Federico Ferrari, La seduzione populista: dalla città per tutti alla città normalizzata, Quodlibet, 2012 (pp. 240; € 23,00)
La nostalgia culturale e istituzionale per il Postmoderno (come hanno provato, tra l’altro, la mostra "Style and Subversion" del Victoria and Albert Museum nel 2011 e la mostra dedicata a Tendenza dal Centre Pompidou nel 2012) ha messo in luce un dibattito analitico condotto su basi nuove, cresciuto nell’ultimo decennio nella e sull’architettura e l’urbanistica degli anni Sessanta e Settanta: studiosi, curatori, critici e teorici hanno iniziato a fare i conti con il passato recente.
Con grande tempestività la pubblicazione di La seduzione populista: dalla città per tutti alla città normalizzata, recente opera del giovane ricercatore italiano Federico Ferrari, offre un’indagine sul termine ‘populismo’ che, insieme con il suo contrario ‘elitarismo’, costituiva una delle principali dicotomie del Postmodernismo.
Nel libro Ferrari si interessa principalmente all’architettura in quanto linguaggio piuttosto che all’atto del costruire in se e per sé. E nell’arco di poco più di duecento pagine illustra come la retorica populista sia stata usata da politici, immobiliaristi, architetti e teorici dalla metà degli anni Sessanta al principio degli anni Novanta. Il libro di Ferrari ha uno sviluppo retroattivo e si muove dal generale al particolare. Suddivisa in due parti principali (la prima che riguarda una serie di concreti casi di studio, la seconda che scava più a fondo nella storia delle idee), l’opera nasce dall’idea che ‘populismo’ sia pressoché sinonimo di ‘postmoderno’.
Nell’arco di poco più di duecento pagine, Ferrari illustra come la retorica populista sia stata usata da politici, immobiliaristi, architetti e teorici dalla metà degli anni Sessanta al principio degli anni Novanta
La seconda sezione del libro è di maggior peso e molto più teorica: mira di fatto a spiegare la genesi del populismo, a partire dal discorso architettonico e muovendosi sul terreno piè generale della storia delle idee. In questa sezione Ferrari parte dalla rivisitazione della polemica antimoderna, attraverso l’esempio paradigmatico della glorificazione dell’ordinario, all’inizio degli anni Settanta, da parte di Robert Venturi e Denise Scott Brown. Scrive Ferrari: “Le polemiche di Carlo d’Inghilterra contro il modernist establishment e le operazioni di Bussy Saint-Georges, Poundbury e Celebration non esisterebbero senza la rivoluzione culturale degli anni Sessanta, di cui il corpus teorico di Venturi e Scott Brown può essere considerato paradigma”. Segue un capitolo più generale sul populismo e le forme urbanistiche, in cui l’autore pare aver distillato l’intero insieme (e forse talvolta troppo) del suo bagaglio teorico.
