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Affrontare l’architettura del male

Günther Domenig con l’intervento nella Kongresshalle di Norimberga punta dritto al passato nazista della città
Testo di Rita Capezzuto
Fotografia di Gerald Zugmann


La città di Norimberga non ha saputo per anni che fare della Kongresshalle, il più grande edificio nazista sopravvissuto in Germania alla guerra, per quanto non giunto a completamento. Usato per qualche tempo dal ’49 come sede per esposizioni e fiere, sulla sorte di questa costruzione si sono fatte successivamente varie ipotesi: dall’abbattimento alla conversione in stadio, o addirittura, negli anni Ottanta, in un ridicolo shopping center. Le dimensioni (275x265 metri), lo stile architettonico ma soprattutto la sua storia la rendevano una eredità ingombrante, oggetto dell’eterno scontro tedesco tra i sostenitori della rimozione delle tracce del nazionalsocialismo e i fautori del mantenimento delle memorie fisiche di quel periodo.

Di fatto a Norimberga la questione si poneva in termini di estrema delicatezza: quella che era stata ufficialmente designata da Hitler nel ’33 come la “città dei raduni di partito”, aveva vissuto con grande pathos le impressionanti manifestazioni che nel settembre di ogni anno, tra il ’33 e il ’38, per una settimana il regime metteva in scena per la propaganda e che arrivavano ad attirare dall’esterno anche un milione di persone. La Kongresshalle faceva parte della quinta architettonica appositamente creata in un’area a sud-est della città (tradizionalmente una zona verde destinata al tempo libero) per ospitare questi eventi di massa.

L’edificio, la cui costruzione iniziò nel ’35, non venne mai completato: l’emiciclo, disegnato a immagine del Colosseo, con due bassi parallelepipedi sulle testate, non vide mai quella copertura (tecnicamente troppo impegnativa per i tempi) che avrebbe trasformato l’enorme corte in un’aula capace di ospitare fino a 50.000 spettatori. Il progetto era di Ludwig Ruff e fu portato a realizzazione dal figlio Franz. Era una costruzione monumentale e costosa per i problemi statici dati dal terreno acquitrinoso e per il rivestimento in lastre di granito, la cui prima sgrossatura veniva fatta dai reclusi nei campi di concentramento. I lavori di cantiere si protrassero comunque fino al 1942.

Nella sua condizione di semi-finito, con gli interni allo stato grezzo e la corte scoperta con mattoni a vista, il Colosseo di Norimberga ha superato guerra e dibattiti postbellici ed è stato posto nel 1973 sotto tutela monumentale. Alcune piccole sezioni sono state affittate come deposito o come sale di prova per l’orchestra sinfonica della città: ma sono tutte funzioni che non si rivelano all’esterno, per cui ancora oggi l’edificio si presenta come un volume muto e leggermente sinistro. Il contesto non l’aiuta, soprattutto se visto nella luce invernale: nessun passante, prati popolati solo da gigantesche cornacchie, una strada vicina a forte scorrimento. Solo l’acqua del Dutzendteich, in cui la Kongresshalle si specchia, ammorbidisce l’immagine di un lascito spettrale.

Ancor più risulta allora scioccante trovare ora la piatta facciata di granito della testata nord trapassata da un appuntito elemento in vetro e acciaio, fortemente aggettante, e sovrastata da un volume in vetro e alluminio altrettanto sporgente: una dodecafonia stridente, drammatica, voluta dal progettista Günther Domenig come segno del nuovo Centro di documentazione sulla storia del Terzo Reich. La pensilina d’ingresso così ‘tagliente’ sembra mettere sull’avviso che il materiale in visione all’interno non sarà certo rilassante; ma protegge anche la scala che, saltando il basamento, immette al primo piano, dove si trova l’atrio principale. Qui, in un colpo d’occhio, si riesce a cogliere tutta la portata concettuale, formale e strutturale del progetto: il nuovo fortemente diversificato nei materiali dal vecchio; il sistema dei collegamenti verticali tutto compattato all’inizio del percorso; la spina del lungo e stretto camminamento (130x1,80 metri), disassato rispetto all’impianto simmetrico e allungato attraverso tutto il corpo della testata nord, fino a uscire di nuovo all’aperto nella corte a ferro di cavallo; infine la soletta sagomata in cemento dell’auditorium, trattata come elemento decorativo brutalista della hall d’ingresso.

Domenig, austriaco della Carinzia, chiamato a partecipare al concorso a inviti del ’98 della città di Norimberga, spiega come questo lavoro sia essenzialmente basato sulla tensione del contrasto: “Ho adottato linee oblique contro la simmetria esistente e il suo significato ideologico. Contro la pesantezza del cemento, mattone e granito ho fatto ricorso a materiali leggeri: vetro, acciaio e alluminio. I muri storici sono stati lasciati allo stato originario, senza mai essere toccati dalla nuova realizzazione, ma ho offerto la possibilità di una panoramica generale grazie al percorso rettilineo trasversale”. Tutti i locali espositivi sono stati ricavati negli ambienti preesistenti, mantenuti nella loro cupezza: rispetto a essi l’intervento di Domenig funziona da supporto ma anche da cesura. La freccia che trafigge il manufatto di un regime criminale è il segno tormentato dell’architetto, conosciuto soprattutto per il suo Steinhaus nella Carinzia, scultoreo work in progress dal 1986.

Agli spazi per gli incontri di studio è stato riservato un trattamento più disteso: completamente nuovi, sono luminosi e panoramici, quasi consolatori, accolti nel blocco aggettante sopra l’ingresso del Centro. La riflessione sui crimini del passato non comporta necessariamente una condizione di oppressione fisica. La localizzazione del centro studi è strategicamente perfetta: da lì si domina l’intera area per la quale Albert Speer predispose nel ’34 un piano generale, esteso su una superficie di 11 chilometri quadrati, per lo svolgimento dei raduni annuali del partito. La propaganda necessitava di grandi dimensioni e di architetture ispirate alla classicità.

Una Grande Strada, lunga 2 chilometri, larga 60 metri, faceva da asse portante dell’intero complesso, in simbolico collegamento con la Norimberga medievale: era lastricata in granito, ruvido “perché gli stivali dei soldati vi trovassero sufficiente attrito nell’esecuzione del passo di parata” (A. Speer, Memorie del Terzo Reich). La Strada esiste ancora, parcheggio per i visitatori della zona fieristica. Sfociava nel Campo di Marte (un chilometro per 700 metri) per le esibizioni militari: questo doveva essere circondato da tribune con 160.000 posti; una statua di donna doveva sovrastare la tribuna d’onore e superare di 14 metri in altezza la Statua della Libertà. Non fu mai terminato. Non distante dallo stadio esistente doveva poi sorgere lo Stadio Tedesco, per 400.000 spettatori, progetto ciclopico e grande orgoglio di Speer, ma che conobbe solo la posa della prima pietra nel 1937. Il suo invaso riempito d’acqua ha dato vita all’attuale lago Silbersee.

Il parco Luitpoldhain venne trasformato nella Luitpoldarena, dove 150.000 militari potevano marciare davanti a 50.000 spettatori. Oggi è tornato a essere un parco. Infine c’era, e ancora esiste con qualche mutilazione, la Tribuna dello Zeppelin con l’antistante Campo, dove nel 1909 il conte Zeppelin atterrò con uno dei suoi dirigibili: la tribuna era opera di Speer, nel campo sfilavano 100.000 uomini sotto gli occhi di 60.000 spettatori. Lì l’architetto di regime inscenò nel ’37 uno spettacolo notturno di grande effetto, con 130 riflettori della contraerea che gettavano fasci luminosi a creare un “duomo di luce”. Inutile dire quanta fascinazione dovessero suscitare tra la popolazione tutti questi quadri viventi grandiosi, con rapporti di scala inauditi. Leni Riefenstahl, autrice del famoso Trionfo della volontà girato nel ’34 durante queste manifestazioni, era senza dubbio una regista di talento: ma aveva anche a disposizione scenografie e coreografie eccezionali.

Oggi la Tribuna dello Zeppelin, il cui accesso è libero, offre uno spettacolo deprimente: la strada sottostante, parte di un circuito urbano per corse automobilistiche, è normalmente ridotta a sacca residuale. Il Campo, servendo per eventi sportivi o musicali saltuari, sembra abbandonato; più avanti sorgono due brutte strutture, il Frankenstadion e il palazzetto del ghiaccio, che girano sdegnosamente le spalle alle preesistenze e non dimostrano nessuna intelligenza del luogo. Norimberga, distrutta all’80 per cento dai bombardamenti, ha rivelato una grande sensibilità nella ricostruzione del suo centro storico, con la ripresa del reticolo medievale e il riuso delle pietre originali recuperate. Tuttavia nell’ex area della propaganda nazista manca ancora un chiaro disegno complessivo, in grado di ricucire brandelli sparsi di territorio e, soprattutto, di riproporre sotto una luce critica brandelli pesanti di storia.
L’acciaio e il vetro usati da Domenig esprimono uno  straziante commento al passato
L’acciaio e il vetro usati da Domenig esprimono uno straziante commento al passato
Anche se incompiuta, la Kongresshalle di Norimberga (per la quale era stato preso a modello il Colosseo) è ancora imponente. Il progetto originale prevedeva di completarla con una copertura per ottenere 50.000 posti a sedere
Anche se incompiuta, la Kongresshalle di Norimberga (per la quale era stato preso a modello il Colosseo) è ancora imponente. Il progetto originale prevedeva di completarla con una copertura per ottenere 50.000 posti a sedere
Gli spazi riservati agli incontri di studio sono ospitati in un nuovo corpo di fabbrica, sulle coperture dell’edificio storico. Da lì dominano tutta l’ex area dei grandi raduni nazisti
Gli spazi riservati agli incontri di studio sono ospitati in un nuovo corpo di fabbrica, sulle coperture dell’edificio storico. Da lì dominano tutta l’ex area dei grandi raduni nazisti
Situato nel verde della periferia di Norimberga e collegato alla città da un viale lungo 2 chilometri, il complesso pianificato dai nazisti era indubbiamente possente
Situato nel verde della periferia di Norimberga e collegato alla città da un viale lungo 2 chilometri, il complesso pianificato dai nazisti era indubbiamente possente
L’intervento di Domenig si può paragonare a un’azione di guerriglia, più che a un attacco frontale da cui l’architetto non sarebbe potuto uscire vittorioso
L’intervento di Domenig si può paragonare a un’azione di guerriglia, più che a un attacco frontale da cui l’architetto non sarebbe potuto uscire vittorioso
Nelle sale espositive gli stessi muri lasciati allo stato originale diventano parte della documentazione
Nelle sale espositive gli stessi muri lasciati allo stato originale diventano parte della documentazione
Strutture 
e materiali si differenziano rigorosamente dal preesistente.  Nella foto, il sistema dei collegamenti verticali nell’atrio d’ingresso
Strutture e materiali si differenziano rigorosamente dal preesistente. Nella foto, il sistema dei collegamenti verticali nell’atrio d’ingresso

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