ma non di mostre. Un artista, quando viene invitato a realizzare una mostra è generalmente entusiasta ma lo stesso non vale per gli architetti. Quindi, quando la richiesta è arrivata da Vicenza abbiamo scelto di non separare il nostro lavoro quotidiano dalla sua esposizione. Questo è anche il motivo per cui ho chiesto ai diversi studi di presentare i progetti su cui stanno lavorando ora.

Il tentativo è stato quello di trasformare la mostra in un’opportunità per parlare dell’architettura come mestiere, non degli architetti.

È stato sorprendente scoprire che i progetti esposti sono quelli su cui state lavorando in questo momento.
Non volevamo fare una mostra-archivio, nemmeno una mostra-presentazione. Abbiamo escluso la possibilità di esporre progetti già largamente conosciuti e conclusi, al contrario, desideravamo che questa fosse l’occasione per avvicinarsi alla pratica dell’architettura. Abbiamo deciso di esporre quello che stiamo facendo ora così il risultato sarebbe stato più fluido. Il tentativo è stato quello di trasformarla in un’opportunità per parlare dell’architettura come mestiere, non degli architetti.

David Chipperfield Architects è uno studio con sedi a Londra, Berlino, Milano e Shanghai; dicevamo che nella mostra ognuno di questi studi ha esposto la sua produzione. Ci sono differenze fra gli approcci dei differenti sedi?
Intellettualmente parlando non vedo differenze radicali fra di essi ma è vero che producono progetti molto diversi: ad esempio, se lavoriamo in Germania realizziamo un progetto tedesco, se invece lo lavoriamo in Corea il progetto non potrà che essere coreano. Credo molto dipenda dall’approccio alla commissione. È una questione di contesto, più che dello studio che ha l’incarico.

Evidenziare la relazione fra forma e società è uno dei propositi di questa iniziativa. Che risvolti ha quest’ultima nel processo di progettazione?
Lo scopo della mostra è quello di spiegare che ci sono dei momenti in cui la nostra produzione ha avuto la necessità di essere molto formale ed esperenziale, altri progetti richiedono invece di operare direttamente sulla società. Ad esempio, il concept per i negozi Valentino è chiaramente un’esperienza sulla forma e sui materiali mentre il progetto in Galizia è solo sulla società; quest’ultimo lavora su un’idea di ambiente antropizzato. In ultima battuta, l’architettura occupa un territorio che è al confine fra società, forma ed esperienza.

Quali obiettivi ha il progetto per la Galizia, la Fundación RIA (Rede de Innovación Arousa)?
Con la mia famiglia abbiamo sviluppato un rapporto privilegiato con il territorio della regione perché abbiamo una casa lì, da ormai 25 anni. Questo è il motivo per cui ho deciso di finanziare un’organizzazione non-profit che lavora per e con le comunità locali. Non si tratta strettamente di architettura ma della riorganizzazione di un territorio: alcuni punti su cui ci concentriamo sono il controllo del traffico nei centri urbani, il cambiamento delle leggi che riguardano le nuovi costruzioni nei terreni agricoli e la riqualificazione del patrimonio abitativo. Prevediamo anche di intervenire attraverso un riaggiustamento del quadro amministrativo dell’area poiché è necessario riconsiderare i confini fra i comuni, assieme alle relazioni fra i sindaci delle cittadine, al di là di logiche partitiche. Stiamo attualmente sviluppando relazioni con le istituzioni locali. C’è la necessità di controllare il traffico, la qualità dell’acqua, le acque di scolo, l’inquinamento, le foreste, il fuoco: questi elementi trascendono le divisioni amministrative. L’acqua non è interessata ai confini fra comuni quindi i meccanismi devono essere riconsiderati di modo che le nostre azioni siano efficaci nel cambiare positivamente l’ambiente: questo progetto va oltre al singolo edificio o alla realizzazione di una piazza carina.

La parola sostenibilità richiama l’interesse dei politici poichè ha assunto nel tempo un potere sociale.

Come architetto qual’è il Suo aproccio alla sostenibilità? Non crede sia difficile parlarne oggi?
Effettivamente non sappiamo ancora come parlarne, è vero. Questa parola però è importante poichè ha un ruolo preciso nel nostro linguaggio, pur nella vaghezza del suo significato. La parola sostenibilità richiama l’interesse dei politici poichè ha assunto nel tempo un potere sociale. Credo che questa parola racchiuda una moltitudine di concetti cari a noi architetti e che possa aiutarci a trasmetterli: densità, urbanistica, buona mobilità, controllo intelligente del traffico. Per esempio, se si parla di sostenibilità sociale, credo che sia opportuno che le residenze popolari siano localizzate anche nei centri urbani. Al contrario, se tutte le funzioni sono separate a livello spaziale – il centro città come museo, il distretto degli uffici, l’area residenziale – la città non è sostenibile: la sostenibilità sociale riguarda la prossimità, che produce una progettazione di un una ricca, complessa struttura sia sociale che spaziale.

Infatti, se l’architetto vuole riguadagnare il suo ruolo nella società – il suo potere sociale – deve impegnarsi con essa, averla per committente.

Come descriverebbe l'approccio del Suo studio rispetto alla società?
Nella Biennale che ho diretto nel 2012, Common Ground, ho provato a spingere gli architetti a ristabilire una relazione migliore con la società nella prospettiva di diventare più utili. Ho voluto dimostrare il potere dell’architettura più che il potere degli architetti. Non possiamo essere solo progettisti di monumenti, al contrario, dobbiamo progettare la società, impegnarci con essa per aiutarla. La prossima generazione deve cambiare questa relazione ed essere più flessibile nell’adattarsi agli incarichi. Il lavoro che stiamo facendo in Galizia può essere svolto solo da architetti, nonostante ora non ci sia architettura; si tratta di un lavoro di mediazione e di negoziazione. Infatti, se l’architetto vuole riguadagnare il suo ruolo nella società – il suo potere sociale – deve impegnarsi con essa, averla per committente.

Titolo della mostra:
David Chipperfield Architects Works 2018
Date di apertura:
12 maggio – 2 settembre 2018
Sede:
Basilica Palladiana
Indirizzo:
Piazza Dei Signori, 36100, Vicenza

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