
La tesi di fondo è che la riscoperta degli schemi decorativi tradizionali e dei modi della loro stratificazione è “una soluzione per soddisfare le esigenze di una società in profondo cambiamento ed è in grado di svelare nuovi orizzonti in termini di sostenibilità”, affermano gli autori. In Giappone il cambiamento avviene per inclusione e per continuità tra passato e futuro.
Per questo il Giappone possiede gli strumenti necessari per dar forma all’incertezza del futuro. Le ricorrenti catastrofi naturali come quelle da cui il Giappone è stato colpito – il terremoto dell’11 marzo 2011 è la più recente – spesso sono la prova della debolezza dell’architettura contemporanea di fronte alla forza degli elementi naturali. Liotta e Belfiore ci dicono che la stratificazione e gli schemi spaziali sono strumenti straordinari per creare edifici in grado di coesistere armonicamente con la natura, con le persone e con la cultura. Ci dicono (spronandoci) che è tempo che il mondo dell’architettura faccia un passo avanti.

Il percorso del libro, ben strutturato, si articola in tre atti: il primo presenta l’opera di Salvator-John A. Liotta, in cui i motivi tradizionali giapponesi si propongono come elementi strutturali organicamente architettonici, formati dal progetto creativo. Date le loro particolari e ricche qualità di malleabilità, adattabilità e ripetibilità, questi schemi vengono considerati in grado di sviluppare prestazioni strutturali, estetiche ed energetiche.
Liotta compie il primo tentativo di collegare gli schemi tramite tecniche di stratificazione, esemplificate nei vari casi di studio e nelle relative analisi, usando l’architettura come un dispositivo intelligente per collegare con raffinatezza natura, cultura e società. I vari aspetti della cultura spaziale giapponese sono interpretati in modo digitale contemporaneo tramite un processo progettuale che riguarda in specifico la tradizione, solo per creare soluzioni architettoniche aderenti alla domanda pressante di una maggior consapevolezza della natura: “una nuova formulazione dell’intangibile”.

Il saggio critico di Matteo Belfiore apre il secondo atto. Qui la stratificazione spaziale viene analizzata come strumento fecondo della creazione di spazi intermedi e illustrata nella sua importanza nei riguardi della produzione contemporanea dello spazio e della ricerca architettonica. Una tecnica ben nota, già adottata da Frank Lloyd Wright e Mies van der Rohe.
Belfiore intraprende un viaggio nel tempo, sulla base dei principali concetti spaziali giapponesi – come l’oku (la profondità) e il ma (lo spazio-tempo) – e su alcuni dispositivi spaziali che introducono livelli differenti di prestazioni funzionali, come la trasparenza e la permeabilità – tra cui lo shoji (la porta scorrevole di carta) e il sudare (la tenda arrotolabile di bambù), che danno forma all’architettura tradizionale. Prosegue poi illustrando come le tecnologie attuali siano potenzialmente in grado di trarre insegnamenti dalla tradizione allo scopo di proporre forme nuove, metabolizzando i concetti spaziali tradizionali.
La narrazione culmina in un’interessante catarsi di progetti, ricerche e concorsi svoltisi presso i laboratori di Kuma e di Obuchi: l’ultimo atto, diviso in due parti inestricabilmente collegate tra loro. La prima parte presenta il corpus delle ricerche, che si articola dai singoli contributi dei dottorandi del laboratorio di Kuma su schemi e strati (dal concetto di ‘bizzarria’ degli schemi giapponesi, qualità rafforzativa dell’identità giapponese, sottolineata da Rafael Balboa e da Ilze Paklone), fino alla concisa analisi delle componenti storiche e sociali degli schemi realizzata da Link Zhang.
Si passa dall’illustrazione dell’introduzione degli schemi cinesi in Giappone di Yao Chen a un saggio sugli schemi nell’architettura vernacolare di Catarina Vitorino. Si attraversa l’analisi della distanza (fisica e psicologica) nel museo degli ukiyo-e di Bato Hiroshigue di Kuma, di cui è autore Bojan Konkarevic, e si prosegue verso la ricerca di Federico Scaroni sullo spazio intermedio proposto dall’ukiyo-e. Più oltre Robert Baum tratta i concetti fondamentali di luce e ombra e l’ambigua permeabilità dei limiti orientale.

