Protestare sì, ma con eleganza

Artista britannico che si definisce iconografista, Patrick Thomas è l'autore di un ironico manuale d'istruzioni per il contestatore globale contemporaneo.

Patrick Thomas, Protest Stencil Toolkit , Laurence King Publishing, London, 2011, pp. 144, £17,95 (€ 19).

Il 2011 è stato un anno di cambiamenti e di sconvolgimenti politici. Sarà ricordato come una svolta storica alla pari del 1792, del 1848, del 1968 e del 1989? È forse ancora troppo presto per dirlo, visto che l'effetto domino che l'ha generato è ancora in moto. Le ondate di disordini che si sono diffuse in tutto il mondo, si sono dimostrate profondamente radicate nel malcontento delle popolazioni locali pu affrontando grandi problemi transnazionali quali la distribuzione ineguale della ricchezza, il diritto alla casa, una disillusione politica, il drammatico divario tra unl ivello di istruzione sempre più elevato e la crescita della disoccupazione giovanile. La globalizzazione, dunque, si è dimostrata tanto il nemico principale che l'anima stessa di questo anno di malcontento. Da Tunisi a Londra, da Sana'a ad Atene, dal Cairo a Washington.

Giovani, colti, consapevoli delle potenzialità della tecnologia, i manifestanti arrabbiati si sono raccolti nelle piazze monumentali delle metropoli di tutto il mondo per protestare contro l'establishment politico-economico e lo status quo. La loro critica e il loro risentimento verso il capitalismo globale si sono mescolati con alcuni dei dispositivi che il capitalismo globale porta con sé: un linguaggio transnazionale, l'uso delle tecnologie senza confini, e l'identificazione in una nuova forma d'internazionalismo. Le contestazioni globali sembrano incarnare appieno la società dello spettacolo e i mezzi di comunicazione di massa ci hanno offerto l'accesso a questa nuova cultura popolare della protesta e ai suoi punti di riferimento geografici. Abbiamo scoperto nuove geografie, città come Homs e Manama sono improvvisamente apparse sui notiziari di tutto il mondo, e inattesi scenari geopolitici hanno colpito la nostra immaginazione. Il 2011 è stato un anno di nuove stagioni politiche: la primavera araba è stata seguita da quello che Cornel West ha definito l'autunno americano. Con la potenza di un'incontestabile verità lapalissiana, gli italiani direbbero che non ci sono più le mezze stagioni! A seguito di tanta energia ribelle, nessuno arrossisce più a pronunciare la parola rivoluzione.

Patrick Thomas, <i>Protest Stencil Toolkit</i>, Laurence King Publishing
Patrick Thomas, Protest Stencil Toolkit, Laurence King Publishing

Idee che sembravano un ricordo obsoleto degli anni settanta sono tornate alla ribalta e #occupare ora sembra l'unica opzione 'radicale' nelle mani di coloro che non vogliono restare indietro rispetto alle velocità dei nostri tempi. Ogni sconvolgimento che si rispetti ha bisogno dei suoi simboli per essere riconoscibile e le cosiddette rivoluzioni Twitter o Facebook non sono da meno rispetto ai loro predecessori. La necessità di un tale immaginario ha incoraggiato OccupyDesign, "un progetto di base per collegare i progettisti con i manifestanti del movimento Occupy Together" con l'intenzione di "costruire un linguaggio visivo per il 99 per cento degli attivisti". Nella galleria di foto del sito web, OccupyDesign raccoglie manifesti, slogan, adesivi e loghi, che possono essere interpretati come la visualizzazione alla moda dell'infografica della rabbia. Con la vertiginosa diffusione di #Occupy, che ha raggiunto il parossismo di Occupy Everything, il 99 per cento (di quale segmento della società? di quale specifica parte del mondo?) parla la stessa lingua, usa gli stessi slogan, canta le stesse canzoni arrabbiate, ed è così che si sviluppa una nuova estetica della protesta che rischia di giocare allo stesso gioco che nei fatti cerca di sovvertire.

Patrick Thomas, Protest Stencil Toolkit, Laurence King Publishing

Con i loro kit d'azione per la propaganda libertaria e le magliette del Che Guevara, i manifestanti stanno preparando la strada alla loro stessa omologazione. Gli strumenti sono molteplici, le modalità inconfondibili. Quando un cartello in piazza Tahrir porta la scritta Egypt con la E di Internet Explorer, la G di Google, la Y! per Yahoo, la P per Paypal, e la T per Twitter, vuole dire che abbiamo bisogno di una seria riflessione sulle direzioni che tale linguaggio visivo sta prendendo.

Protest Stencil Toolkit di Patrick Thomas è un libro ben realizzato che offre ai contestatori che desiderano lottare con stile una scelta senza tempo di simboli del dissenso generali e contestualizzati
Patrick Thomas, Protest Stencil Toolkit, Laurence King Publishing

I margini tra branding e memi sono sfocati. L'energia virale di moltiplicazione dei movimenti spontanei viene diluita dal fascino di omogeneizzazione della moda e il linguaggio creativo si riduce al riciclo, piuttosto che nel sovvertimento dei simboli di cui si è appropriata. E così arrivano sul mercato eleganti "oggetti di protesta". Protest Stencil Toolkit di Patrick Thomas (2011) è uno di questi: un libro ben fatto che offre ai contestatori che desiderano lottare con stile una scelta senza tempo di simboli del dissenso generali e contestualizzati. Pugni chiusi, segni di vittoria, Kalashnikov, bombe e alfabeti: 46 modelli pronti per l'uso per comporre messaggi testuali e visivi. Il linguaggio della protesta assume le dimensioni del libro illustrato elegante e offre suggestivi argomenti di conversazione alle cene radical chic. Francesca Recchia (@kiccovich)

Patrick Thomas, Protest Stencil Toolkit, Laurence King Publishing
Patrick Thomas, Protest Stencil Toolkit, Laurence King Publishing