I think that the thing that is so interesting about
the evolution of survelliance, is that is’s impersonal
and it continues all the time, expecially now with
CCTV for instance. And because it is so impersonal
and because it is so formless those people
(artists n.d.r.)who are interested in this
phenomenon and want to see it, need to form it in
someway sono le parole con le quali Sandra
Philips intoduce la mostra in Tate Modern
Exposed: Voyeurism, Surveillance and the
Camera.
Il curatore, spiega come nonostante una certà
affinità tra sorveglianza e voyeurismo, quest’ultimo
sia più rumoroso ed invasivo, in quanto minore è la
distanza tra chi guarda e chi è guardato.
Al contrario la sorveglianza, che richiede l’uso di
una tecnologia sempre più sofisticata, aumenta a
dismisura nel tempo e nello spazio questa distanza:
Even in the political pictures of surveillance -
continua Philips - there seems to be a need on part
of artist to personalize this very abstract
phenomenon.
Artisti come, ad esempio, Sophie Calle iniziano ad
esplorare quest’anonimato e invitano a riflettere su
un tema ricorrente negli scrittori o filosofi come
Platone, Macchiavelli, Bodin, Kant, Orwell o Bobbio:
quello degli arcana imperii.
Misurando la distanza tra controllotato e controllore
la mostra esplora la relazione tra quest’ultima e la
forma di potere che esercita questo controllo.
Non occorre citare un noto giurista e filosofo
politico come Carl Schmitt, nazista prima e
democratico poi, per affermare come il
principio
di
rappresentanza sul quale si fondano le
democrazie
occidentali sia una forma di rappresentazione del
potere, per dedurre una relazione tra l’anonimato,
espresso nella distanza tra chi osserva e chi è
osservato e quella forma di potere
visibileche chiamiamo democrazia.
Quest’ultima suo malgrado, e contro il parere di
Kant, deve giustificare l’anonimato e la segretezza
dei suoi apparati, e quindi - come scrive Giorgio
Galli - il rischio di un potere occulto che
soverchi quello visibile spinto da esigenze di
sicurezza dello stato nei confronti di altri stati o di
quanti non ne rispettano le leggi,
siano essi singloli individui o grandi organizzazioni
criminali.
Anche senza andare così lontano, se pensiamo a
quanto siamo osservati ad esempio da chi continua
ad adeguare i prodotti ai nostri sogni, manipolando
il nostro stesso immaginario, al puro scopo di
venderceli, possiamo renderci conto di quanto
influisca sul nostro quotidiano il tema affrontato
dalla mostra.
Concretizzare questo anonimato, accendendo i
riflettori su chi ci osserva, come ha fatto
Philips, significa affrontare un tema centrale della
società
contemporanea e quindi iniziare a
dubitare se siamo proprio noi ad infilarci la spesa
nel carrello del supermercato, a scegliere quale
macchina comprare o come vestirci.
Se poi la politica attingesse dai modelli della
produzione e del consumo e venisse
conseguentemte percepita come una delle tante
merci sul mercato, scoprire di
essere guardati costantemente,
come
dei topolini in un grande laboratorio, potrebbe
renderci un po’ meno sicuri delle
nostre stesse opinioni, anche quelle che
esprimiamo
nel segreto dell'urna, perché
viremmo in un mondo di politica spetttacolo, con il
suo apparato di comici eversivi e non, anni zero e
soubrettes. E il 2010
assomiglierebbe almeno un poco al quel 1984
raccontato da George Orwell.
Tate Modern Exposed: Voyeurism, Surveillance and the Camera
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- Pierfrancesco Cravel
- 01 October 2010