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Tra materia e significato

Sam Jacob visita due recenti realizzazioni dello studio SO – IL, l'edificio K3 della Kukje Gallery di Seoul e la sede Logan di New York, e incontra un'architettura dai molti aspetti, in sintonia con l'ambiguità spaziale dell'era digitale.

Questo articolo è stato pubblicato su Domus 958, maggio 2012

Quando usiamo il termine 'sostanza' riferendoci a un pensiero o a un'idea, suggeriamo che pensiero e idea iniziano ad acquistare proprietà fisiche attraverso il loro significato. In senso metaforico, perciò, le idee possono avere peso e gravità, diventare solide: in base a queste definizioni linguistiche, i pensieri diventano cose. Analogamente, la materia è spesso un'idea, almeno quanto è una sostanza. Ciò che di materiale creiamo esiste grazie all'immaginazione che precede questo processo. Nel sovrapporre concetti alla condizione del mondo così come ci è dato, alchemizziamo la sostanza di base per farne una specifica condizione materiale. Le idee, quindi, possono essere reali quanto le cose, e ogni sostanza uno stato immaginario. L'idea — o piuttosto il problema della solidità — sembra essere un fattore centrale nell'approccio di SO – IL all'architettura. SO – IL è uno studio di progettazione nato nella settimana del tracollo di Lehman Brothers. E anche se i suoi fondatori, Florian Idenburg e Jing Liu, possono avere considerato rovinosa una simile coincidenza, oggi riconoscono che quel momento, per certi versi, è codificato nel loro progetto.

SO – IL si è formato nel momento in cui appariva chiaro che il rapporto tra materia e significato era mutato, emergendo in un mondo nel quale la sostanza, persino l'architettura, era stata trasformata in uno strumento finanziario puramente fittizio. Le tradizionali divisioni, tra la sostanza fisica dell'architettura e l'ombra concettuale e astratta del suo valore, erano state eliminate. Come aveva suggerito Marx nel Manifesto del Partito Comunista, l'iper-capitale aveva trasformato la materia: "Tutto ciò che è solido si dissolve nell'aria". Negli uffici per la casa di produzione Logan, realizzati da SO – IL a New York, forse ritroviamo proprio queste riflessioni così attuali su una materia immateriale: qualcosa che è, a un tempo, presente e assente.
In apertura: Kukje Gallery, Seul. Qui sopra: sede Logan di New York
In apertura: Kukje Gallery, Seul. Qui sopra: sede Logan di New York
Il tipico loft di SoHo ha grandi finestre, tubi del riscaldamento a vista, elementi strutturali in ghisa, tutto nello stile dell'epoca. Esibisce la concretezza di un edificio fatto di materia, che mostra i segni e le conseguenze del tempo e dell'uso. Qui, una serie di interventi ricopre questa condizione originale di un nuovo strato di esperienza. Due pareti, in apparenza molto spesse, tagliano lo spazio disegnando una pianta rigorosamente rettilinea. Pareti fatte del più lieve dei materiali, un tessuto 'gaussiano' continuo, così teso da sembrare solido, a creare due spazi pressoché identici: ciascuno con un unico tavolo smisuratamente allungato a coprirne l'intera lunghezza. Queste 'stanze' sorgono una accanto all'altra, ma, data la trasparenza di questi muri di garza, ognuna sembra piuttosto il riflesso dell'altra. È come un apparire di pareti che ingoiano colonne di ghisa nella loro velata profondità, la cui immacolata trasparenza taglia prospettive nello spazio, creando piani di visibilità decrescente e facendone un paesaggio immerso in una nebbia che scolorisce nel bianco verso l'orizzonte.
Una maglia formata da 510.000 anelli d’acciaio avvolge il volume che ospita il terzo blocco della Kukje Gallery di Seul
Una maglia formata da 510.000 anelli d’acciaio avvolge il volume che ospita il terzo blocco della Kukje Gallery di Seul
Intorno al perimetro, un'unica pelle 'gaussiana' forma un impercettibile strato, attraverso il quale i tipici contorni di un muro esterno restano per metà visibili, per metà scompaiono. Alla luce del sole, i pannelli delle finestre diventano lucenti rettangoli astratti proiettati sulla pelle. Attraverso quest'impalpabile epidermide, come in una radiografia, leggiamo la storia di questa particolare architettura, gli intoppi, le raffazzonature e la concretezza della materia. L'impressione è stupefacente. Come se applicassimo in tempo reale un filtro di Photoshop, il paesaggio interno è trasformato in un campo visivo, mentre i mutamenti della luce naturale e artificiale spostano la profondità di campo, alterando la nostra percezione di grandezza, distanza, connessione. Muovendosi nello spazio, le persone si dissolvono diventando puri contorni, sono messe a fuoco oppure sfumano nel grigio. È un effetto evanescente, come se un tipo di architettura ne inseguisse un'altra, come se ci si trovasse in due posti allo stesso tempo, e l'elemento architettonico fosse qualcosa che prende corpo come un'apparizione attorno al nucleo solido del programma. La sensazione è che si tratti di uno spazio perfettamente adatto a una società come Logan, azienda iperdigitale che produce trailer per videogiochi in cui reale e virtuale si uniscono con risultati spettacolari, perché l'architettura di SO – IL abita, a sua volta, un mondo semitrasparente, un incrocio tra hard e soft. Possiamo leggerla come una speculazione sulle possibilità architettoniche associate alle esperienze del XXI secolo: di un tempo in cui si è immersi nei bagliori elettromagnetici di comunicazioni in realtà aumentate e in lattiginosi campi di segnale/rumore, nei quali le esperienze di 'essere' e 'là' non sempre vanno di concerto, dove molteplici versioni d'identità si sovrappongono in simultanea.
Questi progetti sono densi di paradossi creativi, paradossi fatti di forma e non forma, robustezza e leggerezza.
La sede newyorkese di Logan, una casa di produzione specializzata in spot pubblicitari, video giochi e film, occupa un loft nel cuore di SoHo. Lo spazio è caratterizzato da due stanze allungate, ognuna con un tavolo lungo 20 m.
La sede newyorkese di Logan, una casa di produzione specializzata in spot pubblicitari, video giochi e film, occupa un loft nel cuore di SoHo. Lo spazio è caratterizzato da due stanze allungate, ognuna con un tavolo lungo 20 m.
Quello che ci colpisce alla Kukje Gallery di Seul, dove a SO – IL è stato affidato il compito di progettare K3, il terzo spazio espositivo di una delle più importanti gallerie d'arte contemporanea della Corea del Sud, è la nozione di architettura come entità multidimensionale. Si tratta di un sito complesso, in cui costruzioni in stile vernacolare e tessuto urbano tradizionale sorgono, spalla a spalla, con il palazzo reale, ai margini del movimentato quartiere artistico di Seul, oltre che ai piedi di una montagna sulla quale un muro segna il confine con la Corea del Nord. Un modo per capire l'edificio è guardare al doppio ruolo che svolge: anzitutto, internamente, come galleria, il ne pas ultra dello spazio interno contemporaneo; e, quindi, esternamente, quale mezzo usato per conferire un senso alla frammentarietà del sito e contribuire a generare un rapporto più coerente, come fosse un campus universitario, tra la collezione degli edifici che formano il complesso della galleria. Il progetto sembra nascere dall'incontro di queste ambizioni così diverse. La struttura è organizzata secondo un diagramma estremamente logico. Lo spazio espositivo, un cubo bianco dall'alto soffitto, sorge al centro, come fosse una forma platonica di mercato dell'arte. Collegamenti e infrastrutture sono spinti all'esterno, confinati dentro blocchi e protrusioni: un ingresso, una scala esterna di accesso al tetto, una scalinata curva che conduce a un auditorium seminterrato, una tromba cilindrica per l'ascensore e una centralina elettrica. Al piano interrato, troviamo un cinema e sale riunioni. La forma è ricavata in cemento, in modo semplice, quasi brutale, e cresce con visibile sbrigatività intorno alla funzione di galleria commerciale.
Le pareti longitudinali della sede newyorkese di Logan presentano un’intelaiatura rivestita con un tessuto teso: questa scelta permette agli architetti di creare una stanza nella stanza, dissimulando la struttura esistente
Le pareti longitudinali della sede newyorkese di Logan presentano un’intelaiatura rivestita con un tessuto teso: questa scelta permette agli architetti di creare una stanza nella stanza, dissimulando la struttura esistente
All'interno, il cubo bianco con illuminazione zenitale è splendido nella sua squisita nitidezza. Per mezzo della sua perfetta resa come interno di uno spazio espositivo contemporaneo diventa una specie di condizione ereditata, un ready-made preso da qualsiasi altra galleria di punta. Qui avvertiamo un pragmatismo sottoscritto dall'ironica accettazione della tipologia spaziale della galleria d'arte. Il suo status di ambiente specifico è amplificato spingendo tutto il resto all'esterno, così che porte, scale e altri servizi sono solo strutture accessorie a suo uso e consumo. La condizione formale della galleria, opposta alla disposizione informale o strumentale dei suoi servizi, ne incrementa l'importanza. All'esterno, questa logica concreta — sia nel senso materiale sia in quello concettuale — è avvolta in una maglia continua di rete, formata da anelli di metallo saldati l'uno dentro l'altro. Fabbricata in sezioni, a quanto si dice da un intero villaggio cinese, quindi unita in cantiere a formare un unico telo, scende come un drappo dalla linea del tetto fino al suolo, gonfiandosi e tendendosi intorno alle protuberanze e ai turgori della struttura. La maglia di rete ha la qualità di una recinzione di sicurezza prodotta da un gioielliere, è robusta e delicata allo stesso tempo, determina un offuscamento visuale intorno all'edificio, decomponendo il corpo solido della costruzione in qualcosa di letteralmente indeterminato. Il suo profilo diventa difficile da definire, e sviluppa una strana, simultanea qualità formale/informale: vista frontalmente si fa trasparente, di lato diventa un piano continuo, mentre la luce gioca sia in trasparenza sia in superficie a formare ombre di filigrana proiettate sul cemento sottostante.
Il lungo tavolo è la trasposizione fisica dei flussi di lavoro: attorno a esso si sviluppano le fasi di progettazione, produzione e riunione. Il controsoffitto in PVC riflette la luce naturale senza produrre ombre
Il lungo tavolo è la trasposizione fisica dei flussi di lavoro: attorno a esso si sviluppano le fasi di progettazione, produzione e riunione. Il controsoffitto in PVC riflette la luce naturale senza produrre ombre
Girando intorno, iniziamo a vedere come la strana forma di K3 entri in relazione con l'ambiente circostante. Tra due pareti, la rete è tesa a formare un angolo retto con l'edificio, quindi si gonfia e sporge, accostandosi a una porta d'ingresso vetrata e a una scala curva che sboccia dal volume centrale per condurre giù al cinema, creando una corte semicircolare. Qui, affacciandosi su una stradina, la costruzione si presenta con un lato aperto più regolare, e la rientranza aiuta a creare quella che si potrebbe considerare una pubblica piazza, in questo momento occupata da due enormi statue di Paul McCarthy. Vista dalla direzione opposta, dall'interno del recinto di Kukje, mostra un ingresso vetrato che sporge dalla galleria e procede verso di noi, come a raccoglierci dal suolo. Sull'altro lato, la scala aperta che conduce alla terrazza sul tetto è spinta in fuori ad angolo per rivelare la propria presenza più addentro nel sito, contribuendo a generare nuovi percorsi attraverso il campus. La forma dell'edificio, sebbene a prima vista appaia del tutto desueta, diventa anche un modo per congiungere la nuova galleria con lo sgangherato tessuto vernacolare che la circonda: un modo per dare una logica alla situazione esistente, fatta di spazi residui, salti di scala e percorsi che attraversano il sito. La sua forma, comunque, s'innesta nel paesaggio di Seul anche in un senso più ampio. Gli architetti parlano di un vecchio dipinto tradizionale coreano, recuperato durante la progettazione da un loro collaboratore, in cui si vedono i picchi montuosi e i tetti del palazzo reale avvolti dalla foschia schiacciare primo piano e sfondo in un unico spazio. Questi due progetti di SO – IL sono, in qualche modo, uno l'inverso dell'altro: il primo è uno spazio interno che avvolge l'architettura esterna; il secondo l'involucro esterno di un'architettura interna. Sono progetti che, sebbene in modi diversi, sono altamente formali, pur distanziandosi nettamente dall'effetto scultoreo. Rimangono aperti e imprevedibili, permettendo di esser usati, letti ed esperiti allo stesso tempo, in modo astratto, metaforico, simbolico e narrativo. Sono densi di paradossi creativi fatti di forma e non forma, robustezza e leggerezza, logica e illusione, solido e vuoto, densità e leggerezza, visibilità e invisibilità. E in entrambi percepiamo un'estensione di ciò che le sensazioni di spazio e sostanza potrebbero essere in un mondo per metà virtuale.
La parte terminale del tavolo continuo è separata dal resto della stanza da una parete in vetro; si viene così a creare uno spazio isolato acusticamente
La parte terminale del tavolo continuo è separata dal resto della stanza da una parete in vetro; si viene così a creare uno spazio isolato acusticamente
Circondata da un fitto tessuto urbano composto da <i>hanok</i> (tradizionali abitazioni a un piano caratterizzate da una corte), la Kukje Gallery è la più importante galleria d’arte contemporanea privata della Corea del Sud. I committenti intendono ampliare la loro attività, rinnovando le strutture esistenti e inserendo nel quartiere un nuovo complesso
Circondata da un fitto tessuto urbano composto da hanok (tradizionali abitazioni a un piano caratterizzate da una corte), la Kukje Gallery è la più importante galleria d’arte contemporanea privata della Corea del Sud. I committenti intendono ampliare la loro attività, rinnovando le strutture esistenti e inserendo nel quartiere un nuovo complesso
Lo spazio dell’arte è affidato a una geometria semplice, una scatola ortogonale ben proporzionata, mentre 
gli elementi incaricati della distribuzione interna 
(le scale e l’ascensore per raggiungere il sotterraneo) sono spinti verso l’esterno 
in forme curvilinee
Lo spazio dell’arte è affidato a una geometria semplice, una scatola ortogonale ben proporzionata, mentre gli elementi incaricati della distribuzione interna (le scale e l’ascensore per raggiungere il sotterraneo) sono spinti verso l’esterno in forme curvilinee
I progettisti sono stati chiamati a lavorare sul progetto quando erano già cominciati gli scavi. È stato chiesto loro di articolare la galleria in due parti: una serie di spazi sotterranei nei quali ospitare un piccolo auditorium, depositi, uffici e stanze di servizio e, a pianterreno, una grande galleria a doppia altezza
I progettisti sono stati chiamati a lavorare sul progetto quando erano già cominciati gli scavi. È stato chiesto loro di articolare la galleria in due parti: una serie di spazi sotterranei nei quali ospitare un piccolo auditorium, depositi, uffici e stanze di servizio e, a pianterreno, una grande galleria a doppia altezza
Secondo Florian Idenburg 
e Jing Liu, la maglia metallica avvolge morbidamente l’edificio e, grazie alla sua tessitura lucente, si mescola con le costruzioni circostanti in un curioso contrasto. 
Gli architetti hanno lavorato a lungo per identificare le dimensioni degli anelli e la forma del ‘tessuto’ d’acciaio più adatte
Secondo Florian Idenburg e Jing Liu, la maglia metallica avvolge morbidamente l’edificio e, grazie alla sua tessitura lucente, si mescola con le costruzioni circostanti in un curioso contrasto. Gli architetti hanno lavorato a lungo per identificare le dimensioni degli anelli e la forma del ‘tessuto’ d’acciaio più adatte

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