Unpacking my library: Eva Franch i Gilabert

La dieta letteraria di Eva Franch, direttrice di Storefront for Art and Architecture, è altrettanto stravagante quanto il leggendario guardaroba che indossa—in gran parte frutto della sua abilità sartoriale.

Eva Franch, spagnola, parla inglese con l'accento che si presume leggendo Poeta en Nueva York di Federico García Lorca. Pare che tutti i suoi vestiti siano opera delle sue mani. Così, mentre mi accoglie negli uffici della storica istituzione del Lower East Side di New York, tra un'incursione in Derrida e una parentesi sull'inquietante architettonico, viene da domandare se anche quello che indossa ora sia un handmade. Eva risponde e non risponde, raccogliendo un foglio su cui si è appuntata tutti i titoli che ha scelto, radunati in piccoli grappoli tematici.
Visto che i volumi e le librerie di Eva Franch sono sparsi tra la Catalogna, Houston e Manhattan, il modo migliore per raggrupparli era per lei scegliere alcune parole-guida.
Mentre snocciola le storie che legano una vita di letture alle parole che ha selezionato, si rimane impressionati dalla torretta instabile di capelli raccolti, che sembra sempre sull'orlo del crollo, e invece non si scioglie mai, per l'intera durata della conversazione.
GR


Desiderio
2004-2005 SBP Performance Lighting Catalogue

Libri vuoti. Il desiderio desidera sempre un contenuto. Questo libro è sempre stato una lettura molto breve ma intensa. Prima era un libro proibito, pieno di spagnolo e catalano desiderabile. La mia famiglia mi mandava un libro al mese, il primo editato da mia madre, uno editato da mia sorella, uno dall'altra mia sorella, e così via. L'editore era sempre mio nipote, un tagliatore avidissimo e un esecutore spietato di cataloghi leggeri e norme grafiche. Adesso il libro è vuoto. Al momento il mio oggetto del desiderio si può comprare a pochi metri da Storefront, ma i libri vuoti rimangono pieni del desiderio del desiderio. Eppure il desiderio desidera un contenuto. Li leggo quasi tutti i giorni, vuoti?

Utopia
Karl Mannheim, Ideology and Utopia
Louis Marin, Utopics: Spatial Play
Fredric Jameson, The Brick and the Balloon
Manfredo Tafuri, The Sphere and the Labyrinth

Mi sento debole di fronte al concetto di utopia e di fronte a qualsiasi autore che sia così coraggioso da scegliere l'utopia come il proprio oggetto d'indagine; e ancora di più, poi, se arriva a usare la parola 'utopia' nel titolo di un suo libro. Fredric Jameson lavora da tempo sull'utopia e, a parte il suo saggio The Politics of Utopia e il suo libro Archaeologies of the Future, con il sottotitolo nascosto The Desire Called Utopia and Other Science Fictions, si trovano ben pochi autori contemporanei che usino questo termine e lo spoglino delle sue connotazioni peggiorative, ideologiche. Il mio primo incontro con l'utopia è avvenuto per mano di Karl Mannheim e il suo libro di sociologia della conoscenza, Ideologia e utopia, in cui Mannheim stabilisce molto chiaramente che l'ideologia è il luogo in cui si pensano gli stati 'ideali' della società e l'utopia è il luogo della critica. Dal canto suo, Utopics: Spatial Play di Louis Marin presenta il pensiero utopico come agente, attraverso la figura del 'neutro' come elemento attivo nella società, molto simile alla condizione attuale di movimenti come Occupy Wall Street, dove non viene richiesto nulla ma ogni principio viene messo in discussione. Utopia è un termine duro. In S,M,L,XL di Rem Koolhaas e Bruce Mau è una delle poche parole la cui definizione cambia da un'edizione all'altra. Forse però il mio libro preferito sull'utopia è quello composto da tutti i diversi usi del concetto che ne fa Tafuri nella sua opera. La figura composita che si viene a creare mettendo insieme tutti i modi in cui lui utilizza il termine utopia è di gran lunga più complessa e precisa di qualsiasi definizione.

A sinistra: Eva guarda verso un nuovo orizzonte di speranze e possibilità con un abito di seta fucsia, fatto tutto con spille da balia, senza cuciture. Sulla spalla—come i galloni di un soldato—Eva porta una sorta di scopa. A destra: Eva indossa un abito verde fatto con la fodera del materasso di lana su cui i suoi genitori hanno concepito lei e tutti i suoi fratelli.

Metafora
Federico García Lorca, Poet in New York
George Lakoff, Mark Johnson, Metaphors We Live By
Jacques Derrida, Margins of Philosophy
Ludwig Wittgenstein, Investigaciones filosóficas

Come per l'utopia, la metafora è forse uno degli strumenti più incompresi dell'atto creativo. Legata all'idea delle figure composite alle quali ho appena accennato, le metafore non sono strumenti di rappresentazione né di comunicazione. Le metafore sono strumenti del pensiero per la costruzione di nuovi spazi d'indagine che riconcilino e svelino un terreno comune da cui partire. Una metafora è punto di passaggio fondamentale per arrivare a uno spazio racchiuso in sé. García Lorca in Poeta a New York ci porta dentro le qualità performative della lingua. I suoi scritti ci fanno muovere da quello che la lingua è a quello che la lingua fa. García Lorca usa la lingua con dinamismo, animando la scrittura con giochi linguistici e portandola oltre le sue strutture tradizionali. Il poeta usa la sineddoche ma anche altre forme retoriche di traslato (come attribuire a oggetti inanimati proprietà di esseri animati), una specie di animismo. Un potere surreale, onirico e poetico, eppure estremamente, brutalmente leggibile. Ma per analizzare la metafora si può viaggiare dai giochi linguistici delle Indagini filosofiche di Wittgenstein alla mappatura cognitiva di Metafora e vita quotidiana di Lakoff e Johnson, oppure alla White Mythology, in Plus de métaphore (contenuta in Margins of Philosophy), in cui Derrida spiega chiaramente la distinzione fra una metafora come un concetto che esprime qualcosa che è al di fuori della metafora stessa, e la metafora come la costruzione di qualcosa in sé. Ovviamente, il punto sarebbe inventarsi un termine nuovo per la prima o per la seconda, ma mi piace come suona la parola metafora: solo, vorrei riuscire a usarla senza imbarazzo o spiegazioni.

Memoria
Aleksandr R. Luria, The Mind of a Mnemonist: A Little Book about a Vast Memory
Oliver Sacks, The Man Who Mistook His Wife for a Hat
Marcel Proust, The Remembrance of Things Past (Swann's Way)

Questi libri sono viatici straordinari al tema della memoria, un'altra parola- chiave pesante come un macigno, e l'affrontano da un punto di vista neurologico, sensoriale e narrativo.

Il vestito fatto con una tovaglia diventa una tovaglia con sopra un libro, i cui contenuti sono gli articoli del negozio a pochi metri da Storefront. È quello che Eva faceva tutte le volte che tornava a casa in Spagna: riempiva il libro di salumi e poi li portava di nascosto sull’aereo. La sciarpa: era freddo, era carnosa. I guanti… non si parlava di desiderio?

Ordine: istruzioni, indici, tassonomie
Julio Cortázar, Instructions on How to Climb a Staircase in Cronopios and Famas (audiobook)
Michel Foucault, The Order of Things
Jacques Rancière, The Politics of Aesthetics

Ci sono libri meravigliosi con indici da fare, ci sono libri meravigliosi con indici meravigliosi e poi ci sono libri mediocri con indici meravigliosi, cosa che li trasforma in libri assolutamente magnifici. La bellezza degli indici sta nella loro capacità di diventare tassonomie del pensiero e in quanto tali di trasformare interamente la logica che li sottende. L'ordine mi affascina, così come i manuali d'istruzioni, queste strutture rigorose che capita di intercettare, e le continguità che producono. All'interno di questo ordine rigoroso, tuttavia, si trova sempre una serie di strumenti per scomporre il pezzo intero. Certe volte questi strumenti diventano nuovi termini autonomi, impensabili per il pensiero collettivo, a volte diventano una collezione in sé e per sé, e a lungo andare una lingua, un glossario di termini.

Libri con dei buchi
Mi piacciono tantissimo. I primi anni in cui vivevo in America, una delle cose che mi mancavano della Spagna era ovviamente lo jamon, il prosciutto: e visto che per le leggi doganali sul trasporto dei cibi non era per niente facile per la mia famiglia spedirmi pezzi di prosciutto crudo, avevamo intagliato, scavato, letteralmente, un libro, un catalogo tipo Postal Market, e ci infilavamo dentro il prezioso insaccato. Così poteva passare come libro e non come commestibile. Da allora ho sviluppato una grande passione per i libri cavi, i libri-non-libri che contengono qualcos'altro.

A destra: Eva guarda attraverso un bracciale, usandolo come una specie di cannocchiale bucherellato. Con una parrucca bionda che ricorda Paris, Texas e una coda di origini improbabili, la condizione dei capelli sfugge a ogni possibilità di realismo o finalità. L’assurdo diventa un generatore. Tutto è teso alla costruzione di qualcos’altro: il bracciale bucherellato viene usato per guardarci attraverso, la collana—con oltre cento oggetti simbolici attaccati—diventa un’arma

Libri regalati da altre persone
Milan Kundera, The Unbearable Lightness of Being: A Novel
Barbara Ann Kipfer, The Order of Things: Hierarchies, Structures, and Pecking Orders
Alain Badiou, Pocket Pantheon: Figures of Postwar Philosophy

Sono come specchi della tua capacità di capire quanto gli altri ti conoscono. Rivelano delle parti di te che non pensavi esistessero, o forse lo pensavi ma non ne eri perfettamente conscia, o forse semplicemente non credevi che qualcun altro, nel breve tempo che ci è offerto per conoscerci reciprocamente, se ne sarebbe mai accorto. A me è successo diverse volte, non tante, e ora ne vorrei ricordare tre in particolare.