È tempo di fare un libro

La prima monografia sul lavoro ricco e poliedrico di Patricia Urquiola coglie l’attimo per una profonda riflessione sul suo lavoro, ma lascia aperti al futuro molti spunti e interpretazioni.

Silvia Robertazzi e Alessandro Valenti (a cura di), Patricia Urquiola. Time to Make a Book, Rizzoli New York, 2013, 368 pages.
La prima monografia sul lavoro ricco e poliedrico di Patricia Urquiola mostra, già nel titolo, una dichiarazione d’intenti: cogliere l’attimo, il momento e il tempo necessario per una profonda riflessione sul proprio lavoro; per fissare nero su bianco le pietre miliari di un percorso articolato. E, soprattutto, per lasciare aperte al futuro molte porte, molti spunti e molte interpretazioni. Fare un libro, appunto: dove nel termine “fare”, così affine (e così presente) al suo lavoro di designer, s’intravede la diretta prosecuzione dalla mente alle mani, dall’idea alla cosa. Quel “pensare con le mani” che sintetizza così efficacemente il modo di lavorare della designer spagnola.
Patricia Urquiola

Per Urquiola è il tempo di fare un libro “proprio nel momento giusto – nella cesura storica che la rivoluzione digitale imporrà anche al design” come coglie acutamente Gianluigi Ricuperati nell’interessante saggio che chiude il volume.

Ma, allo stesso tempo, non è stato semplice definire nella forma chiusa di un libro il lavoro complesso, proiettivo e a più livelli di Urquiola, poco incline a etichette e categorie: “Preferisco che tutto sia sempre in divenire, non finito. Preferisco la narrazione aperta”. Come un’antenna sempre in allerta, Urquiola precorre spesso i tempi e con intuito avanguardistico e rigore professionale, osa prendere direzioni che anticiperanno tendenze a venire. Il suo modo di lavorare è un processo sperimentale e di ricerca, a volte tortuoso, a volte rapidissimo. 

Copertina del libro

Per questo, il libro si snoda attraverso capitoli – anzi, narrazioni concettuali – che contengono per affinità e analogia non solo famiglie di oggetti, ma anche idee, relazioni, mappe. Frammenti di vita privata, viaggi, citazioni. Perché solo attraverso questa complessità indivisibile emerge il suo lavoro: esuberante e consistente per quantità, densità e profondità.

A Urquiola non interessava dunque presentare un catalogo cronologico, né tantomeno una celebrazione agiografica di un lavoro che gode già di ampia fortuna critica, ma realizzare un libro che fosse lente d’ingrandimento su temi che vanno ben oltre gli oggetti e le cose: un libro che germinasse, viralmente, nuove idee.

Tropicalia cocoon, sedia sospesa, Moroso 2008
La monografia ha il pregio di riuscire a trasmettere questa complessità attraverso le molte sfaccettature del lavoro di Urquiola. I testi incisivi di Silvia Robertazzi e Alessandro Valenti ripercorrono i lavori dal 1995 al 2012 attraverso grandi narrazioni: la circolarità della memoria, reintepretata nel design contemporaneo; il ritorno del fatto a mano, a metà strada tra bottega e azienda; l’aspetto ludico del lavoro, in equilibrio tra improvvisazione e rigore; il salto di scala, dal macro-design alla micro-architettura; la pelle delle cose come tema non solo di superficie; la capacità di contaminazione e poi di sintesi; ma anche la vocazione multitasking e la versatilità; il sapersi fermare e il prendere le distanze.
W Retreat & Spa, hotel, Starwood Group W, Vieques Island, 2010: collage murale progettato dallo studio Urquiola

In un ritmo “andante con brio”, intessuto d’infiniti fili rossi, si dipana un inedito racconto iconografico che non mostra soltanto l’Olimpo dei prodotti finiti, ma scava “dietro le quinte”, restituendo attraverso foto di lavoro non patinate l’unicità del processo, delle fasi di lavorazione, dei molti ripensamenti e aggiustamenti che questo lavoro comporta. Patricia “piega, torce, modella, attorciglia, taglia, intreccia” la materia, la manipola con abilità fino a che non le corrisponde, inventando forme che derivano dalla materia stessa.

Chiude il volume, un saggio e una conversazione visionari di Gianluigi Ricuperati che parlano dell’“irrequietezza gioiosa” di Patricia Urquiola, tracciando inediti punti di vista, tra letture scelte, viaggi e ritorni a casa. “Patricia Urquiola ha due occhi diversi: il primo fissa un passato solido, chiaro, ben noto; il secondo vede un futuro elettrico e confuso, molto eccitante, tutto da ripensare”.

Il progetto Chasen è ispirato alle fruste usate nella cerimonia del tè giapponese

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