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Stabilire un canale di dialogo tra l’astrazione dell’architettura contemporanea e la narrazione urbana che la accoglie

Esiste una linea ‘calvinista’ nell’architettura moderna di derivazione neorazionalista fatta di codici asciutti e precisione costruttiva, che ha trovato da due decenni facile attecchimento in contesti geografici disparati del mondo, in particolare in climi freddi.

Una linea rintracciabile anche nello studio fondato nel 2007 a Winnipeg
dalla finlandese Johanna Hurme (Helsinki, 1975) e dal bosniaco Sasa Radulovic (Sarajevo, 1972), cui si aggiunge Colin Neufeld (Winnipeg, 1975). Il rigore e la semplicità concettuale che fanno riferimento all’archetipo della capanna sono, per lo studio, un mezzo per contenere entro parametri condivisi le complessità e le economie del progetto, e nello stesso tempo per stabilire un canale di dialogo tra l’astrazione dell’architettura contemporanea e la narrazione urbana che la accoglie.

Da questo approccio, in cui possono essere trovate affinità con progettisti europei della generazione precedente – Jacques Herzog e Pierre de Meuron, primi fra tutti – sfuggono però non pochi esperimenti progettuali dello studio canadese, che rinviano a desideri organicisti e sorprese eccentriche, fino a richiamare suggestioni dal sapore neovanguardista. Così, se i riflettenti balconi a sbalzo in alluminio lucidato del complesso sulla Avenue on Portage (Winnipeg, 2012) sembrano una felice reinterpretazione in chiave miniata degli sbalzi inaugurati da MVRDV in Olanda con gli appartamenti WoZoCo, il ‘ragno’ dalle lunghe zampe in cemento prefabbricato costruito ai margini del Red River (il complesso 62M a Winnipeg, 2017) riesce a tradurre in ambito residenziale linguaggi vicini al readymade, in genere appartenenti solo a rare architetture pubbliche.

Analogamente, la James Avenue Pumphouse di Winnipeg, in costruzione, viene trattata come un grande objet trouvé, affrontando con un innesto volutamente semplice e modulare gli eroici macchinari idraulici del 1907. Quando poi un’attitudine simile all’arte povera si osserva in un lavoro del 2017 come One Bucket at a Time a Città del Messico – un’onda di secchi bianchi di plastica usati come i pixel di un’installazione urbana – viene il sospetto che anche in quelle altre figure ‘calviniste’ batta il cuore di un’architettura calda.

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