Io Italo Rota confesso di conoscerlo poco, o meglio conosco i suoi progetti, ma non l’ho mai seguito più di tanto. Beh ora che mi sono immerso nel suo immaginario penso che dovrò ricredermi e colmare le mie lacune. I libri se ben fatti servono proprio a questo.
Cominciando a leggere il saggio introduttivo mi sono accorto subito che facevo bene a non seguire troppo la sua architettura perché in effetti appare subito chiaro che l’architettura nel suo significato più consueto non interessa a Rota.
Dai suoi scritti emergono invece idee che configurano nuovi fulcri di riflessione per il progetto, non principi da seguire, ma riferimenti influenti come attrattori.
Rota prima di tutto cerca di immaginare mondi diversi in cui inserire architetture, che sempre crescono e si sviluppano dall’interno, che sempre indagano prima l’uomo e poi il sistema di relazioni che quest’uomo instaura con il mondo. Sono pochi i momenti della modernità che gli interessano, molti episodi e spazi si trovano descritti nei suoi testi, e poi subito trascritti sotto forma di disegno al tratto, che ancora non disegna lo spazio ma l'uomo che abiterà quello spazio, se mettiamo assieme tutti i personaggi del suo Atlante, ecco che abbiamo la descrizione della sua idea di architettura.
Il corpo è il punto focale di ogni sua riflessione. Il corpo come universo in miniatura.
Al corpo si alternano i collegamenti insoliti con le discipline più diverse, attraverso immagini, spesso solo descritte a parole (è qui che la scrittura come pura forma di rappresentazione si fa ricerca), prese da universi scientifici molto lontani dall'architettura. Tutte i suoi sconfinamenti poi convergono in un progetto o meglio in un idea molto precisa di progetto. Un’idea che scorre veloce sulla linea di confine, tra le discipline, design, arte, architettura, comunicazione visiva, cinema.
Questo limite leggero Rota ha la capacità di evidenziarlo renderlo vivo senza mai romperlo. Perché ogni volta che lo supera è già passato al progetto successivo.
E gli architetti lo sanno, lo spazio del progetto è prima di tutto immaginazione, lo spazio si confronta con il vuoto attorno al quale si addensano oggetti e movimenti, il vuoto ospita tutto questo ed è per Rota una primitiva visione di un’estensione più o meno vuota all’esterno dell’uomo. Qui prende forma l’architettura o meglio la performance che Rota mette in scena.
Pensando alla città, Rota sembra descrivere le due città parallele che China Miéville descrive nel suo romanzo La città & la città.
Dove in ogni città esistono due città, separate e unite allo stesso tempo. Due città sovrapposte, che condividono lo stesso spazio, ognuna con le proprie strade, i propri palazzi, i propri cittadini, la propria storia, la propria identità.
Un’anomalia spazio temporale, un capriccio tecnologico, un errore nella creazione, una scissione a un certo punto della storia? Tutto questo, o forse no.
Per un abitante di una città, il più grave reato è quello di vedere un abitante dell’altra: sono due mondi vicinissimi, eppure incomunicabili, e la punizione per chi trasgredisce è certa e impietosa. Così tutti si sono abituati fin dalla nascita a non-vedere, a sfuggire ogni forma di contatto con gli altri che pure sono lì, sotto i loro occhi e a portata di mano.
Ma Rota vuole vedere non si capacità che l’essere orfani delle utopie ci ha portato a non guardare. Il guardare, il sentire il perdersi è lo strumento per costruire lo spazio della città dall’interno. Allora è il momento di entrare nell’Atlante dei disegni per disegnare l’uomo che abiterà queste città.
Un ultimo elemento fondamentale di questo libro, una vera invenzione narrativa è quella di aver creato un testo parallelo che riassume tutti i concetti espressi, all’inizio di ogni capitolo si trovano poche righe, un numero limitato di caratteri che ne riassume il tema centrale. Una doppia lettura e un modo che ti garantisce di poter sempre tornare indietro per capire meglio. Anche quando il tratto delle sue mappe sembra consumarsi.