Il lascito di Jimmie Durham: fare arte significa aprirsi al dubbio

Nel ricevere il Leone d’Oro alla Carriera, Jimmie Durham cantava un inno composto in tante lingue diverse: felice e struggente, paradossale e poetico, proprio come è sempre stato il suo lavoro. Ricordiamo l’artista americano scomparso all’età di 81 anni con un articolo pubblicato in occasione della Biennale Arte 2019.

Jimmie Durham, Arsenale

Questo articolo è stato pubblicato in origine durante la Biennale d’Arte di Venezia 2019 in occasione del conferimento a Jimmie Durham del Leone d’oro alla carriera.

Qualunque cosa faccia, Jimmie Durham resta un poeta. Sin dagli inizi, negli anni Sessanta, il suo lavoro è consistito nel mettere in discussione il sistema di convenzioni all’interno del quale viviamo; convenzioni che riguardano le idee, i comportamenti, la storia e le sue interpretazioni; e anche l’arte e la sua fruizione. Fare arte, per lui, significa aprirsi al dubbio, evidenziare le sfaccettature della realtà, lasciare emergere una molteplicità di visioni possibili; mettere in scacco l’univocità della visione e, per estensione, l’arroganza di ogni forma di potere.

Durham ha percorso questa strada con acume e con rigore, con spirito graffiante, con inflessibile coerenza; e – come ha evidenziato il curatore della 58. Biennale Ralph Rugoff nel motivare il conferimento del Leone d’Oro alla Carriera – con profonda umanità. Lo ha fatto, negli anni Settanta, da attivista, come Leader dell’American Indian Movement e suo rappresentante presso le Nazioni Unite. Poi da intellettuale e scrittore, oltre che da artista visivo. Né ha mai trascurato la qualità dell’esperienza quotidiana, le relazioni umane che sa intrecciare, per non parlare di quella, assoluta, con l’artista Maria Theresa Alves, compagna di una vita.

Jimmie Durham
Jimmie Durham, vincitore del Leone d’Oro alla Carriera. Courtesy La Biennale di Venezia

Le opere di Durham consistono, in molti casi, in arrangiamenti o innesti di materiali naturali o industriali modesti, quando non di risulta, gli uni sugli altri; materiali che parevano aver raggiunto il limite dell’esistenza; ma che, a ben guardare, dicono molto di chi siamo. L’artista li sottopone a un processo combinatorio; talvolta li colpisce distruggendone la forma originaria. Ma non si tratta di aggressioni; piuttosto di azioni generative; l’oggetto, così trasformato, rinasce a una nuova forma. Come nel caso di St Frigo con cui si presentò alla Biennale di Venezia nel 1996. Così le sue opere equivalgono a un commento sulla natura delle cose della vita, e sul loro senso; raccontano come tutto sia temporaneo e in continuo mutamento; e veicolano una denuncia rispetto al nostro rapporto con gli oggetti: disattento e consumistico.

Centrale è anche l’attenzione che l’artista dedica al tema dell’architettura.
Se ogni sua opera nasce dall’idea di decostruire le sovrastrutture che ci circondano, e con esse i concetti cardine della civiltà del consumo, l’architettura, nella sua visione, rappresenta l’assertività, la monumentalità, quel senso di stabilità che rischia di rendere l’individuo certo e perentorio, sottraendolo al dubbio, imbrigliandone sensibilità e attitudine critica.

Per questo, con azioni all’apparenza paradossali, ma in realtà conseguenti e graffianti, Durham, di volta in volta, scardina la forma fisica di un edificio ed evidenzia l’idea di un abitare che viene prima e va al di là delle pareti; o porta all’esterno ciò che normalmente sta sotto il rivestimento, rendendo visibili i materiali - il rimosso - che lo compongono. Per estensione, affronta la questione del costrutto sociale, di ciò a cui si dà spazio o ciò che si cela; di ciò che si dice o si omette.

Jimmie Durham, Padiglione Centrale
Jimmie Durham, “Black Serpentine”, 2019. Serpentinite, acciaio, inchiostro su carta, vetro. 58. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, “May You Live In Interesting Times”. Foto Francesco Galli. Courtesy La Biennale di Venezia

Tutto il suo lavoro mira a recuperare la consapevolezza delle reali necessità dell’uomo e a riequilibrare il rapporto con la natura e con le altre forme di vita; anche le più fragili, anche le più lontane dall’umano. Di qui la sua attenzione per le pietre, con il loro portato di tempo e di memoria; e per gli animali. “Siamo insieme nel mondo”, dice Durham. E infatti di pietra è l’opera esposta nel Padiglione Centrale di questa Biennale: una potente lastra di serpentinite nera, le cui venature bianche sembrano voler raccontare una lunga storia.

“Le città – dice Durham - sono ricche di pietre quanto per esempio le colline e gli altipiani, ma solitamente le pietre sono ordinate a formare edifici, strade, marciapiedi monumenti. Anche loro, come noi, devono lavorare.” E animali sono le sculture simili a totem esposte all’Arsenale: una decina dei più grandi mammiferi europei, realizzati in forma di assemblage con gli oggetti più disparati.

“Volevo raccogliere i teschi dei più grandi animali d’Europa e riportarli nel nostro mondo con un metodo che non posso spiegare, proprio come è impossibile spiegare la musica o la poesia. I teschi ai quali ho lavorato hanno tutti corpi più scultorei che rappresentativi. Ho la sensazione che utilizzando le ossa vere, la rappresentazione dell’animale in vita sarebbe cosa troppo irrispettosa per poter essere tollerata”.

Jimmie Durham
Jimmie Durham, vincitore del Leone d’Oro alla Carriera. Courtesy La Biennale di Venezia

Se oggi l’indifferenza, la retorica, la tendenza alla semplificazione dominano in ogni campo e l’umanità sembra in preda a una regressione narcisistica e prometeica, Durham affronta la complessità delle cose con un coraggio che non è né glorioso né epico, ma che nasce dalla singolarità, dall’autonomia di pensiero e di sentire. Un sentire che non può mai essere fino in fondo parafrasato.

Le sue opere ibride e ironiche, ma sferzanti, irriducibili a format e categorie, ma inconfondibili in termini di linguaggio, sono atti di resistenza basati su un’attenzione dello sguardo e sulla capacità di cogliere il fluire della vita, il suo mistero, le interconnessioni tra un regno e l’altro. E rispondono all’intento di restituire, rispetto a cose che sembrano troppo al di sotto di ogni valore per essere considerate, la possibilità di presentarsi nella propria essenza, con dignità. In occasione della premiazione Jimmie Durham ha cantato un inno composto in tante lingue diverse El sol del mattino; felice e struggente, paradossale e poetico com’è sempre il suo lavoro; perché senza poesia non si può vivere.

Immagine di apertura: Jimmie Durham, vincitore del Leone d’Oro alla carriera. Courtesy La Biennale di Venezia

Immagine di anteprima: ritratto di Jimmie Durham del fotografo Lukas Wassmann nel laboratorio di Labinac a Berlino, apparso nell'articolo "Oggetti diversi. L'umiltate di Jimmie Durham e delle sue creature" pubblicato su Domus 1030, dicembre 2018.

Artista:
Jimmie Durham
Evento:
58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia
Dove:
Padiglione Centrale/Arsenale, Venezia
Quando:
11 maggio - 24 novembre 2019

Preview image: portrait of Jimmie Durham by photographer Lukas Wassmann in Labinac's workshop in Berlin, featured in the article "Diverse Objects. The humility of Jimmie Durham and his creatures" published in Domus 1030, December 2018.

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