Latin America in Construction

La mostra curata da Barry Bergdoll, al MoMa di New York, esplora il ricco scenario architettonico dell’America Latina i cui progetti e idee innovative, in continua sfida con la crescente modernizzazione della società, hanno catturato l’attenzione mondiale nell’arco di un quarto di secolo.

Latin America in Construction, Tomás José Sanabria. Hotel Humboldt, Caracas, Venezuela, 1956
“Latin America in Construction: Architecture 1955-1980”, attraverso una formidabile quantità di disegni architettonici, plastici, foto, filmati, molti dei quali finora poco conosciuti, altri invece commissionati in occasione della mostra, porta alla luce lo scrupoloso lavoro di ricerca condotto dal gruppo dei curatori, durato quattro anni.

È stato un lungo processo di costruzione e assemblaggio di più di 500 lavori che ha coinvolto oltre a Barry Bergdoll, Patricio del Real curatore del dipartimento di Architettura del MoMA, Carlos Eduardo Comas dell’Università Federale di Rio Grande do Sul in Brasile, Jorge Francisco Liernur dell’Università Torquato di Tella di Buenos Aires e un comitato consultivo di specialisti provenienti da ognuno dei dieci paesi rappresentati nella mostra: Argentina, Brasile, Caraibi, Cile, Colombia, Cuba, Messico, Perù, Uruguay e Venezuela.

Il materiale proveniente dai diversi e numerosi archivi è il fulcro principale della mostra che vuole essere essa stessa il luogo e il punto di partenza per la costruzione di un laboratorio ininterrotto di ricerca sul tema dell’architettura moderna latino-americana.

Tomás José Sanabria. Hotel Humboldt, Caracas, Venezuela, 1956
In apertura: Tomás José Sanabria. Hotel Humboldt, Caracas, Venezuela, 1956. Qui sopra: Amancio Williams. Hospital in Corrientes, Corrientes, Argentina, 1948-1953. Drawing. Unframed: 259/16 x 37 5/8” (65 x 95.5cm). © Amancio Williams Archive.
Barry Bergdoll sottolinea che durante quegli anni i paesi dell’America Latina hanno prodotto dei sorprendenti lavori che non hanno mai avuto una piena considerazione nella storia dell’architettura moderna, “Latin America in Construction” è quindi un punto fermo per il riconoscimento del ruolo di quegli architetti.

La mostra immerge gradualmente il visitatore in uno dei periodi più intensi della storia del continente, quello compreso tra gli anni 1955 e 1980, quando molteplici cambiamenti politici ed economici ne modificarono radicalmente lo scenario.

Ancor prima infatti di visitare le gallerie più tecniche che accolgono in modo corale le diverse voci e personalità dei progettisti che hanno trasformato il continente sudamericano, un ‘preludio’ di filmati evoca i momenti storici più significativi, pensato da Bergdoll per informare ma anche per sedurre lo spettatore. I filmati rappresentano periodicamente tutti la stessa immagine, suggerendo i momenti storici condivisi dalle diverse città: Buenos Aires, Montevideo, San Paolo, Rio de Janeiro, Caracas, Havana e Città del Messico.

Emilio Duhart. The United Nations Economic Commission for Latin America and the Caribbean (CEPAL), Santiago, Chile, 1962-1966
Emilio Duhart. The United Nations Economic Commission for Latin America and the Caribbean (CEPAL), Santiago, Chile, 1962-1966, dettaglio. Courtesy PUC Archivo de Originales
Nella galleria successiva più schermi mettono a confronto le fasi di costruzione di due grandi campus: quelli dell’università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM), dove Pani ed Enrique del Moral fecero i primi disegni nel 1947, e dell’Università Centrale del Venezuela (UCV) a Caracas, dove Carlos Raúl Villanueva dedicò lunghi anni del suo lavoro al progetto. A seguire si trova esposto l’archivio dei disegni di Lúcio Costa che rappresentano l’emblematico masterplan della città di Brasilia, affiancato dagli altri progetti di concorso per la nuova capitale del Brasile.
Dalla galleria centrale della mostra, che si apre con il plastico del Museo d’Arte di São Paulo progettato da Lina Bo Bardi, lo spazio si estende verso ambienti diversi definiti da muri lasciati volutamente incompleti nella parte più alta e caratterizzati da una struttura metallica, quasi a voler rimarcare il significato metaforico del titolo “in construction”. In questo spazio dominano maestosi i disegni e i plastici dei progetti che variano dalla scala territoriale alla singola abitazione; tra questi il Parque do Flamengo a Rio De Janeiro di Roberto Burle Marx e Alfonso Eduardo Reidy, l’edificio della Banca di Londra a Buenos Aires di Clorindo Testa, il Mercado de la Merced a Città del Messico di Enrique del Moral.
Cuba Pavillion, Montreal, Canada, Vittorio Garatti, 1968. © Archivo Vittorio Garatti
Cuba Pavillion, Montreal, Canada, Vittorio Garatti, 1968. © Archivo Vittorio Garatti

Si aggiungono infatti progetti di pianificazione urbana, di abitazioni sia collettive che individuali, campus e università, edifici e spazi pubblici, infrastrutture sportive, edifici religiosi, edifici per la cultura, strutture ricettive turistiche. È il racconto della storia di un continente attraverso l’ambizioso lavoro degli architetti locali, chiamati a rispondere delle necessità dettate dai cambiamenti politico-sociali. I momenti più significativi di questo racconto sono ricostruiti e documentati in un lungo e variegato percorso temporale che attraversa la sala.

Nella sezione “Export” della mostra l’architettura latino-americana si confronta con il contesto internazionale con diversi progetti che hanno varcato l’oceano, quali il Padiglione Venezuelano di Carlos Raúl Villanueva per l’Expo del 1967 a Montreal e il padiglione messicano realizzato per la Triennale di Milano nel 1968.

Esguerra Sáenz y Samper. Luis Ángel Arango Library (Biblioteca Luis Ángel Arango), Bogotá, Colombia. Cover plan of concert hall. 1965
Esguerra Sáenz y Samper. Luis Ángel Arango Library (Biblioteca Luis Ángel Arango), Bogotá, Colombia. Cover plan of concert hall. 1965. Drawing, ink on tracing paper. Unframed: 39 ½ x 32 ¾” (100.3 x 83.2cm). © Archivo de Bogotá Cuba

I curatori hanno scelto di non includere nella mostra il lavoro degli architetti europei e americani che hanno operato dall’esterno nel continente. L’attenzione è così rivolta alle tante personalità provenienti dai diversi paesi sudamericani, che pur attingendo al vocabolario internazionale dell’architettura moderna, mantengono sempre un legame con la tradizione locale, creando una particolare tensione nelle opere, elaborate nella interazione tra linguaggio globale e linguaggio locale. Il risultato è un ricco e originale scambio di idee, influenze e collaborazioni, come nel noto caso delle acoustic clouds di Alexander Calder nel soffitto dell’aula magna dell’Università Centrale del Venezuela.

In conclusione, la scelta curatoriale dei materiali e la loro organizzazione fanno del percorso della mostra un’esperienza punteggiata di sorprese.

© riproduzione riservata

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