Opinione. A proposito di Domus: un dialogo tra Luigi Prestinenza Puglisi e Stefano Boeri
dalla PresS/Tletter n. 2-2006
LPP: Caro Stefano
Sai quanto ti stimo e apprezzo il tuo lavoro, ma avere pubblicato due volte Casamonti su Domus, trascurando il resto della giovane architettura italiana e' suicida.
Sei troppo intelligente e informato per sapere cosa Casamonti significhi nel panorama italiano: il ponte con la palude accademica. E sebbene alcuni dei suoi progetti siano piacevoli, testimoniano un eclettismo disimpegnato.
Per carità non voglio demonizzare nessuno e Casamonti, personalmente , mi e' pure simpatico. Ma le scelte culturali sono ben altra cosa, e in questo modo si contribuisce a andare a pallino un lavoro serio sulla sperimentazione optando per una avanguardia da salotto.
Cordialità
Luigi
SB: Caro Luigi, calma.
ti sembra davvero che sto trascurando l'arch giovane italiana? Ma per favore. E 2a+P? e Marazzi? e Baukuh? E Librizzi?
chi sono? cinquantenni finlandesi?
Su Casamonti parliamone bene. Se davvero vuoi. Ciao, con stima e amicizia sincere, s.
LPP: Caro Stefano certo che hai pubblicato qualche italiano e hai fatto benissimo (anche se io forse non avrei pubblicato Zucchi che e' un bravo architetto ma tradizionalista e avrei aspettato a pubblicare Servino perché quegli edifici incompleti spostavano l’attenzione dall’architettura a altro). Ma il discorso che volevo fare e' un altro. Se qualcuno non si occupa in forma sistematica e non episodica della situazione italiana (per esempio con inchieste sullo stato della ricerca architettonica nelle varie città italiani o nelle principali regioni geografiche), alla fine di questo fenomeno si occuperà solo Area o, meglio, d’A. Dirai: poco male. E invece e' male perché non fa altro che portare acqua all’abile strategia di politica culturale che Casamonti, con spirito piacentiniano, sta mettendo in atto. Una strategia che tende a mettere sullo stesso piano Portoghesi e Koolhaas, Gregotti e Herzog & de Meuron, tradizione più chiusa e innovazione più interessante. E nello stesso tempo ad attrarre i progettisti con infinite lusinghe: stemperate i vostri discorsi, pare dire, perché viviamo in un mondo dove tutto e' lecito purchè abbia un minimo di qualità compositiva. Un discorso, a mio avviso, pericolosissimo perché glissa sui contenuti e su quell’etica della scrittura che rappresenta l’unica strada percorribile per un’architettura che non sia solo luna park, caleidoscopio di superficiali effetti formali. E così contribuiamo a fare emergere ipotesi culturali che avevamo con tanto fatica affossato: quali quelle di Purini che a questo gioco casamontiano guarda con estremo interesse perché all’uno mancano i mezzi tecnici ed economici –cioè le riviste- e all’altro la sintesi culturale –cioè un ragionamento storico critico all’altezza di un compito così impegnativo- per sostanziarlo. La storia purtroppo tende a ripetersi: tutto questo era successo durante gli anni trenta con i razionalisti – pensa alla fine del Miar e all’incedere del Rami- e poi negli anni settanta con la svendita delle avanguardie al disimpegno post modern e all’allora sistema portoghesiano. Colpa delle nostre avanguardie da salotto che cercano il nuovo solo superficialmente ma, poi, davanti all’incarico professionale sono disposte a rinnegare tutto? Si anche... Ma anche colpa dei critici e di coloro che gestiscono l’informazione. Ecco perché vedo con estrema preoccupazione questo andazzo che oramai ha varie sponde: tra queste la Darc, le università e un non trascurabile numero di riviste. Per non parlare dei convegni sull’italianità dell’architettura italiana e della folgorante ascesa della rivista Area. Domus, sulla quale avevo riposto grandi speranze (finalmente una portaerei in mano a un direttore in gamba) cosa fa? Tende a glissare sull’architettura. Ne pubblica poca, e per di più pochissima italiana. Ma anche poca di architetti stranieri che non siano riconducibili allo Star System. Mi rendo conto che alcune star bisogna metterle per forza, per ragioni di vendita. Ma possibile che all’estero in questo momento non stia succedendo qualcosa di nuovo da immettere, come sano sistema di anticorpi, nel flebile sistema Italia?
La mia sensazione e' che Domus sia una portaerei che potrebbe avere uno straordinario potere di fuoco culturale e invece sta appena fuori dal porto a fare qualche esercitazione. Questa sensazione – te lo diranno in pochi perché si tendono a evitare con gli interessati questo genere di discorsi- e' condivisa da diverse persone con le quali, nei miei giri per l’Italia, ho avuto occasione di parlare. E di questo abbraccio con Casamonti – il quale, lo ripeto, personalmente mi sta simpatico, ma qui il discorso investe non il piano umano ma quello culturale- si parla anche. Ecco questo e' quello che ti dovevo dire, con sincerità, stima e, se mi permetti, un certo affetto
A presto
Luigi
SB: Caro Luigi, ti rispondo solo oggi, dopo 3 settimane di polmonite che mi hanno "affossato"...
E ti rispondo per dirti, con grande affetto e stima, che proprio non ci siamo.
Il mio progetto per Domus l'ho dichiarato fin dalla copertina del primo numero, dedicata a De Carlo e alla Triennale del '68. Lì provavo a dire di come l'architettura oggi debba avere un ruolo che non si esaurisce nella costruzione architettonica. Di come bisogna credere nell'utilità sociale della nostra professione, non solo per la sua possibilità di modificare lo spazio abitato, ma anche per la sua capacità di produrre conoscenza sui luoghi della vita urbana. Conoscenza di dettagli, di particolari e tracce dei comportamenti abitativi, che servono a decifrare la vita sociale contemporanea. Conoscenza di fatti, comportamenti, bisogni, che solo uno sguardo attento alle corrugazioni dello spazio locale, come quello di un architetto, può oggi offrire. E sono anche convinto che questa conoscenza della superficie fisica del mondo produca un "eccesso" di informazioni sullo spazio locale che non è riconducibile solo entro la pratica della progettazione. Può e deve trovare anche altri sbocchi: nella ricerca, nella critica, nel giornalismo, nell'insegnamento non accademico, nella comunicazione, nell'arte visiva, perfino nella politica. Perchè io credo fermamente che lo spazio sia oggi la migliore metafora delle nostre società.
Questo non significa assolutamente che io non consideri la dimensione cruciale che la professione continua ad avere nella vita di un'architetto. Tutt'altro. Io sono e resto un architetto che cerca di fare al meglio il suo mestiere di progettista. Il fatto è che se c'è un aspetto appassionante di questa nostra professione è oggi proprio quello di provare ad ospitare a fianco di una sfera di conoscenze tecniche e squisitamente progettuali, una sfera di conoscenze e curiosità legate a un'indagine sullo spazio abitato, ad una lettura "per indizi"" del territorio. E credo che proprio questa nostra possibilità di ospitare insieme due sfere così diverse e perfino conflittuali come quelle della ricerca e della progettazione (che, per inciso, non ho mai creduto possano essere messe tra loro in una relazione di causa-effetto) rappresenti una risorsa straordinaria anche per la progettazione architettonica. La alimenti di continuo di idee, spunti, critiche. Ne accresca l'efficacia e l'utilità sociale. Insomma: a costo di aspicare una condizione di (fertile) schizofrenia, questa è la mia idea del ruolo sociale dell'architetto oggi. Un intellettuale dello spazio locale, che sa scrutare, immaginare e modificare le condizioni fisiche della vita urbana.
E' per questo che Domus oggi si occupa di indagini sociali, di relazioni tra politica e architettura, di cronaca, di arte visiva, di fotografia, ecc. pur sempre continuando a osservare lo spazio locale. Perchè è l'unico modo di parlare del contesto, delle condizioni e delle prospettive del mestiere dell'architetto oggi.
Perchè Domus insegue una precisa idea del futuro possibile della nostra professione. Insomma: non credo proprio si possa dire che Domus non fa architettura. Per favore...
E poi: cosa vuol dire fare architettura oggi? Pubblicare progetti, progetti, progetti? Ma non scherziamo. Io, noi, inseguiamo un'idea ben più ambiziosa, nobile e forte del ruolo dell'architettura. Discutibile, ma chiara ed esplicita. Un'idea inclusiva dell'architettura che è stata prerogativa anche di altri periodi di storia di questa rivista. I migliori.
E ancora: non capisco come tu non capisca quale è la nostra posizione sull'architettura italiana. Anche questa esplicitata chiaramente su Domus. Io, lo ripeto, non voglio in alcun modo fare della rivista (che ti ricordo vende metà delle sue copie all'estero) una specie di "riserva indiana" dove proteggiamo e promuoviamo la specie protetta e in via di estinzione degli architetti italiani. Questo lo lascio fare ad altre riviste che credono che la quantità delle pagine sia una condizione necessaria di "testimonianza".
In questi 2 anni abbiamo pubblicato molti architetti italiani, di diverse generazioni (per inciso: cosa dire di questa insulsa, autodistruttiva, meschina paranoia generazionale, tutta italiana? NON SE NE PUO' PIU' di piangersi addosso dividendosi per età! Eppure siamo circondati dappertutto da giovanissimi ottantenni e obsoleti trentenni... finiamola una volta per tutte con le autoclassificazioni generazionali in cui ognuno alza a piacere la soglia della "giovane" architettura italiana...che tristezza...). Abbiamo pubblicato Servino e 2a+p, Fuksas e Navarra, Archea e Librizzi, Godi (grazie a te) e Rota, Branzi e Baukuh e molti altri ancora..... Con quali criteri? semplice: la qualità e l'interesse nel contesto dell'architettura internazionale, che è il piano di confronto, di misura, che una rivista come Domus per forza di cose è tenuta sempre a considerare (da questo punto di vista ti invito a riflettere sugli architetti italiani che Domus NON ha pubblicato). Dunque: basta con il piedestallo "protezionista", e largo invece alla ricerca attenta delle esperienze italiane di qualità e alla loro presentazione sulle pagine di Domus, una presentazione editorialmente ALLA PARI con le architetture delle grandi star. Si tratta dello stesso atteggiamento che, se guardi bene la rivista, dedichiamo ai giovani (nel senso della notorietà) architetti internazionali. Diamo lo stesso spazio a Ma e a Zaha Hadid, ad Abalos & Herreros e Herzog & de Meuron...a Nishizawa e a Nouvel (per altro stroncato sul numero di gennaio)...
Per quel che riguarda infine l'abbraccio" con Casamonti, c'è poco da dire: dopo un lungo periodo di scontri espliciti, su temi e questioni che ancora ci vedono lontanissimi, ho semplicemente riconosciuto a Casamonti due cose: una indiscutibile qualità nella progettazione e una indiscutibile generosità nell'aprire temi e occasioni di confronto per l'architettura italiana. Una cosa, quest'ultima, che come tu sai bene -essendo anche tu un'eccezione- è molto rara nel nostro mondo, popolato di colleghi che si curano, ricurano, imbellettano, profumano l'ombelico. Del resto, pochi capiscono di come la generosità possa essere oggi una risorsa formidabile per legittimare e verificare le ambizioni individuali, purchè fondate...
Tutto qui.
Per quel che mi riguarda, che ci riguarda, abbiamo insomma ancora molto lavoro da fare....andiamo avanti parlandone insieme, come stiamo facendo, anzi ancora di più; e cercando di rendere pubblico questo nostro dialogo, se vuoi anche a partire da questa conversazione "senza rete".
Che ne dici? Con grande stima per il tuo lavoro, un abbraccio forte, Stefano
A proposito di Domus
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- 26 gennaio 2006